Ciao Vittorio!


La redazione


Raccogliamo le parole di Don Nandino Capovilla, di Michele Giorgio, di Paola Caridi, di Yousef Salman, di Luca Galassi, di Giovanni Matichecchia per ricordare Vittorio Arrigoni. Restiamo Umani.


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Ciao Vittorio!
Non ce ne andremo, Vittorio caro!

"Non ce ne andiamo, perché riteniamo essenziale la nostra presenza di testimoni oculari dei crimini contro l'inerme popolazione civile ora per ora, minuto per minuto".
 
Così ripetevi durante Piombo fuso, unico italiano rimasto lì, tra la tua gente, tra i volti straziati dei bambini ridotti a target di guerra. Così mi hai ripetuto pochi mesi fa prima di abbracciarmi: io obbedivo all'ultimatum dei militari al valico di Heretz che mi ordinavano di uscire dalla Striscia, ma tu restavi. Questa era la tua vita: rimanere.
Sei rimasto con gli ultimi, caro Vittorio, e i tuoi occhi sono stati chiusi da un odio assurdo, così in contrasto, così lontano dall'affetto e dalla solidarietà della gente di Gaza, da tutta la gente di Gaza che non è “un posto scomodo dove si odia l'occidente”, come affermano ora i commentatori televisivi, ma un pezzo di Palestina tenuta sotto embargo e martoriata all'inverosimile.

Immaginiamo i tuoi amici e compagni palestinesi ancora una volta inermi, ancora una volta senza una voce che porti fuori da quella grande prigione la loro disperazione, testimonianza della loro umanità ferita e umiliata.
Non spendiamo parole per quelli che non hanno saputo essere, e per questo non sono restati, umani.
La tua gente di Palestina non dimenticherà il tuo amore per lei. Hai speso la tua vita per una pace giusta, disarmata, umana fino in fondo.

Anche a noi di Pax Christi mancherà la tua “bocca-scucita” che irrompeva in sala, al telefono, quando, durante qualche incontro qui in Italia, nelle città e nelle parrocchie dove si ha ancora il coraggio di raccontare l'occupazione della Palestina e l'inferno di Gaza, denunciavi e ripetevi: “restiamo umani!” Tu quell'inferno lo raccontavi con la tua vita. 24 ore su 24. Perché eri lì. E vedevi, sentivi, vivevi con loro. Vedevi crimini che a noi nessuno raccontava. E restavi con loro.

Abbracciamo Maria Elena, la tua famiglia e vorremmo sussurrare loro che la tua è stata una vita piena perché donata ai fratelli e che tutto l'amore che hai saputo testimoniare rimarrà saldo e forte come la voglia di vivere dei bambini di Gaza.

Ci inchiniamo a te, Vittorio. Ora sappiamo che  i martiri sono purtroppo e semplicemente quelli che non smettono di amare mai, costi quel che costi.

Don Nandino Capovilla
coordinatore nazionale di Pax Christi Italia

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La casa di Vittorio

Qualche settimana fa Vittorio Arrigoni mi ha salutato tono preoccupato, ma non per la sua presenza a Gaza bensì per la salute del padre, operato di recente e in precario stato di salute. Ai genitori Vittorio è molto legato, non solo dall’affetto di figlio ma anche dalla condivisione di ideali politici. Una famiglia impegnata a sinistra, da sempre, che lo ha appoggiato in tutte le sue scelte. «Da casa mi arrivano notizie preoccupanti, per qualche settimana me ne andrò in Italia, ho voglia di rivedere mio padre», diceva. Da Gaza invece non è più partito, forse confortato da qualche aggiornamento giunto dall’Italia. Vittorio la Striscia di Gaza non la lascerebbe mai. Quel piccolo lembo di terra è diventato la sua seconda casa, anzi la prima, dove vivere e svolgere il suo impegno a difesa dei diritti dei palestinesi, sotto assedio e dimenticati dal mondo. Faceva male ieri sera vedere Vittorio bendato e con segni di violenza sul volto nel un video postato  su Youtube, con le mani legate dietro la schiena, mentre qualcuno gli tiene la testa per i capelli. Faceva davvero male se si tiene conto del lavoro svolto da Vittorio dal 2008 sino ad oggi per informare sempre, in ogni momento, attraverso il suo blog, su Facebook e con articoli per vari siti, su quanto accade a Gaza. Senza un attimo di sosta, anche di notte. «Aerei F-16 israeliani hanno colpito pochi minuti fa Rafah…un contadino ucciso da un cecchino mentre era nel suo campo…bambino ferito gravemente da una raffica», sono i messaggi che da Gaza lancia continuamente al mondo, accompagnandoli da commenti ed analisi.
 
