Birmania. Dalle elezioni farsa alla maledizione dei rubini insanguinati


La redazione


L’analisi della situazione birmana: lavoro forzato e lavoro minorile, stupri, deportazioni di massa. Questo pomeriggio a Perugia verrà consegnata la Cittadinanza Onoraria per Aung San Suu Kyi, a seguire la tavola rotonda coordinata da Giovanni Paoletti con Roberto Segatori, docente di sociologia dei fenomeni politici e Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della Pace.


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Birmania. Dalle elezioni farsa alla maledizione dei rubini insanguinati

BIRMANIA: Nota sugli sviluppi in materia di lavoro forzato, presentata al Gruppo Lavoratori del Consiglio di Amministrazione ILO.
-novembre 2010-

Cecilia BRIGHI
Dipartimento Internazionale CISL


Le elezioni

I risultati delle elezioni del 7 novembre, celebrate in base ad una Costituzione redatta unilateralmente dalla giunta, con l’obiettivo di mantenere il proprio potere e di governare attraverso la violazione dei diritti umani, dei diritti dei lavoratori e delle norme ambientali internazionali e in assenza di uno stato di diritto, non faranno altro che avallare, nella pratica, le violazioni delle Convenzioni ILO sul lavoro forzato e sulla libertà di associazione.

La Costituzione del 2008 garantisce di fatto al regime un’amnistia in relazione a qualsivoglia violazione dei diritti umani e ai crimini di guerra già commessi o che verranno commessi in futuro, istituendo una struttura di governo che consegna ai militari la facoltà di dirigere il paese e di proteggere perpetuamente i propri interessi.

Come già la Costituzione, nemmeno la legge elettorale risulta conforme alle norme internazionali, dato che impedisce l’esercizio delle libertà fondamentali e dei diritti politici dei cittadini, ivi compreso il diritto al voto e alla partecipazione.

Severe critiche sulla situazione dei diritti umani in Birmania sono state sottoposte all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite da parte del Segretario Generale Ban Ki moon e del Relatore Speciale dell’ONU sui Diritti Umani in Birmania, Thomas Ojea Quintana, il quale ha esplicitamente dichiarato che “nonostante gli appelli da parte di numerosi istituti e funzionari delle Nazioni Unite, fra cui il Consiglio di Sicurezza, l’Assemblea Generale, il Consiglio per i Diritti Umani, il Segretario Generale e il Gruppo di Lavoro sulla detenzione arbitraria, oltre ad istituzioni regionali, quali ad esempio l’Asean, […] il governo della Birmania non ha assunto nessuna misura rilevante volta alla creazione di un ambiente che potesse favorire elezioni credibili e inclusive”.

La legge elettorale è stata valutata da istituzioni internazionali e da numerosi governi come illegittima e antidemocratica; si tratta di una legge il cui obiettivo consiste nel trasformare la dittatura militare in una dittatura civile allo scopo di mantenere l’oppressione nei confronti del popolo birmano. In alcune aree abitate dai gruppi etnici le operazioni di voto sono state vietate.

I risultati elettorali e la Costituzione del 2008 minano la possibilità di sradicare il lavoro forzato; si tratta infatti di una violazione dei diritti umani la cui cancellazione risulta strettamente collegata alla democrazia e allo Stato di diritto. A tale proposito, desta particolare preoccupazione l’articolo 445 della Costituzione del 2008, che potrebbe impedire che in futuro il Governo sia chiamato a rispondere alla giustizia e sia posto di fronte alle proprie responsabilità.

In particolare, la sezione 359 della Costituzione del 2008 viola la Convenzione 29 dell’ILO e malgrado le Conferenze 98 e 99 dell’ILO abbiano richiesto la modifica di questa sezione al fine di portare la Costituzione in linea con la Convenzione 29, tale richiesta è stata ignorata. Al tempo stesso, la Costituzione del 2008 limita gravemente il diritto alla libera organizzazione, impedendo di fatto l’eliminazione del lavoro forzato, come pure di tutte le altre violazioni dei diritti umani.

L’8 novembre a Myawaddy e al Three Pagoda Pass si sono registrati scontri tra le truppe dell’SPDC e il DKBA, l’Esercito Buddista Karen Democratico, organizzazione paramilitare legata alla giunta. Gli scontri odierni tra DKBA e SPDC non sono altro che la conseguenza della decisione della Giunta di obbligare gli eserciti dei gruppi etnici a trasformarsi da enti indipendenti a forze di guardia di confine sotto il controllo diretto dell’SPDC. Gli scontri hanno causato due morti e numerosi feriti. Di conseguenza, circa 40.000 birmani sono fuggiti dirigendosi verso Mae Sot, sull’altra sponda del fiume, in Thailandia, con conseguenze gravi dal punto di vista sociale e della sicurezza.

