Congo, ora è emergenza umanitaria


Luciano Scalettari e Alberto Picci - famigliacristiana.it


Nelle regioni orientali del Paese africano si intensificano i combattimenti fra diversi gruppi armati. A pagarne il prezzo, i civili. L’allarme degli organismi internazionali.


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Congo, ora è emergenza umanitaria
Un gruppo di sfollati in fuga dagli scontri avvenuti nella zona di Kabindi, Congo orientale.

Scontri a fuoco, violenze, decine di migliaia di profughi che fuggono. La situazione si sta rapidamente deteriorando nel Kivu settentrionale, l’area Nord orientale della Repubblica democratica del Congo, al confine con Uganda e Ruanda.

C’è chi ormai lancia l’allarme sul rischio che l’Est Congo scivoli presto nella guerra aperta. E si profila una nuova emergenza umanitaria, come accadde nel 2008, quando la città di Goma, capoluogo regionale, si trovò assediata dalle milizie ribelli.

Una situazione confusa, nella quale pare che tutti combattano contro tutti. Al crescendo di scontri – che si susseguono intensi da oltre tre mesi – fra l’esercito regolare e il gruppo armato del Congresso nazionale per la difesa del popolo (Cndp), si aggiungono i combattimenti tra le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr, un’aggregazione ribelle nata fra i fuoriusciti ruandesi all’epoca del genocidio, nel 1994) e le milizie dei guerrieri tradizionali Mayi Mayi, ma anche quelli provocati da un nuovo gruppo armato formatosi di recente e costituito da militari disertori che si fa chiamare “Movimento 23 marzo” (M23), che a sua volta combatte con le truppe regolari congolesi.

Nelle ultime settimane, gli scontri tra l’esercito nazionale e i ribelli dell’M23 si sono concentrati su tre colline – Mbuzi, Chanzu e Runyonyi – nel territorio di Rutshuru ((a ridosso del parco dei gorilla di montagna dei Virunga). Da qui sta fuggendo ora la maggior parte dei civili che si rifugia nelle vicine Uganda e Ruanda.

 A pagare il prezzo della confusa e incontrollabile guerra civile sono ovviamente i civili. Nei ultimi giorni è stato segnalato un centinaio di vittime in diversi villaggi nei territori di Masisi e Walikale. Altrettanti morti ci sarebbero stati nella zona di Kitchanga, sempre nel territorio del Masisi, dove sono stati segnalati anche una cinquantina di feriti diversi casi di stupro, oltre che saccheggi di diversi piccoli villaggi.

Quanto a sfollati e rifugiati, l’Alto Commissariato per i rifugiati dell’Onu (Hcr) parla di 80 mila persone in fuga. Nella zona di Rutshuru, tra il 30 aprile e 19 maggio, la stessa Hcr ha registrato oltre 40 mila sfollati, molti dei quali vivono in condizioni precarie in scuole, chiese e siti improvvisati; in Ruanda, dal 27 aprile in poi, si sono registrati 8.200 rifugiati; mentre in Uganda l’agenzia Onu parla di 30 mila nuovi ingressi.

«Le dimensioni degli spostamenti della popolazione all’Est della Repubblica Democratica del Congo sono già catastrofiche», ha detto il commissario dell’Hcr Antonio Guterres. «La situazione di conflitto», ha aggiunto, «combinata a un accesso molto limitato degli operatori umanitari significa che diverse migliaia di persone si trovano senza protezione, né assistenza. Da novembre 2011, circa 300.000 sfollati hanno abbandonato le loro case e le loro attività. Si aggiungono a più di un milione di sfollati precedenti in seguito alle diverse ondate di violenza. In totale, insomma, i profughi sono ormai oltre due milioni».

La nuova ondata di violenze sarebbe da attibuire da un lato al generale Bosco Ntaganda, legato al Cndp e già ricercato dalla Corte penale internazionale, dall’altro al nuovo gruppo armato, il Movimento 23 Marzo (M23), guidato dal colonnello Sultani Makenga (fuoriuscito dallo stesso Cndp).

Ma non solo. Secondo un rapporto confidenziale delle Nazioni Unite, l’M23 sarebbe appoggiato dal Ruanda, sia con uomini che con mezzi militari. Il quotidiano congolese Le Potentiel, nei giorni scorsi, ha scritto che “ufficiali delle Fardc (truppe governative), del Cndp e altri signori della guerra delle varie milizie dettano legge, ciascuno a modo suo. Il Nord-Kivu è diventato una vera giungla”.

