Comprare gas per svendere la pace
Chiara Cruciati - il Manifesto
Accordo tra una compagnia palestinese e società israeliane per l’acquisto di gas naturale del bacino del Leviatano, controllato da Tel Aviv. Così rispunta la “pace economica”.
Lo spettro della “pace economica” torna ad aleggiare sulla Palestina. Promossa dal segretario di Stato USA Kerry, con abbondanti finanziamenti all’Autorità Palestinese, e poi rilanciata da 200 uomini d’affari israeliani e palestinesi riunitisi sotto l’ombrello dell’iniziativa “Breaking the impasse”, oggi fa di nuovo capolino sotto forma di partnership per lo sfruttamento del bacino di gas naturale Leviatano.
Domenica il gruppo israeliano che gestisce il Leviatano ha firmato un accordo di 20 anni per la vendita di 1,2 miliardi di dollari di gas alla Palestine Power Generation Company, primo vero contratto siglato da parte israeliana, dopo i tentativi di accordo con la Turchia. Un bacino ricchissimo: 538 miliardi di metri cubi di gas naturale, la cui estrazione comincerà tra il 2016 e il 2017.
Alla cerimonia all’American Colony di Gerusalemme era presente anche il ministro dell’Energia dell’ANP, Omar Kittaneh, ad indicare la forte intenzione della leadership palestinese a perseguire la creazione di uno Stato a colpi di interessi economici.
Obiettivo della compagnia palestinese, che acquisterà 4,75 miliardi di metri cubi (meno dell’1% del totale), è la costruzione di un impianto energetico da 300 milioni di dollari a Jenin, Nord della Cisgiordania, per un totale di 200 megawatt di produzione controllati dalla Palestinian Electric Company: secondo calcoli dell’Autorità Palestinese l’impianto coprirà l’8% del fabbisogno in Cisgiordania.
Plauso da parte israeliana: “La cooperazione economica come l’accordo firmato oggi condurrà verso la prosperità e la crescita – ha commentato Yitzhak Tshuva, azionista di controllo del Delek Group, una delle tre compagnie israeliane firmatarie del contratto, insieme a Avner e Ratio – Contribuirà alla promozione del rispetto reciproco e della fiducia tra israeliani e palestinesi, vera base per la pace”.
Palestinesi sono così i primi compratori del gas naturale controllato da Israele, bacino a 130 km dalla città di Haifa, da sempre simbolo della lotta palestinese e del diritto al ritorno dei profughi. L’ennesimo schiaffo in faccia al popolo palestinese, costretto ad assistere da una parte a negoziati politici che non tengono conto delle questioni centrali del conflitto, e dall’altra ad accordi economici che mascherano affari e interessi privati con la pace.
A metà dicembre a riproporre l’economia come chiave di volta del processo di pace era stata l’Unione Europea che aveva proposto un pacchetto di aiuti politici e finanziari alle due parti, palestinese e israeliana, in cambio di un accordo definitivo. “Partnership Privilegiata Speciale”, così Bruxelles ha definito il pacchetto, che comprende al suo interno l’ingresso facilitato dei beni e dei prodotti israeliani e palestinesi nel mercato europeo, rapporti di natura culturale e scientifica e investimenti con partner europei.
Un’offerta che secondo la UE non può essere rifiutata e che ha ottenuto il plauso di uno degli ideologi della “pace economica”, John Kerry. A molti osservatori accordi simili riportano alla memoria la retorica di inizio anni Novanta, affari per fare la pace, un concetto che condusse agli Accordi di Oslo e ai tanti e gravi errori strategici del team negoziatore dell’OLP. Contratti o meno, dal tavolo del dialogo – gestito come un burattinaio dal solo Israele – restano sempre fuori le più stringenti e centrali questioni politiche: rifugiati, Gerusalemme, prigionieri e confini.
Fonte: Nena News
7 gennaio 2014