Nei giorni 4 e 5 novembre si è tenuta la prima seduta storica del Parlamento del Popolo dell’Unione Federale della Birmania. Il Parlamento è composto dai Membri dell’Unione Parlamentare eletti nel 1990 e dai rappresentanti eletti delle organizzazioni etniche Mon, Karen e Karenni, che rappresentano gran parte della popolazione etnica. Il Parlamento ha approvato normative interne che condannano la Costituzione del 2008 e la legge elettorale redatte dalla giunta, respingendo di conseguenza i risultati delle elezioni. Ulteriori norme approvate impegnano il Parlamento del Popolo al rispetto dei diritti umani fondamentali, alla promozione dei diritti dei lavoratori, alla lotta contro il lavoro forzato, alla ratifica e all’attuazione delle convenzioni fondamentali dell’ILO e all’istituzione di una Commissione d’Inchiesta delle Nazioni Unite sui crimini di guerra e sui crimini contro l’umanità.

Violazioni dei diritti umani

Il Relatore delle Nazioni Unite sui Diritti Umani in Birmania Quintana ha reso pubblico nel mese di settembre un ulteriore rapporto nel quale si dichiara che le violazioni dei diritti umani, tra cui viene più volte citato il costante ricorso al lavoro forzato, costituiscono il risultato di una politica dello Stato con la complicità delle autorità a tutti i livelli di governo, dei militari e della magistratura. In base a ripetute denunce, sussisterebbe la possibilità che alcune di queste violazioni dei diritti umani possano rientrare nelle categorie dei crimini contro l’umanità o dei crimini di guerra ai sensi dello Statuto della Corte Penale Internazionale.

Stante questa mancanza di responsabilità, la Relazione sottolinea come le istituzioni delle Nazioni Unite possano considerare la possibilità di costituire una commissione d’inchiesta “con un mandato investigativo specifico in modo da intervenire sulla questione dei crimini internazionali”. La proposta ha assunto sempre maggiore rilevanza, data la possibilità di impunità per i responsabili di tali violazioni dei diritti umani sancita dalla Costituzione del 2008. Secondo la proposta di Quintana, l’istituzione di una commissione d’inchiesta sui crimini contro l’umanità potrebbe essere definita attraverso “risoluzioni adottate dal Consiglio per i Diritti Umani, dall’Assemblea Generale o dal Consiglio di Sicurezza, oppure dallo stesso Segretario Generale, che potrebbe costituirla su iniziativa propria”. La proposta è stata appoggiata nel mese di settembre da 12 paesi: Australia, Stati Uniti, Nuova Zelanda, Canada, Repubblica Ceca, Francia, Ungheria, Irlanda, Lituania, Paesi Bassi, Slovacchia e Regno Unito.

La violazione dei diritti umani e il ricorso al lavoro forzato comportano effetti a cascata sia nella regione, sia a livello internazionale, causando problemi di sempre maggiore gravità in relazione al crescente numero di rifugiati, ai flussi migratori e al traffico di esseri umani in tutto il sud-est asiatico.

La Birmania si colloca al decimo posto al mondo per le proprie riserve di gas naturale ed è un paese ricco di risorse naturali. La vendita del gas costituisce la principale voce di introiti per la giunta, dato che nel periodo 2008-9 ha rappresentato circa il 50% dei ricavi dalle esportazioni, per un totale di 2,4 miliardi di dollari. Nel recente passato la costruzione di gasdotti nel paese ha comportato il ricorso al lavoro forzato, alla confisca dei terreni e ad altri abusi dei diritti umani. Attualmente la Cina sta costruendo circa 4000 km di condotte parallele di gas e petrolio tra Birmania e Cina; successivamente la Cina procederà all’acquisto di riserve di gas naturale offshore che garantiranno alla giunta introiti per oltre 1 miliardo di dollari all’anno per i prossimi 30 anni. I lavoratori sono estremamente preoccupati del fatto che lungo il tracciato delle condotte sono stati dispiegati circa 13.200 soldati, con la potenziale conseguenza di reinsediamenti forzati, lavoro forzato, confisca dei terreni e numerosi altri abusi da parte dei soldati.
Sebbene nel 2007 gli introiti totali generati da petrolio e gas ammontassero a 150 milioni di dollari al mese, la spesa globale per la sanità è stata pari allo 0,7%, mentre quella per l’istruzione ha raggiunto appena lo 0,9%; inoltre il bilancio stanziato nel 2008 per la lotta all’HIV/Aids era pari a 200.000 dollari; il tutto in un contesto caratterizzato da una sempre più grave situazione sociale ed economica nel paese.

