Birmania, quali sanzioni?


Junko Terao


La Cisl pubblica la nuova lista delle aziende che fanno affari con Rangoon. Parla Cecilia Brighi…


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Birmania, quali sanzioni?

Gas, petrolio, pietre preziose e legname pregiato: gli ostacoli a un intervento efficace della comunità internazionale sulla giunta birmana, perchè avvii un vero processo democratico e la smetta di perseguitare i suoi oppositori, a cominciare dalla sua nemica numero uno adesso in carcere, Aung San Suu Kyi, sono tanti. In attesa della sentenza, rinviata al 6 giugno, che molto probabilmente condannerà la leader dell’opposizione birmana, e di un’azione concreta dell’Unione Europea, che ancora non si è pronunciata in merito, ci si chiede quale sia la maniera più incisiva per fare pressione sui militari di Rangoon. Nonostante le sanzioni decise dall’Ue in seguito alla repressione nel sangue della rivolta zafferano del 2007, infatti, le aziende che continuano a fare affari con la giunta birmana sono parecchie, anche in Italia. La lista, con nomi e fatturato di import ed export, l’ha fornita la Cisl qualche giorno fa, come già fece nel 2007 chiedendo alle aziende interessate di interrompere rapporti commerciali che, più o meno direttamente, rimpinguano le casse dei militari. Allora la Farnesina convocò le circa 360 aziende nostrane interessate, e oggi la lista è un po’cambiata: sono spariti alcuni grandi nomi come Bulgari, per esempio, che si è impegnata a non importare più pietre preziose dalla Birmania; non ci sono più Oviesse, del Gruppo Coin, e Foppapedretti, che dal Paese del sudest asiatico importavano mobili di tek per la grande distribuzione. Spariti i marchi famosi, rimangono però gli importatori di legname più o meno “sconosciuti”, che non hanno mai interrotto i rapporti con la Birmania, incuranti della situazione politica e umanitaria sotto una delle dittature più repressive e sanguinarie e incuranti, oltretutto, del regolamento europeo rinnovato a febbraio 2008, che vieta l’importazione di una serie di prodotti tra cui legname, carbone, alcuni metalli, pietre preziose e semipreziose. Del regolamento se ne infischia Van Cleef&Arple, per esempio, presente sia nella lista del 2007 che in quella appena aggiornata, che nel 2008 ha comprato pietre preziose in Birmania per 50.600 euro. E se ne infischiano aziende tessili come la Gariglio di Vercelli (765mila euro di import l’anno scorso e 300mila nei primi mesi del 2009), e di legname, come Semeraro (50mila euro e rotti) e Comilegno di Udine (543mila euro circa). Rispetto a due anni fa, il numero delle aziende è notevolmente diminuito, ma questo non significa necessariamente che chi non compare nella lista abbia davvero interrotto le importazioni. Come spiega al Riformista Cecilia Brighi, responsabile Cisl dei rapporti internazionali e con i Paesi asiatici, “il problema sono le triangolazioni”. Molte aziende, infatti, aggirano l’ostacolo dei divieti comprando prodotti birmani attraverso aziende di altri Paesi, come la Cina e la Thailandia, per esempio. “Senza un sistema di rintracciabilità dell’origine dei prodotti che entrano in Europa il regolamento perde efficacia”, continua Brighi. “Ci sono poi molte aziende italiane che esportano in Birmania prodotti a rischio di utilizzo duplice: settori come la siderurgia, l’elettrotecnica, l’elettronica sono banditi dal regolamento europeo perchè i loro prodotti potrebbero essere facilmente destinati alla difesa e, ad ogni modo, interessano sicuramente aziende direttamente controllate dalla giunta. E’il caso, per esempio, della Danieli che si occupa di officine meccaniche e ha fatturato, nel 2008, oltre 670mila euro in esportazioni, o della Avio spa”. Se l’Ue impone delle restrizioni che vengono però puntualmente ignorate, è chiaro che serve un’azione più incisiva: “bisognerebbe sanzionare non solo il governo birmano, ma anche le aziende che con questo fanno business”, secondo Cecilia Brighi. Ma gli affari più consistenti i militari birmani li fanno con le multinazionali di gas e petrolio, tra cui la francese Total e la statunitense Unocal, i cui interessi vanno ben al di là di ogni remora rispetto ai diritti umani calpestati. Aspettarsi un cambio di politica da simili colossi è escluso, ma un’altra soluzione efficace per mettere il bastone tra le ruote alla giunta ci sarebbe. “L’Unione Europea, che non si è ancora espressa in merito alle nuove sanzioni, dovrebbe dare la priorità a due settori chiave: quello finanziario – quindi bloccare tutte le transazioni e i trasferimenti bancari in Euro, perchè da quando gli Stati uniti hanno bloccato quelle in dollari, le imprese e la giunta si sono convertite alla moneta Ue -, e quello delle assicurazioni commerciali. Il più grande mercato delle assicurazioni internazionali, infatti, si trova in Europa, con Lloyd che è un colosso del settore e che non si è dimostrata indisponibile al riguardo, anche perchè la quota di assicurazioni in Birmania non è molto elevata e rinunciarvi non sarebbe una grande perdita. Queste sarebbero le azioni più incisive da intraprendere contro la giunta”, conclude Brighi.

