Chi ha paura dello Stato binazionale?
NEAR EAST NEWS AGENCY
Arabi e ebrei hanno coabitato fin dal 1948 in un solo Stato; è già questa la soluzione di uno Stato unico, ma diseguale: gli israeliani sono cittadini, i palestinesi sudditi.
di Gideon Levy – Haaretz
Arabi e ebrei hanno convissuto in un solo Stato fin dal 1948; israeliani e palestinesi hanno vissuto insieme in un unico Stato fin dal 1967. Questa nazione è ebraica e sionista, ma non democratica per tutti. I suoi cittadini arabi sono privati [della democrazia], mentre nei territori i palestinesi sono diseredati e privi di diritti. Lo Stato unico è già realizzato – e da un bel po’ di tempo.
Una soluzione valida per i suoi cittadini ebrei e un disastro per i suoi sudditi palestinesi. Quelli che ne sono spaventati – quasi tutti gli israeliani – ignorano che in realtà la soluzione di uno Stato esiste già. Sono solamente terrorizzati di un cambiamento della sua caratteristica – da uno Stato di apartheid e di occupazione a uno Stato fondato sull’uguaglianza. Da uno Stato binazionale di fatto mascherato da Stato nazione (di chi ha il potere) al teorizzato Stato binazionale. Comunque ebrei e palestinesi hanno vissuto in questo Stato per almeno due generazioni, quantunque separati. È impossibile ignorarlo.
Le relazioni tra i due popoli in un unico Paese hanno visto dei cambiamenti: da un regime militare nei confronti degli arabi israeliani fino alla sua abolizione nel 1966; da un periodo di calma e di maggiore libertà nei territori a periodi tempestosi di terrore sanguinario e di violenta occupazione.
A Gerusalemme, Jaffa, Ramla, Lidda, nella Galilea e nel Wadi Ara vivono ebrei e arabi e le relazioni tra di loro non sono impossibili. Anche i rapporti con i palestinesi nei territori [occupati] sono cambiati; nel corso degli anni abbiamo vissuto in un solo Paese, benché sotto controllo militare. Per 47 anni, la possibilità di ritirarsi dai territori e contribuire così al tanto desiderato carattere ebraico e democratico dello Stato è stata a portata di mano degli israeliani che temono il cambiamento di queste caratteristiche. Hanno scelto di non farlo. Magari è un loro diritto, molto discutibile, ma hanno il dovere di offrire un’altra soluzione.
In questo contesto hanno incentivato il sistema delle colonie, per impedire la spartizione. Un’impresa che ha avuto talmente successo da essere diventata irreversibile. Non è possibile opporvisi con successo: non si parla più di sloggiare oltre mezzo milione di coloni e quindi non si parla più di una giusta soluzione a due Stati.
Le proposte del Segretario di Stato USA John Kerry, che scontentano anche un gran numero di israeliani, non garantiscono una giusta soluzione, non offrono una soluzione. “I blocchi degli insediamenti” rimarranno. Ariel è dentro da tempo, e vi sono possibilità di leasing per Ofra e Beit El. Saranno presi “accordi che garantiscano la sicurezza” per la Valle del Giordano, forse sarà anche consentito agli insediamenti di rimanere. La proposta dice no al ritorno o a una soluzione del problema dei profughi. Nel frattempo, il primo ministro si impegna a non “evacuare neanche un ebreo” e propone, con una giravolta impassibile, di porre i coloni sotto la sovranità palestinese.
Con tutto ciò può essere possibile proporre e anche firmare un altro documento (senza alcuna intenzione di attuarlo) che somiglia notevolmente a quello di tutti i suoi predecessori fin dal piano Rogers del 1969, passando per i parametri di Clinton fino alla Road map. Tutti sollevano polvere, che si deposita in qualche archivio. Ma è impossibile risolvere il conflitto con un simile piano. I rifugiati, i coloni e la Striscia di Gaza, la mancanza di buone intenzioni e di giustizia restano tutti tali e quali.
Chi sostiene la soluzione a due Stati – a quanto pare la maggior parte degli israeliani – deve offrire una soluzione reale. Le proposte di Kerry non fanno ben sperare. Israele potrebbe solo aderire, ma solo per mantenere le sue relazioni con gli Stati Uniti e il mondo, e per mettere i palestinesi con le spalle al muro, non certo per attuare la pace o imporre la giustizia.
Da questo generale “no” sorge il “sì”: sì allo Stato unico. Se gli israeliani veramente vogliono mantenere gli insediamenti che hanno costruito, e vogliono rimanere nella Valle del Giordano, sui crinali della colline, a Gush Etzion a Maale Adumim, a Gerusalemme Est per arrivare a Beit El – lasciateli fare così, ma poi non ci possono essere due Stati. Se non ci sono due Stati, c’è un solo Stato. Se c’è un solo Stato, allora il discorso deve cambiare: diritti uguali per tutti.
I problemi sono molti e complicati e di conseguenza lo sono anche le soluzioni: divisione in distretti, federazione, governo in comune o separato. Ma non ci sarà alcun cambiamento demografico qui – perché lo Stato è stato a lungo binazionale – ma solo un cambiamento democratico e consapevole. E allora si porrà la questione in tutta la sua forza: perché è così terribile vivere in uno Stato egualitario? In realtà tutte le altre possibilità sono molto più terribili.
(Traduzione di Amedeo Rossi e Carlo Tagliacozzo)
Fonte: http://nena-news.it
21 marzo 2014