Nella Striscia Vittorio Arrigoni era arrivato la prima volta come rappresentante dell’International solidarity movement, a bordo di uno dei due battelli del Gaza Freedom Movement che violando, con successo, il blocco navale israeliano di Gaza, ha aperto la strada alla nascita due anni dopo della Freedom Flotilla. Diventammo amici in quei giorni. Per il suo look da lupo di mare – berretto, pipa e tatuaggi – lo ribattezzai «Capitan Findus». A lui piaceva quel nomignolo che qualche settimana dopo divenne purtroppo azzeccato, vista la fuga a nuoto che Vittorio tentò (invano) quando venne bloccato in mare da commando israeliani giunti a fermare le barche dei pescatori palestinesi. Venne incarcerato in Israele e rispedito in Italia ma lui, dopo qualche settimana, si imbarcò su di un altro battello della GFM e ritornò a Gaza. Fu una decisione davvero importante, forse perché era consapevole di ciò che stava maturando sul terreno. Il 27 dicembre 2008 si ritrovò ad essere l’unico italiano e uno dei pochi stranieri presenti nella Striscia di Gaza durante la devastante offensiva militare israeliana «Piombo fuso». I suoi racconti pubblicati dal manifesto, chiusi immancabilmente dalle parole «Restiamo umani», rappresentano una delle testimonianze più lucide e coinvolgenti di quanto accadde in quei giorni d’inferno in cui Gaza, peraltro, era chiusa alla stampa internazionale. Con il manifesto poi Vittorio ebbe qualche incomprensione ma non aveva esitato un minuto, lo scorso dicembre, a rivolgere in Facebook e Youtube un appello ai tanti che lo seguono – e sono molte migliaia, non solo in Italia –  in sostegno della sopravvivenza del nostro giornale.
 
A Gaza Vittorio Arrigoni era tornato, senza più lasciarla, poco più di un anno fa, passando dall’Egitto, per dedicarsi alla tutela delle migliaia di contadini palestinesi ai quali Israele non permette l’ingresso nei campi coltivati situati in quell’ampia «zona cuscinetto» costituita unilateralmente all’interno della Striscia. Era impegnato anche a scrivere il suo nuovo libro. Ma Gaza è un territorio dove troppi attori, spesso solo burattini manovrati da qualcuno, cercano un ruolo da protagonisti. Tra questi ci sono i salafiti della sedicente «Brigata Mohammed Bin Moslama», ai quali non interessa nulla di Gaza e dei palestinesi e ancora meno dei loro amici. Vedono nemici ovunque, tranne quelli veri. Ieri questi presunti salafiti hanno sequestrato Vittorio per ottenere dal primo ministro di Hamas, Ismail Haniyeh, la scarcerazione dello sceicco al-Saidani, noto anche come Abu Walid al-Maqdisi, leader di Al-Tawhid Wal-Jihad, una formazione qaedista. Al-Maqdisi è stato arrestato poco più di un mese fa dai servizi di sicurezza di Hamas che da due anni sono impegnati contro le cellule salafite che agiscono soprattutto nella zona di Rafah (dove meno di due anni fa hanno persino proclamato un emirato islamico. Hamas reagì facendo una strage). Vittorio Arrigoni non merita di essere usato come merce di scambio, lui che ha sempre creduto nella dignità di ogni persona, ovunque nel mondo, a cominciare dai palestinesi. Ai suoi rapitori possiamo solo rivolgere la sua perenne esortazione: «Restiamo umani». 

