Ciao Luciano, manovale della nonviolenza


Giuseppe Moscati


Luciano Capitini, nipote di Aldo Capitini, se ne è andato. O meglio, si è fatto compresente. Andava ripetendo di non essere un intellettuale e si considerava un manovale della nonviolenza.


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lucianocapitini

La scomparsa del nipote di Aldo Capitini
Luciano Capitini, manovale della nonviolenza

Diceva della sua scelta di vita per la nonviolenza che era stata quasi un “obbligo di famiglia”, essendo lui nipote di Aldo Capitini in quanto figlio di Piero Capitini, il cugino di primo grado del grande filosofo-testimone della nonviolenza perugino. Nel pomeriggio del 18 settembre se ne è andato Luciano Capitini. O meglio, si è fatto compresente.
Fino all’ultimo Luciano era lì, a Pesaro, instancabile, caparbio, sempre pronto a farsi egli stesso centro e a organizzare nuclei di dibattito dal basso, coinvolgendo giovani e ai giovani sempre dedicando le sue energie e i suoi pensieri. Non a caso è stato determinante il suo lavoro per la realizzazione, a Perugia il 14 marzo 2009, della Prima Giornata dei giovani studiosi capitiniani (Levante Ed. ne pubblicò gli Atti: Il pensiero e le opere di Aldo Capitini nella coscienza delle nuove generazioni), che ebbi la fortuna di coordinare e che soprattutto ha dato vita ad una importante rete di amici, molti dei quali si occupano ancora dei temi cari ad Aldo Capitini. Promotrice ne era stata l’A.n.a.a.c., l’Associazione Nazionale Amici di Aldo Capitini, che Luciano per tanti anni ha presieduto.
Assai importante, per la sua esistenza, è stata poi la figura e l’azione di Gandhi, del quale citava sempre volentieri questa bella ed efficace similitudine: «Il nonviolento è come il legno del sandalo che profuma l’accetta quando lo abbatte».
Andava ripetendo di non essere un intellettuale e si considerava un manovale della nonviolenza. E la nonviolenza gli piaceva immaginarla come una polverina che, gettata sulla realtà, potesse cambiare radicalmente e significativamente qualcosa.
L’importante, diceva, è non smettere mai di aggiungere amore, che lui intendeva laicamente come un tenace atteggiamento di apertura e di disponibilità verso l’altro e il debole in particolare, sulla scia dell’insegnamento morale ed educativo dei fondamentali Elementi di un’esperienza religiosadi suo zio (pubblicati da Laterza nel 1937), scampati alla censura fascista, che per via di quel “religiosa” lo ritenne libro innocuo quando invece era un libro di autentica liberazione.
Né Luciano trascurava l’elemento della resistenza, resistenza nonviolenta che si oppone alla guerra e alla violenza – diretta, strutturale e/o psicologica –, certo, ma anche alla logica che risiede alla base di questa o quella forma di totalitarismo così come all’indifferenza.
Sempre accanto a Luciano, forte come lui, la moglie Anna con cui lui ha condiviso innumerevoli seminari, incontri, marce per la pace, dibattiti… A lei è ora affidata la testimonianza di una vita di condivisa ‘manovalanza per la nonviolenza’, appunto.
Ma il segreto della coevoluzione nonviolenta – questa credo sia stata la persuasione più profonda di Luciano Capitini – è che possiamo procedere solo peresperimenti, senza rigidi presupposti di puro pensiero: proviamo a ricordarcelo tutti.

Giuseppe Moscati
per la Fondazione Centro studi Aldo Capitini
e l’Associazione Naz. Amici di Aldo Capitini

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