Inoltre, nel suo ultimo rapporto il Comitato degli Esperti ha rilevato un aumento delle denunce relative al reclutamento di minori da parte dei militari, oltre a intimidazioni, confisca di terreni e raccolti, molestie e incarcerazione per coloro che presentavano tali denunce.

Va ricordato che a tutt’oggi non è stata attuata nessuna delle Raccomandazioni della Commissione d’Inchiesta dell’ILO istituita nel 1997. Tali raccomandazioni richiedevano quanto segue:

1)    intervenire sui testi legislativi in modo da renderli conformi alla Convenzione n° 29;
2)    garantire che di fatto il lavoro forzato non venisse più imposto dalle autorità;
3)    comminare severe sanzioni penali contro l’imposizione del lavoro forzato.

Stante il considerevole incremento dei redditi provenienti da petrolio, gas e altre fonti di esportazione, risulta inaccettabile che a tutt’oggi non siano stati previsti i necessari stanziamenti di bilancio volti a garantire l’assunzione di lavoratori su base volontaria piuttosto che ricorrere al lavoro forzato.

Su tale specifica raccomandazione della Commissione d’Inchiesta, va inoltre rilevato come piuttosto che reindirizzare lo stanziamento dei fondi del bilancio statale dalla difesa alle opere pubbliche, la giunta abbia stabilito di stanziare gli introiti provenienti dai contratti internazionali relativi ai gasdotti e oleodotti non certo alle retribuzioni dei lavoratori,  non compensando adeguatamente gli abitanti dei villaggi locali per la deportazione e per i terreni espropriati, ma utilizzando gli utili per il finanziamento di ulteriori progetti militari, quali ad esempio la costruzione di 800 tunnel militari, la costruzione di una centrale nucleare e la sottoscrizione di un contratto per l’importazione di armi di distruzione di massa dalla Corea del Nord, oltre all’acquisto di 50 elicotteri da guerra Mi-24 e di 12 elicotteri Mi-2 per il trasporto armato dalla Russia, materiale del quale si prevede l’utilizzo a sostegno delle truppe di terra nelle offensive militari nelle aree abitate dai gruppi etnici.

Il commercio e gli investimenti esteri aggravano la situazione del lavoro forzato, le deportazioni, la violazione dei diritti umani, esasperando inoltre gli abusi dei diritti dei lavoratori e il degrado ambientale in Birmania; numerosi progetti, tra i quali quelli infrastrutturali gestiti da società straniere, in passato e ancora oggi continuano ad essere attuati ricorrendo a lavoro forzato, ai trasferimenti forzati dei villaggi,  alla confisca delle terre e  a numerose altre violazioni dei diritti umani e dei lavoratori, in violazione della Raccomandazione dell’ILO del 2000.


I Rapporti sul lavoro forzato dell' FTUB e della Federazione sindacale Karena affiliata all'FTUB

Secondo la denuncia dell’ FTUB, recentemente allo scopo di evitare potenziali denunce in molte situazioni, l’SPDC ha modificato la propria strategia   di reclutamento del lavoro forzato:

1.    al fine di evitare l’ identificazione, i comandanti dell’esercito e dei battaglioni dell’esercito dello Stato Karen utilizzano almeno tre nomi differenti nella redazione degli ordini di lavoro forzato;
2.    in numerose situazioni i documenti contenenti gli ordini non sono firmati e non recano nessun timbro, ciò vale in particolare per i documenti relativi alla pratica del lavoro forzato;
3.    piuttosto che utilizzare ordini scritti, i militari fanno ricorso ad ordini verbali impartiti ai capi villaggi.

Nello Stato Karen il numero di campi dell’esercito è aumentato, mentre in alcune aree si ricorre ai civili in qualità di sminatori.

Con l’arrivo dell’inverno, dopo la stagione delle piogge, si rendono necessari interventi di riparazione di strade e caserme nello Stato Karen. Rispetto a 10 anni fa, attualmente si utilizzano i bulldozer; ma i lavoratori forzati sono costretti a fare la guardia alle macchine movimento terra,  per evitare che i gruppi armati attacchino i cantieri.

