Bloccare l’Aia: come l’esercito israeliano pensa di evitare azioni legali internazionali
NEAR EAST NEWS AGENCY
La decisione di indagare su episodi avvenuti durante l’operazione “Margine protettivo” a Gaza la scorsa estate ha creato scompiglio nell’esercito israeliano.
di Amos Harel – Ha’Aretz
La tempesta sulla brigata Givati – in seguito alle accuse di molestie sessuali e altri reati a sfondo sessuale nel battaglione Tzabar della brigata [due soldatesse israeliane hanno denunciato di essere state violentate ed altre di essere state molestate sessualmente. N.d.tr.]- che hanno tenuto occupato l’IDF per più di metà del mese di dicembre hanno lasciato il posto questa settimana a un’altra polemica che sembra essere più relativa a una questione di principio.
Quanti più ufficiali sono convocati negli uffici della polizia militare in giro per il paese per essere interrogati in merito ad episodi avvenuti durante l’operazione “Margine protettivo” contro Gaza la scorsa estate, tanto più intensa diventa la polemica nell’IDF. Lo Stato maggiore e i comandanti sul terreno sono in subbuglio per le 13 inchieste che sono state intraprese dalla polizia militare in base alle direttive dell’ufficio della procura generale militare. E anche se esperienze precedenti, dalla prima Intifada fino all’ultima guerra contro Gaza, dimostrano che solo raramente sono emesse imputazioni contro ufficiali per le loro infrazioni penali o disciplinari in battaglia – nessuno vuole diventare l’eccezione alla regola.
La persona al centro dell’attuale scalpore, il maggiore generale Danny Efroni, il procuratore generale militare (PGM), non sembra essere troppo disturbato dalla rabbia rivolta contro di lui. Questa settimana, come viene riportato da Gili Cohen [giornalista di Haaretz. N.d.tr.] nel suo articolo, ha detto che non cambierà il modo in cui sta conducendo le inchieste solo perché i sospettati sono ufficiali di alto grado. Il PGM ha spiegato che è un suo obbligo riservare lo stesso trattamento “sia a un civile che è appena stato arruolato che a un comandante veterano con i suoi gloriosi precedenti.” Ha aggiunto che, per quanto lo riguarda, lo “stato di diritto” nell’esercito israeliano non è solo un vuoto slogan.
C’è anche una ragione politica implicita nelle indagini, contenuta nella seconda parte del rapporto finale del comitato Turkel [commissione d’inchiesta nominata dal governo israeliano e composta da esperti israeliani e da due politici stranieri. N.d.tr.] che ha indagato sulla vicenda della flottiglia turca nel 2010: poiché Israele presuppone, di fronte al contesto sia dell’operazione “Margine protettivo” che del rapporto Goldstone delle Nazioni Unite nel 2009 relativo all’operazione “Piombo fuso” a Gaza, che un’esauriente indagine interna ridurrà la pressione internazionale e bloccherà misure legali all’estero contro ufficiali dell’esercito – il comitato Turkel ha sostenuto di avere un interesse acquisito nel perseguire queste indagini militari.
In seguito alla pubblicazione del rapporto Turkel, è stata decisa una nuova modalità di inchiesta militare, sotto il comando del maggiore generale Noam Tibor, per cui (soprattutto riguardo a incidenti nei quali una gran numero di civili palestinesi sono stati uccisi) vengono effettuati interrogatori operativi e i risultati sono condivisi con la PGM. I comandanti di brigate e battaglioni non gradiscono questo sistema, ma Efroni è convinto in tal modo di evitare loro di affrontare la Corte Penale Internazionale dell’Aia. Il pericolo dell’Aia, che in precedenza era percepito come teorico, è diventato più concreto questa settimana dopo che l’Autorità Nazionale Palestinese ha fatto richiesta di adesione alla Corte.
