Chi dice donna dice pace?


Miriam Rossi


8 marzo 2014: gli ultimi preoccupanti avvenimenti in Crimea e Ucraina mostrano le donne in prima linea nell’interporsi all’escalation militare e nel fare appello alla pace.


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Gli ultimi preoccupanti avvenimenti in Crimea e Ucraina mostrano le donne in prima linea nell’interporsi all’escalation militare e nel fare appello alla pace. Un’attitudine e una condotta non nuova, di cui è bene valutare i diversi aspetti in questa Giornata di celebrazione internazionale della donna.

“Gabbia de’ matti è il mondo”: così recita uno dei più celebri aforismi di Tommaso Campanella. Non occorre di certo scomodare il filosofo frate domenicano per condividere l’irragionevolezza e l’assurdità palesi di alcuni avvenimenti che accadono nel panorama internazionale: massacri compiuti per cause religiose o razziali, attacchi terroristici, piani di guerra e di invasione. “A che pro” è talvolta arduo comprendere con certezza. A costo di cosa è invece facilmente intuibile: la vita delle persone. È per questa ragione che la pace è stata oggi assunta quale diritto umano fondamentale, dai contorni giuridici tuttavia ancora così poco discernibili.

Un fatto è certo però: il termine “pace” si accompagna spesso a quello di “donna” nel saldare un binomio ritenuto di successo e da promuovere. Che la figura femminile sia sempre stata naturalmente associata alle tematiche della pace è cosa nota. Tradizionalmente le donne sono raffigurate come amanti della pace e sue guardiane, e viene chiesto inoltre loro “di farsi educatrici di pace con tutto il loro essere e con tutto il loro operare: siano testimoni, messaggere, maestre di pace nei rapporti tra le persone e le generazioni, nella famiglia, nella vita culturale, sociale e politica delle nazioni, in modo particolare nelle situazioni di conflitto e di guerra. Possano continuare il cammino verso la pace già intrapreso prima di loro da molte donne coraggiose e lungimiranti”. Parole di Papa Giovanni Paolo II in occasione della Giornata Mondiale della Pace del 1995, che non fanno che confermare la visione della donna quale strumento di promozione o mantenimento della pace. A questa condotta le donne sarebbero naturalmente predisposte a causa del timore, in caso di conflitto armato, come madri per le sorti dei propri figli, come mogli per quella dei mariti e come figlie per quella dei padri. Un topos che purtroppo, nei secoli passati in Europa e oggi in altre realtà del mondo, ha permeato a tal punto l’immaginario collettivo da rafforzare l’estromissione delle donne dalla vita politica di un Paese, paventando un “naturale” intervento limitativo delle donne alle azioni belliciste.

Se è vero che talvolta il costante affiancamento degli appelli al pacifismo delle donne all’esaltazione della maternità appare come pura retorica, è pure vero che altri eventi, come questi recenti nella vicina Ucraina, ne confermano il legame. Le sempre più allarmanti notizie sulla crisi mostrano che già in diverse occasioni le donne si sono fisicamente interposte fra soldati e manifestanti invitando le parti al dialogo e alla pace. Dopo l’intervento di una trentina di donne del 5 marzo scorso a Simferopol, nella ormai nota capitale della Crimea, a sedare la tensione fra filo-russi e filo-ucraini, le stesse donne sono diventate il bersaglio della rabbia e della frustrazione degli uomini, con attacchi verbali e feroci discussioni, di cui hanno fatto le spese anche i loro cartelli, alcuni dei quali distrutti dai manifestanti. Tatari e russi di cui è costituita la popolazione della Crimea hanno dunque manifestato in questi giorni l’insofferenza di vivere insieme, innescando la miccia del confronto etnico che potrebbe sfociare in una guerra civile come se ne sono purtroppo viste molte negli ultimi decenni (in Jugoslavia come in Rwanda, tanto per fare degli esempi). Ancora nello stesso giorno centinaia di donne hanno partecipato a una marcia per la pace attraverso la città di Bakhchisaray, sempre in Crimea, una cittadina montana sede di una base militare ucraina, che è ora circondata dalle truppe russe.

La Giornata mondiale della donna che oggi si celebra non può che dare un riconoscimento alle donne per questo ruolo di “pacieri” ad esse attribuita internazionalmente. Un ruolo che formalmente sembra ricalcare caratteri stereotipati di genere, con la donna garante della famiglia e del focolare domestico, ma che in realtà può essere interpretato con uno sguardo di ben più ampio respiro. È questa l’impostazione datale dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) che, oltre a rafforzare la normativa in materia di abusi subite dalle donne in tempo di guerra, considerando dunque che le conseguenze dello scoppio di un conflitto armato pesano molti di più sulla vita di una donna, ha individuato nella donna l’attore dello sviluppo della famiglia, della comunità e del Paese. Un compito che non può esimersi dal mantenimento della pace sul territorio, condicio sine qua non dello sviluppo.

Ma se queste funzioni per la comunità internazionale tutta sono affidate alle donne, agli uomini sembra permesso il lusso, se non il diritto, alla follia, all’irragionevolezza che conduce al confronto e alla guerra. Non è solo la mancanza di un indirizzo particolare agli uomini per la pace nelle politiche internazionali, anzi piuttosto l’esistenza di un’ampia produzione letteraria e filmistica che attribuisce alle donne l’intuito oltre a una straordinaria inventiva o capacità diplomatica per rasserenare gli animi e far riflettere uomini, sempre pronti per parte loro al conflitto. L’ennesima manifestazione di una attribuzione di ruoli di genere che appare del tutto priva di fondamento in un mondo in cui il genere umano tutto, composto da uomini e donne, deve rimboccarsi le maniche e costruire insieme il proprio futuro.

Fonte: www.unimondo.org
8 marzo 2014

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