Secondo lo stesso giornale, le ragioni della nuova ondata di scontri sarebbero ancora una volta legate alle ricchezze naturali del sottosuolo congolese. Le Potentiel denuncia “l’occupazione di vaste aree della provincia da parte di popolazioni ruandesi che fanno affari nello sfruttamento e nella vendita del coltan”, in complicità con “organizzazioni locali e internazionali”.

Sulla situazione umanitaria del Kivu settentrionale (regione Nord-orientale della Repubblica Democratica del Congo) lancia l’allarme il Programma alimentare mondiale dell’Onu, il World food programme (WFP): l’agenzia delle Nazioni Unite è fortemente preoccupata per le conseguenze della violenza sulla popolazione civile Paese.

«Durante l’escalation del conflitto, nelle scorse settimane, il Wfp ha fornito assistenza alimentare urgente ai congolesi costretti ad abbandonare tutti i propri averi», ha detto Stanlake Samkange, direttore regionale dell’agenzia Onu per l’Africa Orientale e Centrale. «Molti, a seguito delle continue violenze, avranno presto bisogno di ulteriore assistenza. È essenziale che  abbiamo sufficienti risorse per soddisfare le necessità dei nuovi sfollati».

Secondo i dati del Wfp, «decine di migliaia di persone hanno abbandonato le proprie case e molti hanno cercato rifugio nei pressi di Goma o in altre zone. Altre migliaia di persone, nella speranza di trovare un rifugio sicuro, hanno raggiunto il Ruanda o l’Uganda».

L’agenzia sta fornendo assistenza alimentare d’urgenza a più di 244.000 sfollati nelle province di Nord e Sud Kivu. Nei prossimi giorni, fornirà cibo a più di 4.000 nuovi sfollati a Rutshuru, nel Nord Kivu, e  condurrà una verifica dei bisogni di 80.000 persone arrivate in questa zona. Inoltre, la settimana prossima il Wfp ha in programma di assistere circa 8.000 persone a Minova, nel Sud Kivu.

L’organismo Onu sta assistendo, dall’inizio del 2012, più di 21.000 rifugiati congolesi in Uganda e a 11.000 in Ruanda. La nuova emergenza va ad aggravare una realtà già pesantissima: il Wfp assiste già 532.000 profughi nella regione dei Grandi Laghi: 65.000 in Ruanda, 97.000  in Uganda e  370.000 sfollati nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo.

L’appello dell’agenzia Onu chiede nuovi fondi: «Le operazioni nei tre Paesi», scrive in un comunicato, «per i prossimi sei mesi necessitano di ulteriori 46 milioni di dollari». Ma queste necesssità potrebbero aumentare a fronte di nuove ondate di rifugiati e sfollati.

Sulla nuova crisi nell’Est Congo il parlamentare del Pd Jean Leonard Touadi ha anche presentato un’interrogazione parlamentare per chiedere al governo italiano di attivare iniziative diplomatiche per l’apertura «di un corridoio umanitario in grado di facilitare gli aiuti e la protezione dei civili» e per il potenziamento «del mandato della missione militare delle Nazioni Unite Monuc, a tutela delle popolazioni civili vittime del conflitto».

Touadi chiede anche al nostro Paese di «farsi promotore di un'iniziativa internazionale che favorisca il dialogo, la pace e la stabilità nella regione dei Grandi Laghi».

Occorrono interventi mirati per almeno 40 mila profughi, nell'Est Congo, per garantire l'assistenza medico sanitaria essenziale.

 La recrudescenza degli scontri, come ha comunicato alla stampa Melissa Fleming dell'Alto Commissariato Onu per i rifugiati, è dovuta alla riorganizzazione delle truppe ribelli fedeli all'ex comandante Bosco Ntaganda, già incriminato dalla Corte penale internazionale.

L'emergenza è diventata una corsa contro il tempo per la quale scenderanno in campo, oltre al Programma alimentare mondiale per la fornitura di cibo, anche l'Organizzazione Mondiale della Sanità e il Comitato Internazionale della Croce Rossa: gli sfollati non possono attendere ancora a lungo i beni di prima necessità e le medicine di cui necessitano.

Le denunce sono unanimi: estorsioni, minacce, percosse, reclutamento forzato di minori sono il biglietto da visita dei ribelli che stanno creando un clima di terrore tale da spingere i civili alla fuga. Nel centro di transito di Nkamira, a circa 20 chilometri dal confine col Ruanda sono stati registrati poco meno di 10 mila rifugiati, di cui fanno parte oltre 500 studenti che stavano volontariamente tornado in Congo per la loro ultima sessione di esami. Tra le urgenze, la necessità di un nuovo campo profughi sulla direttrice che punta a Sud.