Questa settimana la pubblicazione sul sito Ynet di video clips, comprese le registrazioni dalle radio da campo dell’IDF durante la battaglia di Rafah il 1 di agosto (ora noto come “venerdì nero”), deve essere considerata in questo contesto. Questa informazione è trapelata come parte di una lotta che ha due obiettivi: ridurre la libertà di azione della PGM nell’inchiesta su lacune operative e come parte di uno sforzo in corso per salvare il colonnello Ofer Winter [ufficiale ultraortodosso secondo cui l’operazione era la “guerra santa contro i palestinesi”. N.d.tr.], comandante della brigata di fanteria Givati.
Winter è stato nell’occhio del ciclone fin dal conflitto a Gaza iniziato lo scorso luglio. Negli episodi relativi al battaglione Tzabar, che sono venuti alla luce dopo la guerra e non sono direttamente connessi a questo, Efroni ha deciso di porre fine all’inchiesta su Winter. Ma riguardo al “venerdì nero” a Rafah, se la PGM decide di iniziare un’indagine, gli ordini di Winter e le azioni per cercare di impedire il rapimento del luogotenente Hadar Goldin quel giorno [il presunto rapimento di Goldin da parte di miliziani palestinesi diede il via ad un attacco indiscriminato contro i civili a Rafah, che forse ha determinato la morte dello stesso Goldin. N.d.Tr.] saranno il fulcro dell’intera inchiesta.
Contrariamente all’impressione che si può ricavare da qualche reportage dei media, Efroni non ha “scoperto l’acqua calda” dopo l’operazione “Margine protettivo”. Dopo l’operazione “Piombo fuso”, il suo predecessore maggiore generale Avichai Mandelblit, ha ordinato alla polizia militare di interrogare formalmente l’uomo che all’epoca era il comandante della Givati, il colonnello Ilan Malka [l’ufficiale partecipò al “massacro del distretto di Zeitun”, nel quale vennero uccisi 48 palestinesi, quasi tutti civili, ed impedì l’arrivo delle ambulanze. N.d.tr.]. L’inchiesta penale contro Malka è finita, ma la sua promozione è stata rimandata ed egli è stato biasimato per un altro episodio, come lo è stato il comandante della divisione Gaza, il brigadiere generale Eyal Eizemberg [accusato di aver autorizzato un attacco con proiettili al fosforo contro una scuola dell’ONU piena di rifugiati durante “Piombo fuso”, è stato giudicato per “abuso di autorità in modo da mettere a repentaglio la vita altrui”, ma senza conseguenze. N.d.tr.] l’attuale capo del Comando del Fronte Interno.
Il capo di gabinetto [del govenro Netanyahu] Benny Gantz ha dichiarato mercoledì di avere “piena fiducia nel comandante della brigata Givati, nei comandanti di battaglione e in quelli di compagnia della Givati e di altre brigate.” I soldati e gli ufficiali, ha aggiunto, ricevono “il pieno appoggio degli ufficiali di comando…e se qualcuno ha trasgredito agli ordini e ha commesso gravi atti vietati ci occuperemo anche di questo. Faremo delle indagini e se necessario le completeremo con inchieste penali.” Con un gesto per lui inusuale, Gantz ha anche ordinato un’altra indagine della polizia militare: scoprire chi ha reso pubbliche le registrazioni della battaglia di Rafah.”
Come ampiamente prevedibile, i politici sono saliti sul carro dell’appoggio agli ufficiali presi di mira. Stavolta il primo a farlo nel governo Netanyahu non è stato Naftali Bennett [ministro dell’Economia e capo dell’estrema destra dei coloni. N.d.tr.], ma piuttosto Moshe Kahlon [ministro delle Comunicazioni e del Welfare e Servizi sociali, ex Likud e fondatore del nuovo partito di destra Kulanu. N.d.tr.], con un post su Facebook dopo che le registrazioni sono state rese pubbliche. Kahlon ha tracciato i limiti dell’inchiesta penale, in base al suo punto di vista: depredare e sparare intenzionalmente contro i civili sono atti che devono essere sottoposti a un’inchiesta penale, ma l’uccisione involontaria di civili durante azioni militari non deve essere indagata.
