Calipari, ucciso una seconda volta


Roberta Serdoz


La sentenza della Cassazione parla chiaro: il militare americano che ha ucciso Calipari non sarà giudicato in Italia.


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Calipari, ucciso una seconda volta

La sentenza della Cassazione parla chiaro. Il militare Usa che ha ucciso l'ufficiale del Sismi non andrà alla sbarra nel nostro Paese. Era il 4 marzo del 2005 quando veniva ucciso in un agguato mortale. Furono cinquantotto i colpi sparati contro la Toyota Corolla che stava riportando a casa l’inviata de “il Manifesto” Giuliana Sgrena, rapita un mese prima. Cinquantotto colpi esplosi per uccidere, contro l’abitacolo, e non per fermare l’auto come avrebbero dovuto fare. L’agente del Sismi venne centrato alla nuca, la giornalista ferita seriamente, l’autista – il maggiore del Sismi Andrea Carpani – colpito anche lui da quello che subito venne definito “fuoco amico”. Il luogo, la Irish route, era noto per la sua pericolosità e Calipari lo sapeva bene. Quella sera era stato posto un Block point dietro una curva, pioveva forte, di li a poco sarebbe dovuto passare l’ex ambasciatore americano a Bagdad, Negroponte, già indicato come nuovo capo della CIA. I Block point, di norma, devono essere rimossi ogni mezz’ora massimo ma, quella sera non andò così. La Sgrena racconta di aver visto “una forte luce e una scarica di colpi contemporaneamente”, alcune parole incomprensibili e poi “shit! Merda”. L’errore era stato fatto e lo sapevano bene. Unico indagato Mario Luis Lozano, il capro espiatorio di una nazione, gli Stati Uniti d’America, che volevano “importare la loro democrazia” in un paese come l’Iraq, vissuto sotto la dittatura di Saddam per oltre trenta anni. Il 25 ottobre dello scorso anno, dopo lunghe attese e rinvii, la Terza Corte d’Assise di Roma nega l’esistenza di condizioni minime per poter processare in Italia Lozano, nelle motivazioni si legge che il mancato processo al militare americano “non costituisce per l’Italia una rinuncia ai propri diritti”, il difetto di giurisdizione richiama una prassi alla quale lo Stato italiano si sarebbe attenuto come disposto nell’articolo 10 della Costituzione. E’ la cosiddetta “legge dello zaino o della bandiera”; per il collegio presieduto da Angelo Gargani (fratello del deputato di Forza Italia responsabile della giustizia ndr) i militari in missione all’estero sono soggetti esclusivamente alla giurisdizione della nazione di appartenenza, ovvero solo gli Usa avrebbero potuto processare, volendolo, il marine. Per la Procura di Roma la natura del reato, un “omicidio oggettivamente politico”, e l’assenza dell’esercizio della giurisdizione competente, cioè la mancanza di volontà di far rispondere dell’assassinio il militare americano, sono lacune gravi da sottoporre alla Cassazione. Presentato il ricorso anche dagli avvocati di parte civile. E’ assurdo considerare la rapida indagine Usa, fatta nelle ore successive all’agguato, pari ad un processo, “Le norme consuetudinarie e le risoluzioni Onu esaminate, – si legge nelle motivazioni – pur demandando la giurisdizione allo stato di invio, non obbligano e non possono obbligare lo Stato stesso a svolgere
un formale processo, ma soltanto ad adottare una decisione conforme al proprio ordinamento interno”. Il presidente Gargani poi si aggrappa alla risoluzione Onu 1546 del 2004, quella con cui le Nazioni Unite ratificano la presenza delle forze armate americane in Iraq, e alla lettera scritta dall’allora segretario di Stato Colin Powell in cui si precisa che “gli Stati partecipanti hanno la responsabilità dell'esercizio della giurisdizione sul proprio personale”, anche l’Italia, con il decreto che finanzia la missione, recepisce la risoluzione. Inutile forse sottolineare che avvalorando questa ricostruzione non si fa giustizia, anzi si evita ora ed in futuro, di far giudicare i soldati americani dal tribunale di Bagdad e da tutti quelli in cui le forze di occupazione la fanno da padrone. Ora che la Cassazione ha deciso la legge dello zaino suona come legge Lozano…

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