Tra gli operatori umanitari impegnati sul campo si moltiplicano gli appelli. “In Kivu la situazione non si stabilizza, anzi, da alcuni mesi a questa parte continua a peggiorare”, ha dichiara Marcela Allheimen, responsabile dei progetti di Medici Senza Frontiere (Msf). “Notiamo una ripresa della violenza. Ma ancora più grave è che colpisca anche i civili e gli operatori umanitari”, ha aggiunto.

Anche le notizie che arrivano da don Pietro Gavioli, dell'Opera Salesiana di Ngangi, a Goma, è preoccupante: "Molta gente per la paura fugge", ha riferito all'agenzia di stampa Fides, "così alla periferia della città si sono formati campi di rifugiati: in quattro giorni sono arrivate 15 mila persone, soprattutto anziani, donne, bambini, e i soccorsi tardano ad arrivare. Inoltre la guerra nei dintorni di Goma ha ridotto di molto l'arrivo dei prodotti agricoli, con il conseguente aumento dei prezzi".

"La situazione all'interno della città di Goma è tranquilla", ha detto ancora il missionario. "Gli allievi preparano gli esami di fine anno. Ma al Centro Don Bosco non mangiano più, dato che il Programma Alimentare Mondiale (Wfp) ha ridotto drasticamente la distribuzione di cibo 'per esaurimento delle riserve', come si legge in una nota della stessa agenzia Onu".

La onlus Soleterre, infine, denuncia come nel Paese africano, anche là dove gli scontri sono meno accesi, la sanità sia ormai giunta al collasso per la mancanza di medici, infermieri, ostetriche e per le condizioni disastrose in cui versano gli ospedali (quando ci sono). A farne le spese sono soprattutto donne partorienti e bambini.

Con una popolazione che cresce a ritmi vertiginosi (tasso del 3%, in Italia è dello 0,42%), la richiesta di medici e personale specializzato è di almeno 177 mila elementi: oggi non si arriva a 52 mila. Nel dettaglio: in Repubblica Democratica del Congo si contano oggi circa 6 mila medici (di cui 3.700 lavorano nella capitale Kinshasa dove vivono tra 8 e 10 milioni di persone), 40 mila infermieri (in Italia sono 400 mila e comunque non bastano) e 5.700 ostetriche.

Ma non è la mancanza di preparazione ad aver aggravato l'assenza di medici. Piuttosto, molti sono caduti vittime dei conflitti civili che si susseguono da molti anni, altri hanno preferito emigrare, chi per paura chi in cerca di condizioni di lavoro meno precarie.

Il risultato è sconcertante: ogni 100 mila nati vivi, muoiono 670 mamme, alcune per parto, altre per complicazioni connesse alla gravidanza; 1 bambino su 5 muore prima di aver compiuto 5 anni, nella maggior parte dei casi per malattie respiratorie o gastrointestinali oltre alla malaria. Le ostetriche locali, infatti, non sono qualificate e spesso impiegano antichi rimedi della medicina tradizionale, creando talvolta più danno che aiuto, sottolinea Soleterre.

I dati si spiegano anche con la difficoltà di raggiungere strutture sanitarie adeguate: ci possono volere anche 12-14 ore di cammino per arrivare a un centro di salute.

Il nuovo esodo di massa rischia di far cadere nel baratro la sanità del Paese. I medici hanno provato a far valere le loro ragioni rinfacciando al Governo di non aver ancora mantenuto fede alle promesse fatte in campagna elettorale relative all'assunzione di nuovo personale a condizioni contrattuali dignitose  e all'accesso gratuito alla sanità per i soggetti a maggior rischio di contagio.

 "L'unico modo per garantire il diritto alla salute in Africa – ha detto Damiano Rizzi, presidente di Soleterre – è quello di investire sulla sanità, come ricorda spesso l'Oms. In Repubblica Democratica del Congo, come in Uganda e in altri Paesi africani, le emergenze diventano spesso solo occasioni per governi corrotti e multinazionali per fare affari d'oro e non per portare realmente beneficio alle popolazioni in crisi".

Nel Paese africano, dal 1996 sono già morte da 4 a 5 milioni di persone a causa di guerra, povertà, fame e malattia. "La comunità internazionale", ha aggiunto Rizzi, "deve garantire ai cittadini africani non solo la presenza durante le emergenze, ma deve restare il tempo sufficiente per mantenere la pace, nonché ricostruire i servizi e le infrastrutture necessarie alla realizzazione di uno Stato democratico».

Fonte: http://www.famigliacristiana.it
13 Giugno 2012

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