Michele Giorgio, il Manifesto

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Anche Vik Utopia Arrigoni

Verrebbe da dire: “Ora basta”. Il problema è che non si sa a chi dirlo, “Ora basta”. A pochi giorni dall’uccisione di Juliano Mer Khamis, a Jenin, ora tocca a Vittorio Arrigoni, Vik, Utopia, pacifista, attivista, abitante di Gaza tra i palestinesi di Gaza, autore di uno dei motti più incisivi per descrivere la disperazione di Gaza. Restiamo umani. Anche lui ucciso così, a sorpresa. Anche lui ucciso in quella che sembra, all’apparenza, una storia tutta interna al mondo palestinese. I laici contro i retrogradi, i buoni contro gli islamisti  radicali.

Mi rifiuto di pensare che questa storia, come quella che ha portato all’uccisione di Juliano Mer Khamis, sia così semplice. Così chiara. Così cristallina.  Mi rifiuto di pensare che di questi tempi rivoluzionari, travolgenti, in cui tutti i parametri della regione stanno cambiando così rapidamente, la tragica morte di Vittorio Arrigoni sia un mero accidente della Storia, dello scontro tra Hamas e salafiti.

Odio le dietrologie, i complottismi, così come mi annoiavano i cremlinologi. Mi faccio, invece, domande sulla logica. Senza per ora trovare risposte. Mi chiedo perché ora, perché ora Juliano Mer Khamis, perché ora Vittorio Arrigoni. Mi chiedo come mai, in una fase nella quale le rivoluzioni arabe segnano un percorso diverso, in cui salmiya, la nonviolenza è il faro delle proteste contro i regimi autoritari, una strana violenza ritorna tra i palestinesi. Mi chiedo perché ora, quando l’Egitto vive una transizione difficile, confusa ma ineluttabile. E quando la Siria si sta incamminando in quella che è più di una rivolta. Mi chiedo perché ora, quando sono ripresi i faticosi contatti per la riconciliazione tra Fatah e Hamas (l’ultimo domenica, al Cairo). Mi chiedo perché a Gaza, dopo che una tregua era stata faticosamente – ma rapidamente – raggiunta.

Sia ben chiaro. Non ho risposte. Il cui prodest si applica, con diversi pesi e misure, all’una e all’altra parte della barricata. Tra chi, secondo me, non riesce a reagire all’ondata travolgente dei cambiamenti in corso nel mondo arabo se non riproponendo una logica antica. Quella del mestare nel torbido.  Non credo neanche che queste morti terribili, e ancor più terribili e amare – permettetemelo –  per chi sta qui ormai da tanti anni, cambieranno il corso della storia di una regione che ha compiuto il giro di boa, ed è pienamente dentro un altro capitolo della sua contemporaneità. Sia che le morti di Mer Khamis e di Arrigoni siano il frutto di un mero scontro dentro gli equilibri locali palestinesi, sia che siano il prodotto di una regia a tavolino, la tempesta in corso nella regione non subirà alcun cambiamento. E’ lì, è un fatto, è un processo in corso. Ed è questa certezza, forse, l’unica consolazione di fronte a gesti così cattivi e inutili.

I ragazzi di Tahrir, le proteste del Bahrein, lo scatto di dignità dei tunisini, il coraggio dei siriani di Deraa sono la rappresentazione fedele di quel restiamo umani con cui Vittorio Arrigoni concludeva ogni sua corrispondenza da Gaza postata sul suo blog.  E’ per quel restiamo umani che gli arabi, soprattutto i ragazzi, hanno deciso che dignità, rispetto, cittadinanza valessero la pena di lottare, e di scardinare un intero sistema di autocrazie.

Restiamo umani, anche dopo la morte di Utopia.

