Birmania, un anno dopo
Cecilia Brighi
Le potenti immagini della pacifica rivolta dei monaci birmani iniziata il 26 settembre 2007 hanno inondato gli schermi delle televisioni del mondo e i giornali. Adesso cosa accade?
26 settembre 2007. Da giorni una fiumana interminabile di monaci con le loro tonache rosso scuro marciavano insieme alla popolazione di Rangoon e di molte altre città, per protestare contro la dittatura militare. Molti marciavano con le ciotole rivoltate all’ingiù. Avevano deciso di respingere le offerte di cibo dei membri della giunta come segno di grave disaccordo. Le potenti immagini di questa pacifica rivolta hanno inondato gli schermi delle televisioni del mondo e i giornali.
La scintilla era scoppiata alla fine di agosto quando la giunta aveva deciso di togliere i sussidi al carburante, al gas e alla benzina, provocando aumenti fino al 500% dei prezzi. L’opposizione aveva colto questo giro di vite per dispiegare il dissenso politico e sociale, così come era avvenuto 20 anni prima: nel 1988. Due sono state però le grandi differenze tra le manifestazioni di allora e quelle dello scorso anno. Il movimento democratico in questi venti anni è riuscito ad organizzarsi pur nella quasi totale assenza di sostegni politici ed economici da parte delle grandi democrazie, che non sono andate molto al di la dei comunicati, delle risoluzioni, delle dichiarazioni.
Il secondo elemento di cambiamento è stato prodotto dalla tecnologia. Le manifestazioni del 1988 sono state represse duramente nel sangue con oltre 3.000 morti, senza che il mondo potesse esserne testimone. Lo scorso settembre grazie ai telefonini, ad internet si è potuto sapere e vedere in tempo reale. Oltre 100 furono i morti. Sono caduti sotto il fuoco dei fucili dei militari, mentre manifestavano pacificamente. Uccisi dalla polizia e dall’esercito mandato per colpire e spazzare via nel sangue la protesta pacifica. Li abbiamo visti galleggiare nell’acqua di un fiume, schiacciati dalle ruote di camion militari, uccisi, come è avvenuto il 27 settembre al fotoreporter giapponese Kenji Nagai, armato di sola telecamera. Oltre 6.000 persone furono arrestate, compresi 1.400 monaci.
Molte le persone che si sono nascoste e che hanno vissuto quest’anno in clandestinità. Il mondo si è vestito di arancione, ha mostrato il suo sdegno manifestando di fronte alle ambasciate di tutto il mondo, ha chiesto un diverso impegno internazionale Stupì all’epoca di questi avvenimenti che il governo italiano, su indicazioni della nostra diplomazia, durante il dibattito parlamentare su una mozione presentata dalla Senatrice Solian, registrasse sviluppi positivi nel dialogo con le agenzie internazionali in una situazione in cui, invece, il Relatore speciale sulla Birmania del Consiglio per i diritti umani dell'ONU, Paulo Sergio Pinheiro aveva continuato ad esprimere la profonda preoccupazione per la continuazione delle violazioni dei diritti umani. All’epoca durante i tragici avvenimenti ancora in Italia si pensava di invitare i rappresentanti della giunta ad un corso sul diritto umanitario e si riteneva che il rafforzamento della Posizione Comune Europea non fosse accettabile in quanto tale inasprimento difficilmente avrebbe prodotto dei risultati e rischiando invece di rafforzare l’auto isolamento della giunta .
In Europa dopo le pressioni generalizzate, e un cambiamento di rotta anche del governo italiano, si poi è finalmente ottenuto l’impegno perché imporre delle vere sanzioni economiche, fino ad allora irrisorie e solo nominali. Sanzioni che sono entrate in vigore solo a marzo 2008 e che non comprendono settori vitali per la giunta come quello del gas, il settore finanziario, le banche e le assicurazioni. Marzo. Solo 6 mesi fa. E già oggi qualche autorevole voce sostiene che le sanzioni non hanno prodotto risultati e che si dovrebbe usare il bastone e la carota e forse più la carota che il bastone. In realtà la giunta militare birmana sino ad oggi ha goduto di molte aperture, sul piano politico ed umanitario.