Si tratta di un argomento discutibile per tre ragioni. Primo, perché sparare senza che sia stato ordinato in un contesto di civili (“Smettete di sparare, state sparando come idioti!” si sente rimproverare i suoi uomini un comandante di battaglione della Givati nella rete radiofonica dell’esercito) denota un problema di professionalità. Ed è dimostrato che i rapporti sulle operazioni non chiariscono necessariamente appieno i fatti. Secondo, se l’IDF è effettivamente l’esercito più morale al mondo, come sentiamo ripetere giorno e notte, non può ignorare l’uccisione di dozzine di civili, anche se non intenzionale, per non parlare dell’eventualità che sia stata voluta. E terzo, il diritto internazionale pone l’obbligo di tale inchiesta penale, e Israele sta giocando su questo piano, anche se con disappunto.
Comunque, le lamentele a proposito dell’umiliazione dei pezzi grossi dell’IDF durante l’inchiesta sembrano esagerate. Se un comandante di brigata o di battaglione è in grado di guidare coraggiosamente le sue truppe in battaglia, sotto il fuoco nemico, dovrebbe sicuramente essere capace di affrontare qualche seccante domanda da parte di un sottotenente della polizia militare.
Un quadro fosco
Questa settimana l’IDF ha annunciato la conclusione del suo rapporto operativo sull’operazione “Margine protettivo”. Se le indagini sulla seconda guerra in Libano, nel 2006, hanno trasmesso un chiaro senso di vergogna nei ranghi dell’esercito, fino al punto da arrivare all’autoflagellazione – non è questo lo spirito del rapporto relativo a Gaza. L’esercito israeliano è uscito da Gaza deciso a persuadere la nazione di aver vinto la guerra.
Chiaramente il comitato per gli Affari Internazionali e la Difesa della Knesset non ha intenzione di impedirlo. Il nuovo portavoce del comitato, il parlamentare Yariv Levin (del Likud), ha annunciato ufficialmente questa settimana quello che era già scontato un mese fa, quando si è deciso di andare alle elezioni: la pubblicazione del rapporto del comitato sull’operazione “Margine protettivo ” sarà rimandata almeno fino il 17 marzo, giorno delle elezioni.
Le conclusioni dei vari sottocomitati – sul comportamento del gabinetto di sicurezza durante la guerra, sulla gestione delle unità di intelligence, sulla qualità della risposta dell’IDF al tipo di guerriglia attuata da Hamas a Gaza – dovranno tutte aspettare i risultati del voto. Infatti, anche se Levin non lo ha detto esplicitamente, si può ipotizzare che questi rapporti non verranno mai alla luce. Questa settimana la rivista “Atlantic” [prestigiosa rivista nordamericana. N.d.tr.] ha dedicato un lungo articolo di James Fallows alla “Tragedia dell’esercito americano” un’approfondita e sconvolgente analisi delle guerre combattute dagli Stati Uniti in Afganistan, Iraq e, ultimamente, in Siria. Il sottotitolo riassume la conclusione:”mancanza di considerazione per i costi e follia strategica si sono unite per attirare l’America in guerre senza fine che non si potevano vincere.”
Il mese scorso la “London Rewiew of Books” [prestigioso periodico letterario e politico inglese. N.d.tr.] ha pubblicato una recensione della stessa lunghezza relativa a cinque libri recentemente pubblicati che sollevano critiche spietate contro il coinvolgimento militare inglese in Afganistan. Gli inglesi, secondo un ufficiale delle forze speciali dell’esercito USA citato in uno di questi libri, “hanno firmato assegni in bianco” riguardo all’Afganistan. Questa recensione, stilata da James Meek, è intitolata “Peggio di una sconfitta.” E’ difficile paragonare Gaza all’Afganistan o all’Iraq. Anche se vediamo, come dovremmo fare, l’operazione “Margine protettivo” come un ulteriore episodio della prolungata campagna che sembra essere iniziata con il ritiro israeliano da Gaza nel 2005 – la più recente guerra nella Striscia non è paragonabile per lunghezza, costi o dimensione delle operazioni lunghe campagne condotte dalle potenze occidentali in Asia durante gli ultimi 13 anni. L’operazione della scorsa estate non può essere considerata un fallimento, in quanto l’IDF ha ottenuto qualche risultato concreto. Tuttavia solo dopo poco più di quattro mesi dal cessate il fuoco, ci si presenta un quadro fosco.