A volte, piuttosto che emettere ordini scritti e timbrati l’esercito convoca il capo villaggio o direttamente gli abitanti impartendo loro i relativi ordini. I militari convocano riunioni durante le quali richiedono al capo villaggio di ordinare agli abitanti di svolgere determinati compiti, oppure di scegliere tra di loro chi dovrà farsene carico.

Lungo le strade che conducono ai campi militari non opera personale dell’esercito; sono gli abitanti dei villaggi stessi che si fanno carico del trasporto delle munizioni, del cibo, eccetera.
 Se i membri del KNU attaccano o rubano armi,  l’intero villaggio viene punito con l’obbligo di rimanere esposti al sole per due giorni.

Quanto sopra è accaduto nelle township di Kyar Inn Seik Gyi e in campi quali ad esempio quello di Payar Ngoto.

Nello Stato Mon il DBA ricorre al lavoro forzato. Attualmente nello Stato Karen i Battaglioni BGF n° 2015 e 2016 richiedono la fornitura di portatori da utilizzare nella costruzione di strade per conto dell’SPDC.

Miniere d'oro e Lavoro forzato

Nello Stato del Mon lungo il fiume Pelin, in una nuova miniera d’oro gestita da imprese cinesi sono di stanza tre battaglioni del BGF con il compito di sorvegliare lo sfruttamento della miniera. Questi battaglioni fanno ricorso al lavoro forzato.

Secondo il FTUB, sono necessarie maggiori attività per diffondere la consapevolezza nelle varie parti del paese; inoltre il materiale informativo pubblicato da ILO e Ministero del Lavoro dovrebbe essere tradotto nelle lingue etniche e quindi distribuito nei villaggi. Inoltre, il FTUB sottolinea come alcune delle indicazioni dovrebbero essere modificate, con particolare riferimento a quelle relative alle denunce di casi di bambini soldato. Risulta infatti difficile, se non addirittura impossibile, recarsi presso i centri di reclutamento, i centri di addestramento o i campi vicini per presentare le denunce.

È inoltre necessario modificare la formulazione dell’opuscolo ILO sottoscritto dal Ministero del Lavoro e distribuito nei villaggi.

Inoltre FTUK e FTUB sottolineano come sia necessario rafforzare la presenza dell’ILO in diverse aree del paese, in modo tale che coloro che intendono presentare denunce possano avere la possibilità di farlo senza che sia necessario recarsi a Rangoon.

La Federazione Sindacale Kawthooley (FTUK)

Secondo le denunce della FTUK, “nella situazione attuale il lavoro forzato e le violazioni dei diritti umani vengono praticate costantemente dalle truppe dell’SPDC nello Stato del Karen, ad esempio nelle aree di Toungoo, Nyaung Lay Bin e Pa Pun. Si tratta di aree localizzate nei pressi della capitale dell’SPDC, Nay Pyi daw.

Con l’obiettivo di tenere sotto controllo l’intera zona e di promuovere programmi di sviluppo nelle regioni collinari, l’SPDC recluta costantemente abitanti dei villaggi per il trasporto delle razioni da un campo all’altro, per la pulizia delle strade, la costruzione di ponti, la riparazione di campi dell’esercito, la fornitura di legname e bambù, la costruzione di tetti di paglia e la fornitura di animali domestici utilizzati come cibo”.

La FTUK ha appreso che il Funzionario di Collegamento dell’ILO Steve Marshal “si sia recato a Kyauk–Kyi e a Tan Ta Bin dove si è incontrato con funzionari locali dell’SPDC per discutere la questione del lavoro forzato nell’area; tuttavia secondo i funzionari locali non vi sarebbero casi di lavoro forzato nella zona”.

 La FTUK sottolinea inoltre che sebbene il Funzionario di Collegamento abbia potuto recarsi a Tantabin per verificare l’esistenza di casi di lavoro forzato, i casi di violazioni dei diritti umani sono numerosi ed eclatanti in altre aree in cui il Funzionario di Collegamento non si è potuto recare, quali ad esempio Kya Plaw, Bawgali Gyi o il Distretto di Toungoo. In queste zone la visita dell’ILO è stata limitata alla sola Kyauk Kyi, mentre casi di lavoro forzato sono stati denunciati a Htaik Htoo.