Poi è arrivato propiziamente, per la giunta, il ciclone Nargis. Anche in questa occasione la brutalità della giunta non si è fatta attendere. Gli oltre 440.000 militari, il decimo esercito al mondo, non è stato impiegato da subito in questa tragedia umanitaria, ma è stato mobilitato per mandare avanti i piani della giunta. Si doveva attuare il referendum per la approvazione di una nuova costituzione, che avrebbe garantito per il futuro il potere ai militari, mostrando al contempo una vernice di democrazia, per i governi più esigenti. E così è stato. Il referendum si è tenuto il 10 maggio a solo una settimana dal ciclone, e il 24 maggio nelle zone colpite dalla sciagura. La gente è stata costretta a votare di fronte ai militari e ai funzionari governativi. E’ stata minacciata, ricattata, obbligata. E il risultato è stato scontato. Le organizzazioni umanitarie internazionali hanno dovuto chiedere in ginocchio di aprire le frontiere agli aiuti. Ban Ki moon si è recato in Birmania in missione umanitaria e ha promesso aiuti internazionali chiedendo disperatamente l’apertura delle frontiere ai urgente per cercare di sbloccare la situazione. qualche governo ha chiesto un intervento urgente a fronte di tanta indifferenza della giunta. Tre milioni di persone colpite direttamente circa 200.000 morti. La giunta ha imposto condizioni e controlli rigidissimi ai cooperanti internazionali. Molte delle risorse umanitarie sono state drenate illegittimamente dai militari e dai tassi di cambio imposti. Si dice che la giunta non sia stata mai tanto ricca anche se si è arrivati ad una inflazione pari al 50%.
Nello stesso periodo la giunta ha prorogato di un altro anno gli arresti domiciliari della leader birmana Aung San Suu Kyi. L’Onu è intervenuta inviando solo poche settimane fa Ibrahim Gambari a Rangoon. Ma anche questa missione è stata inconcludente. Than Shwe il grande capo si è rifiutato di incontrarlo e questa volta anche la leader birmana non ha incontrato il rappresentante ONU. Anzi. Aung San Suu Kyi dal 16 agosto al 15 settembre ha messo in atto una sorta di sciopero della fame, rifiutando di prendere le scorte alimentari che le venivano recapitate al cancello della sua casa prigione. Solo le pressioni del suo avvocato che aveva riscontrato il grave deperimento del suo stato di salute hanno convinto la Signora a desistere da questa iniziativa di protesta.
Oggi di fronte a tutti questi avvenimenti, agli oltre 2130 prigionieri politici ancora in carcere, alla attuazione caparbia da parte della giunta della Road map per la democrazia che avrà il suo culmine con le elezioni del 2010, al lavoro forzato, ai bambini soldato, al fatto che Transparency International indica la Birmania come il paese più corrotto al mondo, oggi l’opposizione birmana chiede al mondo e all’Italia un atto di coraggio: il ritiro delle credenziali della giunta militare all’ONU. Immediatamente arriva la risposta della giunta che conosce bene gli spazi e a volte la superficialità interessata della diplomazia internazionale. Due giorni fa vengono liberati 9002 detenuti civili, molti sono disertori, piccoli ladri, gente in carcere per reati minori. Solo 6 sono i prigionieri politici liberati. Uno dei quali: U Win Htein, 67 anni condannato nel 1996 a 14 anni di carcere è arrestato nuovamente il giorno dopo. A settembre 2007 i detenuti politici erano 1000, oggi sono 2.130.
Un segno di apertura, ha dichiarato Ban Ki moon dopo la liberazione dei detenuti ed ha chiesto la liberazione degli altri detenuti politici.
Si dice che la richiesta di ritiro delle credenziali sia intempestiva? E quando sarà tempestiva? Quanti il sangue di ulteriori morti bagnerà di nuovo le strade di Rangoon? Quanti prigionieri politici dovranno soffrire il carcere? Quante migliaia di lavoratori forzati dovranno subire quest’ oltraggio? Quanti bambini soldato ancora? Quante ragazze, donne e anziane dovranno essere ancora stuprate per affermare che questa giunta non può rappresentare il popolo birmano nelle sedi internazionali?