La gente è tornata da tempo ai suoi problemi quotidiani, e a ragione. L’esercito è convinto di avere vinto. La maggior parte dei reportage dei media sulla guerra a Gaza si concentra sull’imminente distribuzione di medaglie e sulla difesa degli ufficiali al comando di fronte a quella che viene vista come la persecuzione ai loro danni da parte delle autorità giudiziarie dell’IDF. Inoltre, i parlamentari sono troppo impegnati nelle prossime elezioni per occuparsi dei risultati delle varie inchieste. Rimangono solo le procure generali, ma ci vorranno mesi, forse un anno, prima che i loro gruppi di lavoro finiscano di scrivere i rapporti sui vari aspetti della guerra.
Gaza 2014 è stato il graffito sul muro riguardo alle caratteristiche dei nemici che Israele potrebbe incontrare nelle possibili guerre future in Libano, a Gaza o in Cisgiordania. Sembra che l’IDF stia ancora cercando il modo di operare quando si tratta di trovare una soluzione a un conflitto asimmetrico con un nemico che si insinua in mezzo alla popolazione civile. Pochi tra i decisori politici sono disposti a riconoscere questo stato dei fatti o ad impegnarsi per i cambiamenti necessari per affrontarlo.
Un cambiamento demografico
Verso la fine della guerra della scorsa estate, è sorta una discussione in merito ai suoi costi rispetto ai vari segmenti della popolazione israeliana. Indirettamente ha sollevato alcune implicazioni politiche. Chi fa l’estremo sacrificio in uniforme testimonia della qualità e del contributo di ogni specifico segmento? In particolare, Habayit Hayehudi [La Casa Ebraica, partito di estrema destra del ministro Naftali Bennett. N.d.tr.] è abile nel trasformare la preponderanza del movimento religioso sionista nelle brigate di fanteria e nelle unità d’elite in successi nelle urne. Ma questa volta l’impressione è che le origini sociali o la residenza dei soldati che sono stati uccisi siano state più equilibrate: soldati religiosi accanto a quelli dei kibbutz, quello che si suole definire il “Vecchio Eretz [Grande] Israele” insieme alla periferia [Harel si riferisce alle” città di sviluppo”, costruite a nord e a sud di Israele, in zone isolate, per popolarle con ebrei immigrati dal Nord Africa (i “mizrahì”, o sefarditi), dall’Etiopia (i “falascia”) e più recentemente dall’ex Unione sovietica (i “russi”). N.d.tr.], e così via.
Il professor Yagil Levy, dell’Open University, che ha studiato per molti anni i rapporti tra l’esercito e la società, ha studiato la disaggregazione dal punto di vista demografico dei soldati dell’IDF caduti. Dopo la seconda Intifada e la seconda guerra del Libano le analisi di Levy sui dati hanno mostrato un cambiamento concreto. Per esempio, se si fa un confronto tra i soldati uccisi nel primo fine settimana della guerra del Libano del 1982 e quelli morti durante tutta la guerra del 2006 emerge che la percentuale dei caduti che Levy definisce come della “classe media laica” diminuisce dal 68% al 54%.
La stessa percentuale ricavata per la guerra della scorsa estate, afferma, forse contrariamente all’impressione dell’opinione pubblica. Anche a Gaza il 54% dei morti era della classe media laica (che include membri dei vecchi kibbutz e moshav [comunità agricole sioniste originarie. N.d.tr.]). Gli altri si dividono tra soldati religiosi osservanti (20%) e soldati dalle zone periferiche (nuovi immigrati, residenti di città lontane, minoranze – 26%). Secondo Levy, i dati relativi a quelli che sono caduti nell’operazione “Margine protettivo” rafforzano la tendenza che è stata individuata all’inizio dello scorso decennio. Nella composizione sociale dell’IDF, come in quella dei soldati morti in battaglia, le zone periferiche hanno acquisito un peso notevole, e questo rimane invariato.
(traduzione di Amedeo Rossi)
Fonte: http://nena-news.it
9 gennaio 2015