Cina, Stati Uniti e Diritti Umani
Roberto Reale
“Condanne a morte inflitte con riti sommari, torture per estorcere confessioni, uso massiccio dei lavori forzati, forme di repressione sempre più dure per controllare i media e Internet e per reprimere le minoranze religiose”. E’ questo il ritratto della Cina 2007 tracciato dal Dipartimento di Stato Americano.
E’ la raffigurazione, in linea di massima fedele, di un paese dove i diritti umani continuano a essere pesantemente calpestati a dispetto delle molte rassicurazioni fornite dal regime in vista delle Olimpiadi 2008 di agosto a Pechino.
Ma la notizia vera è un’altra. Malgrado questa analisi formalmente durissima, gli Stati Uniti hanno deciso che la Cina non è più nella lista nera dei dieci paesi “più feroci” del pianeta. Un elenco che sarebbe invece formato da Corea del Nord, Birmania, Iran, Siria, Zimbabwe, Cuba, Bielorussia, Uzbekistan, Eritrea e Sudan. Guarda caso si tratta di un gruppo di nazioni che hanno tutte pessimi rapporti con le autorità americane. Proviamo ad avanzare una domanda. Siamo poi sicuri che in Bielorussia i cittadini siano oggi trattati dal potere peggio degli abitanti di Iraq, Pakistan, Arabia Saudita? C’è qualcosa di terribilmente ipocrita in queste classifiche dei cattivi, dei paesi canaglia, formulate a Washington e dintorni. Lo ha fatto notare la sezione americana di Amnesty International che ha puntualmente denunciato come venissero dimenticati abusi e violenze commesse da paesi alleati degli Stati Uniti. Non è andato sul leggero Larry Cox, direttore esecutivo di Amnesty Usa, che ha parlato di un rapporto scioccante alla luce dei comportamenti tenuti dall’amministrazione nella cosiddetta guerra al terrore e alle torture praticate negli interrogatori effettuati nei paesi coinvolti nel programma di “extraordinary renditions” promosso dalla Cia per estorcere, con il supporto di governi complici, confessioni a terroristi veri o presunti.
Ma torniamo alla questione Cina. Perché questo “trattamento di favore” riservato a Pechino? Nella conferenza stampa di presentazione del rapporto Jonathan D. Farrar, assistente segretario di Stato per la democrazia, i diritti umani e il lavoro, è stato tutto sommato quasi sincero. “ Vorrei dire che la Cina fa parte sicuramente della sezione dei paesi autoritari ma è in una fase di riforma economica – ha affermato rispondendo ai giornalisti – non c’è stato però ancora un corrispondente processo di democratizzazione politica”. Tradotto in concreto: con la Cina si fanno ottimi affari, è un gigante economico dal quale non si può prescindere, le libertà politiche prima o poi arriveranno e comunque non sono oggi una priorità. E’ indubbiamente quanto le autorità comuniste di Pechino vogliono sentirsi dire (malgrado le reazioni sdegnate di facciata sui contenuti del rapporto) preoccupate come sono per il buon esito delle Olimpiadi di agosto.
Per Reporter Senza Frontiere questo atteggiamento vuol dire rinunciare a forme concrete di pressione proprio in un momento nel quale la repressione si abbatte su centinaia di monaci tibetani, su giornalisti e blogger che vorrebbero raccontare quanto accade nel paese. E in effetti le prossime olimpiadi paiono sempre di più una sorta di spartiacque. Tutti quei soggetti che “sono in affari con Pechino” ( grandi multinazionali ma anche istituzioni sportive e governi come quello inglese e ora quello americano) appaiono sempre più disposti a chiudere entrambi gli occhi sul tema dei diritti umani in Cina. Una questione che riguarda un quinto dell’umanità e che tocca da vicino il nostro futuro perché il liberismo senza democrazia è una formula politica che piace ai potenti di ogni parte del mondo, Occidente incluso.
Roberto Reale
Segretario Isf
Information Safety and Freedom
Fonte: Articolo21
12 marzo 2008