Ciao Giulio, l’insegnamento di un mondo intero
Eleonora Martini
«Think independently», usando le lingue della sua vita, gli amici e i parenti raccontano la storia di un giovane meraviglioso. L’impegno di tutti: «Questa storia non finisce qui».
I funerali a Fiumicello di Giulio Regeni. Migliaia di persone in Friuli per l’ultimo saluto, in italiano e in inglese, a un ragazzo intelligente e consapevole. L’impegno di tutti: «Questa storia non finisce qui»
«Cos’è per te, Giulio, la libertà?» «È la possibilità di esprimere te stesso a livello intellettuale all’interno di un sistema sociale capace di supportarti nelle tue scelte». Aveva 17 anni, Giulio Regeni, quando rispose così da ex sindaco del «Governo dei giovani» ai ragazzi che lo interpellavano.
Non poteva immaginare allora che quella frase, ricordata durante il suo funerale e tradotta anche in inglese, sarebbe diventata il suo ultimo messaggio al mondo.
«Think indipendently»
«Think indipendently», è il monito che risuona nella grande palestra dove tutta la comunità di Fiumicello e le decine di amici e colleghi giunti da ogni angolo del globo si sono stretti ieri per ore, pietrificati in un silenzio attonito, attorno alla famiglia.
«Pensate indipendentemente e impegnatevi per ottenere gli obiettivi più giusti che vi impone la vostra coscienza».
È bilingue il lungo commiato che il parroco del paese, Don Luigi Fontanot, e il frate francescano copto del Cairo, Mamdua, colui che per primo ha benedetto la salma e invitato dalla stessa famiglia Regeni, celebrano in un rito che è religioso e laico allo stesso tempo. Anche in inglese, perché Giulio era «un vero cittadino del mondo», «l’uomo cosmopolita», che pure «non aveva mai preso le distanze da casa» e «non aveva perso la sua semplicità e l’interesse nelle persone».
E che lascia in eredità a quella comunità così colpita concetti più volte ripetuti come «comprensione», «rispetto», «curiosità», «passione», «giustizia», «libertà», «diritti». Lo ripetono quasi tutti, i giovani e giovanissimi che dopo la messa salgono sul pulpito per ricordare l’amico scomparso in una funzione che dura quasi due ore, ascoltata attraverso gli altoparlanti allestiti all’esterno della palestra anche da centinaia di persone che non sono riuscite ad entrare nella grande sala e sono rimaste sotto la pioggia.
Ma «senza giustizia non si può costruire pace», hanno scritto i ragazzi sul cancello della scuola. E don Luigi lo sa: indossa «una stola sudamericana in onore dei tanti desaparecidos» e inizia la sua omelia come fosse un «teologo della liberazione», ben sapendo che le sue parole arriveranno a Roma e al Cairo, veicolate dai media le cui telecamere sono state lasciate fuori dalla porta, e dalle poche autorità presenti.
Le esequie di Stato, infatti, sono state rifiutate dalla famiglia come anche i due corazzieri in alta uniforme che il presidente Mattarella avrebbe voluto inviare ieri. «Ma non è un gesto di chiusura – chiarisce il sindaco Ennio Scridel almanifesto – al contrario, i coniugi Regeni hanno voluto dare in questo modo un segnale di apertura a tutti, senza distinzione di ruoli istituzionali».
E così tra i fedeli, ma un po’ in disparte, ci sono il presidente della commissione esteri del Senato Pier Ferdinando Casini, la governatrice del Friuli Debora Serracchiani e alcuni parlamentari di Sel e del Pd, oltre al pm di Roma che indaga sull’omicidio, Sergio Colaiocco, e a una sostanziosa ma discreta compagine di investigatori arrivati a Fiumicello per prendere contatto con gli amici di Cambridge e quelli egiziani, la cui testimonianza è sempre più importante per la ricerca della verità.
«Siamo sicuri di poter costruire la pace con la giustizia e con la legalità? – interroga don Luigi — Troppo spesso confondiamo legalità e giustizia riducendo quest’ultima alla mera difesa degli equilibri della società dominante. Ma Giulio, che tanto si è speso per la tutela dei più deboli, ci ha insegnato che giustizia è rispetto, è amore per l’uomo nella sua diversità, è l’abbattimento di ogni confine».
«Grazie Giulio, per avermi insegnato la comprensione e la tolleranza» La mamma Paola Deffendi
Anche la madre del giovane ricercatore, Paola Deffendi, che non trova la forza di salire sul pulpito e affida il suo breve saluto di commiato alla lettura di un amico di famiglia, ringrazia suo figlio per averle «insegnato la comprensione e la tolleranza».
Peter Nolan, direttore del dipartimento degli studi per lo sviluppo dell’università di Cambridge, lo ricorda come uno dei più brillanti e intelligenti ricercatori, «un meraviglioso studente che ha accumulato una profonda conoscenza dell’Egitto e delle sue dinamiche sociali». «Appassionato e pieno di umanità e amore per la libertà – aggiunge una collega di Regeni con un discorso pronunciato ancora in inglese – malgrado fosse così giovane era molto serio e perseguiva il rispetto dei diritti umani, ovunque. Passavamo ore a discutere e poi, nel mezzo delle nostre discussioni, scoppiava magari in una delle sue risate contagiose, gaie, gioiose, infantili. Ha cambiato per sempre il mio modo di guardare il mondo».
Questa storia non finisce qui: da domani tocca a tutti noi Il sindaco di Fiumicello Ennio Scridel
«In questa tragedia, la più grande che ci abbia mai colpito, noi non abbiamo scritto una storia da indifferenti – è l’intervento appassionato del sindaco Scridel nella palestra trasformatasi in chiesa di frontiera — noi abbiamo parteggiato, come diceva Gramsci nel 1917, siamo stati partigiani e cittadini di questo paese. E parteggeremo per la verità. Questa storia non finisce qui: da domani tocca a tutti noi che abbiamo un grande peso nell’anima e il compito di portare avanti il ricordo di Giulio, i suoi ideali e i suoi valori».
Cita Walt Whitman, il sindaco democratico, mentre descrive il rumore unisono dei passi del «corteo di pace» che ha accompagnato in silenzio il feretro dalla chiesa di San Lorenzo alla palestra e poi, dopo la funzione, ingigantito da migliaia di persone, fino al cimitero.
Uno a fianco all’altro, come l’imam di Trieste Nader Akkad e il rappresentante della comunità ebraica Alessandro Treves, presenti fin dal mattino. Come fossero una sola persona.
«Whitman cantava l’individuo e la massa: la democrazia. E l’Uomo Moderno. Questo era Giulio».
Fonte: il Manifesto
13 febbraio 2016