Bloccati gli aiuti umanitari ai rohingya
L'Osservatore Romano
Le organizzazioni delle Nazioni Unite denunciano l’impossibilità di raggiungere le zone al confine con il Bangladesh
In alcune zone del Myanmar sono stati bloccati tutti gli aiuti umanitari ai rohingya in fuga dalle violenze. A darne notizia sono tutte le agenzie internazionali. I rifornimenti di cibo, acqua e medicine provenienti da organizzazioni delle Nazioni Unite sono stati completamente interrotti nello stato nord-occidentale del Rakhine, in particolare nell’area al confine con il Bangladesh, dove negli ultimi giorni quasi 400 persone sono morte nei violenti scontri tra militari del Myanmar e i ribelli dell’Esercito Arakan per la salvezza dei rohingya (Arsa), che vanno avanti dal 25 agosto.
Esponenti dell’Onu in Birmania hanno riferito al «The Guardian» che le consegne sono state sospese «perché la situazione della sicurezza e le restrizioni sul campo imposte dal governo» hanno reso impossibile «l’assistenza». Le autorità locali non permettono agli operatori di raggiungere le aree più critiche. L’Onu, hanno detto le stesse fonti, «è in stretto contatto con le autorità per assicurare che le operazioni umanitarie possano riprendere il più presto possibile». Circa sessanta grandi organizzazioni non governative, tra cui Oxfam e Save the Children, hanno protestato contro il governo del Myanmar che ha limitato l’accesso all’area del conflitto, impedendo l’arrivo degli aiuti.
Nelle ultime ore — stando ai media locali — le violenze sono cresciute di intensità, ma è ancora difficile avere bilanci precisi e ricostruire con esattezza quanto sta accadendo: i giornalisti non possono entrare nello stato del Rakhine. Il numero dei rohingya in fuga dalle violenze — afferma la portavoce dell’Onu, Vivian Tan — è notevolmente aumentato: dal 25 agosto almeno 87.000 persone hanno abbandonato i loro villaggi per dirigersi verso il confine con il Bangladesh. Diverse ong riferiscono che i campi allestiti dalle autorità del Bangladesh sono ormai stracolmi.
Due giorni fa il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, si è detto «profondamente preoccupato» e ha lanciato un appello alla calma e alla moderazione per evitare una catastrofe umanitaria. L’alto commissario dell’Onu per i diritti umani, Zeid Ràad Al Hussein, ha accusato senza mezzi termini il governo del Myanmar di avere ignorato decenni di «persistenti e sistematiche violazioni» contro i rohingya. Già il World Food Programme ha deciso di sospendere la consegna di aiuti alimentari nel Myanmar a causa del protrarsi della violenza nello stato di Rakhine. «Tutte le operazioni di assistenza nello stato Rakhine sono state sospese data la grave insicurezza nella regione. Questo avrà conseguenze su oltre 250 mila sfollati interni e sulla popolazione più vulnerabile» si legge in un comunicato. Le violenze, come detto, proseguono. E ci sono però testimonianze secondo le quali le violenze che stanno avvenendo in questi giorni nel Rakhine sono ancora peggiori. Chris Lewa, direttrice del gruppo di attivisti per i diritti dei rohingya Arakan Project, ha detto al «The Guardian» che 130 persone sono state uccise dall’esercito del Myanmar nel villaggio di Chut Pyin: l’esercito avrebbe circondato il villaggio e poi ucciso le persone che fuggivano, secondo quanto riferito dai testimoni.
Secondo le autorità sono stati gli stessi rohingya a dare fuoco ai loro villaggi, ma questa versione è smentita da Lewa.