Fonte: Lettera22 e il Riformista

31 maggio 2009

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26.05.09 – Conquiste del Lavoro-Quotidiano CISL

Birmania, dalla CISL solidarietà per Aung San Suu Kyi.

Le imprese italiane ed europee non investano in Birmania, un Paese "soffocato" dal regime militare.

E' l'appello lanciato dal segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, durante una conferenza stampa congiunta con il ministro degli Esteri Franco Frattini sul caso di Aung San Suu Kyi, la 63enne leader democratica e Premio Nobel per la Pace, agli arresti domiciliari da 13 anni e sottoposta in questi giorni ad un nuovo processo per impedirle di partecipare alle elezioni dell'anno prossimo.

"La nostra principale richiesta in queste ore è quella di liberare la leader dell'opposizione e deferire all'Alta corte (la Corte Penale Internazionale o Cpi, ndr) la giunta militare per crimini contro l'umanità" ha spiegato Bonanni ai giornalisti.

L'Organizzazione internazionale del lavoro (Oil), ha ricordato il sindacalista, ha già "registrato l'esistenza di lavoro forzato per diverse migliaia di persone, e credo che in nessun posto del mondo – ha aggiunto – ci sia una situazione così incresciosa".

Secondo Bonanni, la Corte internazionale deve agire "immediatamente" in base alla denuncia dell'Oil, che "non è un organismo di parte" ma "rappresenta tutte le istituzioni del lavoro mondiale".
Il segretario della Cisl ha valutato che le aziende italiane che fanno affari con il regime birmano sono ancora "troppe". Per questo, ha fatto notare, il sindacato chiede "da diverso tempo di astenersi dal fare affari con una giunta liberticida e di prepararsi a fare affari con un governo legittimo del popolo birmano". "È importante fare affari – ha proseguito – ma è importante farli con autorità legittime. Ci sono delle sanzioni, io spero che siano gestite meglio anche in Italia attraverso una verifica maggiore sulla legalità nella dogana, ad esempio, nella circolazione delle merci tra i due paesi".

Frattini: ritiro aziende petrolifere sarebbe positivo

Con Bonanni alla Farnesina anche il capo del sindacato birmano in esilio Maung Maung, il quale ha descritto un quadro allarmante non solo per le terribili condizioni in cui versa il popolo birmano ma anche sulle pessimistiche previsioni che riguardano il processo farsa di Aung San Suu Kyi. Secondo Frattini "le imprese italiane, ma anche quelle degli altri Paesi europei, dalla Francia alla Gran Bretagna" secondo Frattini, devono capire che "ci sono dei limiti alla moralità del profitto degli affari. Quando con una presidenza imprenditoriale importante si dà alla giunta uno strumento per sopravvivere, è chiaro che questo limite viene superato".

Il governo italiano, ha spiegato il ministro, lancia così un appello al senso di solidarietà internazionale che giustificherebbe il ritiro degli investimenti nelle attività del regime. Il capo della diplomazia ha ricordato che l'Unione Europea ha scelto di mantenere le sanzioni contro il Myanmar, a causa della svolta negativa nei confronti della leader della Lega nazionale per la democrazia.

E questo "al di là delle posizioni individuali", come quella del ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner che si è dichiarato contrario a questa soluzione. Da parte dell'Ue, ha fatto notare Frattini, c'è comunque una disponibilità a modificare le sanzioni "sia per attenuarle, sia per aggravarle a seconda dei comportamenti della giunta. Il primo elemento chiave sarà l'esito del processo a Suu Kyi".