La giunta punta alle elezioni del 2010, qualcuno afferma che “bisogna lavorare perché le elezioni siano libere e corrette” Ma il governo in esilio, i parlamentari in esilio, il sindacato e le organizzazioni democratiche birmane, l’NLD il partito di Aung San Suu Kyi chiedono un tavolo negoziale per modificar la costituzione arbitraria appena approvata e chiedono di non riconoscere la scandenza elettorale, che legittimerà la giunta militare. Sicuramente la diplomazia e Ban Ki moon che andrà in missione politica a Rangoon devono spingere per la liberazione dei prigionieri politici e la apertura di un tavolo negoziale in tempi certi per rivedere la costituzione. L’ONU, la Ue e i governi devono agire politicamente e la richiesta di ritiro delle credenziali alla giunta militare rappresenta uno strumento importante di pressione, insieme alle sanzioni economiche e al dialogo diplomatico. Il governo in esilio ha appoggiato la richiesta dei parlamentari birmani e ad agosto in un comunicato ha affermato:
..” la cricca militare dell’SPDC non ha la legittimità a rappresentare la Birmania o il popolo del paese come si è reso evidente dai risultati delle elezioni multipartitiche e democratiche del 1990, dai giudizi del popolo di tutte le nazionalità in Birmania e secondo la legislazione internazionale. Poiché la cricca non è niente altro che un gruppo di dittatori militari, che ha usurpato illegalmente il potere dello stato attraverso la forza, qualsiasi atto effettuato per evidenziare l’illegittimità della clicca o per sfidare le sue credenziali alle Nazioni Unite o in ogni altra arena internazionale da parte di qualsiasi organizzazione all’interno del paese o all’estero è giustificatamente corretta e anche diritto di tale organizzazione”
Per cui in conclusione, l’NCGUB desidera dichiarare che politicamente ed in principio concorre con e accoglie positivamente la richiesta di impugnare le credenziali della clicca militare birmana alle Nazioni Unite da parte delle forze democratiche guidate dalla International Burmese Monks Organization, la Sasana Moli, e l’ NCUB. ”
Chi conosce un pochino la storia dell’Onu sa che la denuncia delle credenziali apre un percorso politico importante. Lo è stato per il caso del Sud Africa. Le credenziali del governo furono rigettate dal Comitato Credenziali ONU nel 1970 e questa decisione fu interpretata dal presidente della Assemblea Generale Onu come un fatto che non impediva al governo di questo paese di partecipare ai lavori ONU e infatti, dal 1970 al 1972 la Assemblea generale non ha accettato ne rigettato le credenziali della delegazione di questo paese, le credenziali furono rigettate nuovamente dal Comitato Credenziali nel 1974. queste furono rigettate anche dalla Assemblea Generale ONU che chiese una decisione da parte del Consiglio di Sicurezza. Che nel 1974 non decise di rifiutare le credenziali del Sud Africa ma decise e impose l’embargo sulle armi nel 1977 e dichiarò poi nel 1984 la costituzione come “nulla e priva di forza legale”. Lo stesso è avvenuto per l’Ungheria dopo i fatti del 1956. le credenziali furono ritirate sino al 1963, quando il regime potè dimostrare il controllo pieno del paese, senza più l’assistenza di forze straniere…
Molti altri sono stati i casi: Cambogia, Yemen, Congo, Afghanistan per il quale dal 1996 al 2000 i talibani furono esclusi dalla rappresentanza all’Onu. Haiti quando nel settembre 1991 i militari effettuarono un colpo di stato e il Comitato Credenziali ONU decise di non accettare le credenziali del governo militare. Lo stesso avvenne per il caso di >Sierra Leone nel 1996.
La storia di queste decisioni è un dato importante che non può essere sottaciuta. Oggi ad un anno dai tragici avvenimenti la giunta militare cerca ancora una volta di ottenere credito. Sta al mondo non perdere traccia di quanto è successo e agire di conseguenza, spetta ai governi accompagnare il deciso negoziato politico diplomatico diretto e mediato dall’Onu con altrettanta decisione e impegno, soprattutto a sostegno delle legittime decisioni dei rappresentanti del popolo birmano. Quelli eletti nelle uniche libere elezioni del 1990.
di Cecilia Brighi
Fonte: Articolo21
27 settembre 2008