Il Rapporto della FTUK relativo allo Stato del Karen documenta “un’oppressione sistematica e brutale dei lavoratori nello Stato da parte dei militari birmani nei mesi di settembre e ottobre 2010.
Il ricorso al lavoro forzato prosegue fino ai giorni nostri nel Distretto di Doo Pla Yar. Il 9 settembre i militari dell’SPDC hanno costretto gli abitanti dei villaggi di Au Kraq e HWya That Kone a consegnare due pali di bambù al campo locale dell’esercito.

Il 25 settembre i militari hanno chiesto a 10 villaggi di fornire ciascuno un abitante per tre giorni per svolgere lavori presso il campo militare di Lay Nor. Il 30 settembre i militari hanno inoltre richiesto con la forza la fornitura di 200 pali di grandi dimensioni e di 700 pali di bambù a cinque villaggi.

Lo stesso è accaduto in altri villaggi nei Distretti di Kler Lwee Htu, Mu Traw e Tha Tu. Si ha inoltre notizia di numerosi altri casi collettivi di lavoro forzato nel Distretto di Taung Guo, commessi dal 9 settembre ad oggi. I militari hanno fatto ricorso al lavoro forzato per il trasporto di cibo, equipaggiamenti militari, pali di bambù trasportati per lunghe distanze fino ai campi militari, pulizia delle strade o taglio di arbusti e cespugli lungo le strade per distanze variabili tra le quattro e le sette miglia.

La FTUK sottolinea come gli appartenenti ai gruppi etnici, in particolare il KNU, abbiano interrotto da anni l’utilizzo di bambini soldato. Sono state costruite scuole per ex bambini soldato e sarebbe importante che l’ILO verificasse direttamente in merito e relazionasse al gruppo di lavoro delle Nazioni Unite su tale problema.

Distretto di Nyaung Lay Bin

Nel distretto di Nyaung Lay Bin i militari hanno richiesto che venisse loro fornita una persona da ciascuna famiglia per la costruzione della strada Natthangwin-Kyaukkyi (ad est del fiume Sittang). La richiesta ha riguardato il quartiere di Kywe Galay, il quartiere di Inn Net, il quartiere di Eusu e il quartiere di Naung Gone.

I lavoratori sono stati inviati in tali quartieri per la preparazione del terreno sul quale sarebbe stata tracciata la strada. I lavori sono partiti il 15 ottobre e sono terminati alla fine del mese. Successivamente l’esercito dovrebbe utilizzare un proprio bulldozer per riparare il terreno così preparato dagli abitanti del villaggio.

La ragione per cui si è fatto ricorso al lavoro forzato consisteva nell’evitare lo scoppio di mine che avrebbero distrutto il bulldozer. Facendo lavorare gli abitanti del villaggio davanti al bulldozer essi sarebbero stati i primi a subire gli effetti dello scoppio delle mine, risparmiando quindi il bulldozer, potenziale obiettivo dell’attacco dell’Esercito di Liberazione Nazionale Karen. La costruzione della strada era necessaria per il trasporto di forniture militari ai campi di frontiera.

Si ha testimonianza di altre attività simili nell’ottobre 2010 tra il campo dell’esercito di Thabyay Nyunt e il campo dell’esercito di Jolukamolu, in cui gli abitanti dei villaggi sono stati costretti a lavorare.
Distretto di Taungoo
La costruzione della strada tra Bawgali (Klehler in lingua Karen) e Yethoo Gyi è stata avviata il 20 ottobre con il lavoro svolto dagli abitanti del distretto di Taungoo. Il comandante del MOC 7 Colonnello Kyaw Aye del campo di Bawgali ha richiesto a ciascuna famiglia di contribuire con una persona per la preparazione del tracciato della strada davanti al bulldozer. I quartieri che sono stati costretti al lavoro per la predisposizione del terreno sono War Tho Kho, Lergo, Kler Ser Khee, Kaw Thea Der e Bawgali Gyi. L’IB 250 sorvegliava gli abitanti del villaggio durante il lavoro lungo la strada. I lavori per la costruzione della Bawgali-Yethoo Gyi sono proseguiti fino al 31 ottobre 2010.

Nella township di Tantabin, l’IB 102 del MOC 7 ha stabilito le seguenti quote di abitanti del villaggio da adibire al trasporto di equipaggiamenti militari dal campo base di Thabyay Nyunt al campo di Hteak Pu in data 15 ottobre 2010. Il viaggio per il trasporto dei carichi è durato due giorni.