Frattini ha raccontato poi ai giornalisti della visita alla leader dell'opposizione birmana da parte di alcuni diplomatici, fra cui l'ambasciatore italiano Giuseppe Cinti. Lei si è rammaricata di non potere parlare con ciascuno di loro, ma aggiunto: "La vostra presenza è importante er me". "Per questo – ha considerato Frattini – è importante restarle vicino".
Quanto alla prospettiva di elezioni nel 2010, il titolare della Farnesina ha definito "ridicolo parlare di elezioni quando il leader dell'opposizione è in carcere".

Ministri degli Esteri Asia-Ue: "Liberate San Suu Kyi"

La vicenda di Aung San Suu Kyi è stata anche al centro del vertice dei ministri degli Esteri dei paesi dell'Unione europea e dell'Asia, riuniti ad Hanoi. I ministri hanno auspicato maggiore libertà per i partiti politici in Birmania e una "scarcerazione" rapida delle persone "detenute", tra cui la leader dell'opposizione Aung San Suu Kyi.

L'appello è stato lanciato nel comunicato conclusivo dell'incontro. I ministri dei 27 paesi dell'Ue, dei dieci membri dell'Asean e dei sei altri paesi asiatici – Cina, Corea del Sud, India, Giappone, Pakistan e Mongolia – sono in Vietnam per una riunione Ue-Asia che in origine doveva essere dedicata alla crisi finanziaria mondiale. "Alla luce delle preoccupazioni sugli ultimi sviluppi della vicenda della leader dell'opposizione Aung San Suu Kyi, i ministri hanno discusso della situazione in Birmania", secondo il comunicato finale della riunione.

Ieri la giunta militare birmana ha annunciato di poter prolungare di altri sei mesi il periodo di assegnazione agli arresti domiciliari della leader della Lega nazionale per la democrazia, che scade oggi, 27 maggio.


Comunicato-Stampa CISL


Birmania, Bonanni: "Il lavoro forzato, un crimine contro l'umanità. La giunta militare risponda alla Corte Penale Internazionale" .

"Bisogna colpire subito la giunta militare birmana, che si è macchiata di crimini contro l'umanità". E' l'appello lanciato dal segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni, nel corso della conferenza stampa svoltasi alla Farnesina in presenza del ministro degli Esteri Franco Frattini sulla vicenda Aung San Suu Kyi.

"La nostra principale richiesta in queste ore è quella di liberare la leader dell'opposizione e deferire all'Alta corte (la Corte Penale Internazionale o Cpi, ndr) la giunta militare per crimini contro l'umanità" ha detto Bonanni ricordando che l'Organizzazione internazionale del lavoro (Oil), ha già "registrato l'esistenza di lavoro forzato per diverse migliaia di persone, e credo – ha aggiunto -che in nessun posto del mondo ci sia una situazione così incresciosa. La Corte internazionale agisca immediatamente – ha detto – in base alla denuncia dell'Oil (agenzia specializzata delle Nazioni Unite, ndr) che non è un organismo di parte ma rappresenta tutte le istituzioni del lavoro mondiale".
Un appello inoltre alle imprese italiane ed europee a non investire in Birmania, un Paese ''soffocato'' dal regime militare.

"Ancora troppe" infatti secondo il segretario della Cisl, le aziende italiane che fanno affari con il regime birmano. "E per questo motivo che da tempo il sindacato chiede di astenersi dal fare affari con una giunta liberticida e di prepararsi a fare affari con un governo legittimo del popolo birmano". Bonanni ha pertanto espresso l'auspicio che da parte dell'Italia vi siano "sanzioni gestite meglio" insieme a "una verifica maggiore della legalita' nelle dogane, nella circolazione delle merci tra i due paesi".
A tale riguardo si è espresso il Ministro Frattini, secondo il quale ''deve esserci un limite'' alla ricerca del profitto. Vi e' un legame fortissimo tra crescita economica e liberta'. Al di la' delle posizioni individuali – ha detto il ministro riferendosi alle perplessita' francesi sulle sanzioni – la soluzione deve essere quella che l'Europa ha adottato lo scorso aprile: non indietreggierà sulle sanzioni contro la Birmania, a meno che il regime militare non 'ripristini le condizioni di liberta''' e ''garantisca i diritti della persona''. "Per questo – ha concluso Bonanni – dobbiamo far sentire tutto il nostro dissenso".