Paola Caridi,  http://invisiblearabs.com/

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CARO  VITTORIO,

Di sicuro i tuoi assassini  conoscevano chi eri e cosa rappresentavi. Non è importante chi erano gli assassini e cosa rappresentano, ma alla fine dei conti, hanno commesso un delitto e un brutale odioso assassinio.
Hanno ucciso un uomo libero, un amante della libertà e della giustizia, un amico della pace e del popolo palestinese, che tu ha difeso, hai amato e che hai fatto della sua causa una ragione di esistenza e di vita.
Non so chi sono e cosa rappresentano, ma so che NON sono palestinesi, che sono un pericolo serio e costante per i palestinesi e che sono degli assassini della Palestina, della sua causa, del suo popolo e dei suoi veri e sinceri amici. Sono nemici dell'umanità che Vittorio ha sempre cercato di difendere  e fare vincere in Palestina.
Vittorio potevi rimanere in Italia a fare la bella vita e so che tu appartiene a una grande famiglia, benestante e ricca di grandi valori, hai  lasciato il tuo benessere per venire a vivere fra i più poveri e sfortunati  della terra, nell'inferno di Gaza e hai voluto sposare la giusta causa del popolo più disgraziato e sfortunato al mondo.
La morte drammatica tua, Vittorio non è diversa ed è simile con quella del grande artista palestinese ebreo, Juliano Mer Khamis, ucciso una settimana prima nel Campo profughi di Jenin.
Lo so che il destino dei liberi sognatori, dei veri rivoluzionari, degli onesti idealisti è in contrasto con ed in scontro continuo contro il mondo dell'ignoranza, dell'estremismo, della prepotenza, della pazzia e della repressione e della brutalità
dell'occupazione israelo-sionista alla Palestina. Lo so e lo sappiamo che l'arma dell'ignoranza e dell'estremismo è  la pallottola, la violenza e l'odio ed in pochi attimi può sterminare una vita buona ed innocente  dedicata
a favore e al  servizio della causa palestinese e del suo popolo.
Di sicuro chi ti ha ucciso, sa chi sei e cosa rappresenti, la carica ideale, i valori che porti e che difendi e di sicuro è riuscito a fare e realizzare ciò che non è riuscito a fare e realizzare da tempo  il nemico comune: l'occupante israeliano.
E' l'occupazione israeliana è l'unica parte vantaggiato dalla tua scomparsa,  grande e caro amico Vittorio.
Vittorio ti sei innamorato della Palestina e di Gaza in particolare ma anche i palestinesi e particolarmente quelli di Gaza, si sono innamorati di te, Vittorio e della tua bella Italia.
Vittorio sarai sempre nei nostri cuori e viverai sempre nella nostre lotte, per una Palestina libera, laica e democratica.
ADDIO CARO FRATELLO E RESTIAMO ANCORA UMANI..

Dr. Yousef Salman
Delegato della Mezza Luna Rossa Palestinese in Italia

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Addio, Vik

Vittorio Arrigoni è morto. Il suo corpo è stato trovato questa notte intorno alle 1.50 in un'abitazione nella Striscia di Gaza, nel quartiere Qaram, periferia di Gaza City. La notizia è stata dapprima diffusa da fonti di Hamas e poi confermata a PeaceReporter da un'attivista dell'International Solidarity Movement. Hamas, il movimento islamico che controlla il territorio della Striscia, non è riuscito a mediare per la sua liberazione. O forse non ci ha nemmeno provato. Secondo quanto riferito dal portavoce del movimento, dietro indicazione di uno dei membri del gruppo ultra-radicale interrogato nel primo pomeriggio, le forze di sicurezza avrebbero circondato l'area nella quale era detenuto Vittorio, dando luogo a un'irruzione sfociata in uno scontro a fuoco, in seguito al quale alcuni militanti salafiti sarebbero stati feriti, due di loro arrestati, mentre altri ancora sarebbero ricercati.

Non è chiaro come e quando Vittorio sia stato ucciso, anche se il portavoce di Hamas, Yiab Hussein, ha dichiarato in una conferenza stampa tenutasi poco dopo le 3 di stanotte, che Arrigoni era morto circa tre ore prima, senza però spiegare come fosse stato possibile stabilire il decesso con tale esattezza. Una militante dell'Ism si è recata sul luogo del ritrovamento e ha riconosciuto il corpo alle 3.10. "Aveva le mani legate dietro la schiena, e giaceva supino su un materasso". La ragazza ha raccontato a PeaceReporter che la sicurezza di Hamas ha detto anche a lei e agli altri membri dell'International Solidarity Movement giunti nella casa che Vittorio sarebbe morto qualche ora prima del loro arrivo. Il pacifista è stato strangolato, anche se, dal racconto reso a PeaceReporter dalla militante dell'Ism, dietro la nuca presentava contusioni varie. "Aveva ancora la benda intorno agli occhi, e perdeva sangue da dietro la testa. Sui polsi c'era il segno delle manette".

La sera prima del rapimento Arrigoni era andato in palestra. Poi aveva chiamato per prenotare il ristorante dove spesso era solito recarsi a cena. Aveva detto che sarebbe arrivato verso le 22. Alle 22.30, non vedendolo arrivare, lo chiamano dal ristorante. Ma Vittorio non risponde. Nessuno si preoccupa, perchè comunque spegne spesso il cellulare. Dopo la cena avrebbe incontrato un'amica e l'indomani sarebbe andato a Rafah a far visita ad alcune famiglie palestinesi con i compagni dell'Ism, che hanno provato anche loro a contattarlo dopo la palestra. Invano. Vittorio è stato rapito appena uscito dalla palestra.

La sua salma è stata trasferita durante la notte allo Shifa Hospital di Gaza, dove è stato condotto l'esame autoptico e redatto il certificato di morte. Il pacifista italiano era stato rapito ieri da un gruppo islamico salafita che, in un filmato su You Tube, minacciava di ucciderlo se entro 30 ore, a partire dalle 11 locali, il governo di Hamas non avesse liberato alcuni detenuti salafiti. Vittorio è morto dopo che nemmeno metà del tempo concesso dai rapitori si fosse esaurito, ben prima che l'ultimatum scadesse. E' morto senza che neppure l'accenno di un negoziato fosse avviato per la sua liberazione. Purtroppo, a queste domande non sarà facile dare una risposta. Con la sua morte se ne va uno dei più ferventi sostenitori della causa palestinese. Un giornalista di guerra. E un amico. Addio, Vik.

Luca Galassi, PeaceReporter

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Arrigoni è mio fratello

Non conosco Vittorio Arrigoni. Conosco la sua idea e il suo bisogno di giustizia. Ho apprezzato il suo modo di fare la guerra: con l’informazione pura e nuda come arma spietata per gridare al mondo l’ingiustizia. Ho visto due sue foto. Quella del suo profilo su face book e quella diffusa dai giornali e dalla tv di tutto il mondo. Con una tenerissima bambina, lo sguardo dolce e sereno del giusto, la prima, con i segni della violenza e dell’odio sul suo volto, la seconda. Ho guardato negli occhi i palestinesi, quegli stessi uomini dei quali Vittorio aveva spostato la causa. Ne ho ascoltato la domanda di giustizia e di pace. Ho parlato con chi ha perduto i figli. Ho ascoltato chi ha scelto di tentare la strada della mediazione. Ho respirato la disperazione. Ho osservato la povertà dei piccoli da cui traspariva l’arroganza dei potenti. Ho visto le armi sbandierare odio e morte. Ho letto i suoi scritti di amore e di solidarietà. Arrigoni è mio fratello nella guerra per la giustizia. Nella ricerca di una pace ogni giorno più difficile da raggiungere eppure che non ci stancheremo mai di inseguire. Un sogno di pace forse folle e impossibile. Vittorio ha donato la sua vita per una causa. Noi portiamo alto il nome di Vittorio perché lui è ormai una bandiera. Un’idea di vita, di amore, di solidarietà.

Giovanni Matichecchia, Peacelink

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Oggi, in onda su Radio3Mondo, Costruire la democrazia in Tunisia. La puntata sarà dedicata a Vittorio Arrigoni. La rivoluzione dei gelsomini ha innescato scintille di speranza in tutta la Tunisia. La febbre di liberta’ ha contagiato giovani, anziani, ricchi e poveri. Roberto Zichittella in un viaggio nella Tunisia del dopo Ben Ali ha realizzato un audioreportage attraverso le storie e le opinioni di chi si impegna per la costruzione di un nuovo paese. Selma Jabbes, direttrice di Al Kitab, la libreria che si trova nel cuore della citta’, Ayoub, studente incontrato sull’Avenue Bourghiba, teatro delle grandi manifestazioni che hanno portato alla caduta del regime, padre Jean Fontaine, un religioso della congregazione dei padri bianchi che vive in Tunisia da oltre mezzo secolo e il vescovo di Tunisi Maroun Lahham. E poi attraverso le testimonianze di Zakia Hadiyi, giornalista di Radio Kalima, e Walid Sultan Midani di Tunisian Reporters Agency un interessante scorcio sulla rinascita dell’informazione tunisina, uno dei settori piu’ sacrificati dal muro della censura ai tempi di Ben Ali.   

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