Aung San Suu Kyi l'emblema che il regime non può reprimere.

di Cecilia BRIGHI – Dipartimento Internazionale CISL
  
Aung San Suu Kyi è la leader indiscussa dell'opposizione al regime di Rangoon ed è per il suo alto valore simbolico che la giunta militare birmana cerca di ridurla al silenzio. E' quanto spiega Cecilia Brighi del dipartimento internazionale della Cisl. Il regime non è infatti riuscito a scalfire questo "emblema" che gode dell'85% del favore del suo popolo, come spiega Brighi, nemmeno dopo averla ridotta al silenzio con 13 anni di arresti domiciliari e un nuovo processo, in corso in questi giorni nella prigione di Insein, a Rangoon, con l'obiettivo di impedirle di partecipare alle elezioni dell'anno prossimo.

L'oppositrice birmana è accusata di aver violato i termini degli arresti domiciliari per aver permesso a un cittadino americano di entrare nella sua abitazione. Eppure, benché finora "non sia stato fatto nulla" per il destino di Suu Kyi, dice Brighi, gli strumenti per intervenire contro la giunta birmana non mancano.

Per capire il 'fenomeno Suu Kyi', Brighi parte da lontano, dalla famiglia e soprattutto dal padre, che la leader della Lega nazionale per la democrazia (Nld) non conobbe perché fu ucciso quando lei aveva appena due anni. Aung San fu il padre dell'indipendenza della Birmania dalla Gran Bretagna ottenuta proprio nello stesso anno, il 1947, in cui poi venne ucciso da una misteriosa pallottola.

Ma oltre alla figura paterna Suu Kyi crebbe accanto a una madre speciale come Khin Kyi, ambasciatrice birmana in India che le diede la possibilità di entrare in contatto con personaggi del calibro del Mahatma Gandhi e della famiglia Nehru-Gandhi. In India Suu Kyi ha appreso quell'impostazione politica che farà di lei un'icona del pacifismo mondiale e che metterà in atto nell'agosto del 1988 quando, tornata in Birmania dalla Gran Bretagna, dove viveva, per assistere la madre morente, parla a mezzo milione di persone davanti alla Pagoda di Shwedagon a Rangoon per protestare contro la repressione messa in atto pochi giorni prima dal regime del generale Saw Maung contro studenti che chiedevano la democrazia e che si concluse con circa 3mila morti.

Allora il suo partito vinse, "ma oggi l'Nld non ha alcuna speranza", spiega Brighi, perché secondo la Costituzione approvata l'anno scorso con un referendum farsa "il Capo dello Stato deve aver fatto parte dell'esercito e non può essere stato coniugato con un cittadino straniero, misure che hanno lo scopo di impedire che Aung San Suu Kyi possa essere democraticamente eletta". Inoltre, "è vietato il diritto di voto a chi appartiene a ordini religiosi, come i monaci, come pure a tutti i prigionieri politici attuali e pregressi".

In sostanza si priva del diritto di voto gran parte dell'elettorato di Aung San Suu Kyi. Come se non bastasse, "il 25% dei seggi del futuro Parlamento saranno nominati dai militari".
Nonostante questo, Suu Kyi continua a fare paura. Per questo serve l'intervento della comunità europea. "Ma finora non è stato fatto nulla", dice Brighi. Anche le sanzioni contro la Birmania risultano inefficaci perché applicate solo parzialmente. Per Brighi andrebbe colpito un settore strategico come quello del gas "che ogni anno fa guadagnare alla giunta birmana 3-4 miliardi di dollari dalla vendita a Cina e India".

Ma Brighi cita anche la francese Total, quarto gruppo petrolifero mondiale, che ha vasti interessi nel paese tra cui un gasdotto costruito da non molto.
"Bisognerebbe agire anche sul settore finanziario e assicurativo – continua Brighi – arrivando così a bloccare i flussi commerciali del paese". E poi andrebbe controllata l'effettiva applicazione di queste sanzioni. Brighi cita l'esempio del commercio del legno, come il pregiato teak, che viene tuttora importato "anche tramite la triangolazione perché questo legno viene venduto in Cina e Thailandia e da qui arriva nella Ue".

Per Brighi il dialogo con la giunta finora ha fallito. Le sanzioni vanno bene ma se applicate fino in fondo e con i dovuti controlli. Tuttavia ci sono altri strumenti che andrebbero messi in atto, andando oltre i semplici documenti di condanna e l'intervento di organi come Corte internazionale di Giustizia o la Corte penale internazionale attraverso il Consiglio di Sicurezza dell'Onu cercando di vincere la resistenza di Cina e India.

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