Nome del villaggio               Maschi        Femmine
Play Hser Law (Hteak Pu)        9              3
Yulo                                       8              7
Plaw Paw Der                          6              6
Lay Wolo                                 6              3
Holo                                        6              3

Nei pressi della diga di Sheegyin da 75 megawatt, larga 3600 piedi e alta 185 piedi, il muro è molto più alto di quanto non fosse previsto nel progetto iniziale. Di conseguenza, l’acqua raggiunge livelli più elevati, sommergendo buona parte dei terreni, molti dei quali sono già ricoperti dall’acqua.

Questo obbliga molte persone a ricorrere a barche per i propri spostamenti. Già 1950 acri di terreni agricoli e di orti sono stati distrutti. Questa situazione corrisponde alla strategia militare dei quattro tagli, uno dei quali è il taglio delle comunicazioni. Attualmente già 14 villaggi sono completamente inondati e molto presto una superficie pari ad ulteriori 44 miglia quadrate sarà ricoperta dalle acque.

In realtà l’area allagata e il numero di villaggi coperti dalle acque aumentano costantemente, mentre nessuno degli abitanti ha ricevuto qualsivoglia indennizzo per aver dovuto spostare gli insediamenti più in collina. Aggrava ulteriormente la situazione il fatto che nonostante la diga sia stata completata i coltivatori non hanno accesso all’elettricità. Ulteriori dighe sono in corso di costruzione, quali ad esempio la diga di Bawkahta. Le acque si congiungeranno con quelle del fiume dall’altra parte, interrompendo quindi qualsivoglia comunicazione.

Un ulteriore rapporto è stato inviato ai Funzionari del Consiglio d’Amministrazione dell’ILO da parte del Karen Human Rights Group (KHRG), che da anni è impegnato sul tema del lavoro forzato in Birmania.

Il KHRG si  è appellato al Consiglio d’Amministrazione dell’ILO affinché compia qualunque tentativo per ampliare le attività dell’ILO in Birmania/Myanmar.

Ricercatori del KHRG e facilitatori che lavorano all’organizzazione di seminari operano dalle regioni più remote dello Stato settentrionale del Kayin, al confine con gli Stati di Mandalay e Shan, fino alla Divisione di Tanitharyi, nelle giungle più a sud di Myanmar, dalle aree lungo il confine con la Thailandia, fino alle zone più interne a est della Divisione Bago, poche miglia a est di Naypyidaw, recentemente dichiarata nuova capitale di Myanmar.

Il KHRG inoltre ha ampiamente documentato il ricorso al lavoro forzato in Birmania, raccogliendo prove di ogni tipo, tra l’altro completando circa 10.000 interviste dal 1992.
Il KHRG sottolinea come “in alcune aree il fenomeno del lavoro forzato si sia ridotto, uno sviluppo di cui il KHRG è a conoscenza e del quale si compiace. In altre aree è semplicemente cambiata la natura del lavoro forzato: in qualche occasione il lavoro viene ora “accettato” al posto del versamento delle imposte, mentre le richieste scritte di lavoro, che una volta contenevano minacce esplicite, ora utilizzano un linguaggio amichevole oppure vengono redatte con un linguaggio appositamente vago, i cui termini vengono successivamente chiariti verbalmente. Anche in questi contesti il pericolo implicito della mancata accettazione del lavoro forzato rimane chiaro ai civili costretti a fornirlo”.

Il KHRG denuncia inoltre che “in numerose zone del paese il lavoro forzato e il relativo “contributo” continua  a costituire il problema più frequentemente denunciato ai ricercatori del KHRG, in particolare nella parte orientale di Myanmar, in cui si verifica un ricorso notevole al lavoro forzato, spesso in aree in cui l’ILO non ha avuto la possibilità di intervenire.

La regione presenta un’ampia varietà di contesti politici e militari, dai quali dipendono i problemi cui i civili devono far fronte. In alcune aree proseguono conflitti ad elevata intensità e molto spesso i civili sono costretti a nascondersi per evitare il deportazione o gli attacchi da parte delle forze armate dello Stato. Tuttavia, in particolare nella parte orientale di Myanmar, l’intensità dei conflitti si è in parte ridotta e riguarda una schiera diversificata di gruppi armati statali e non statali che controllano territori differenti, i quali tutti presentano comunque ai civili richieste illegali di lavoro non volontario e/o non retribuito.

“In queste aree gli abitanti dei villaggi denunciano che i militari nazionali, noti come “Tatmadaw”, continuano ad esigere il più pesante contributo in termini di lavoro forzato, una pratica che risale molto indietro nel tempo e che sembra essere parte integrante del modo di operare dei militari. I civili sono costretti a costruire e riparare strade, ponti, edifici e installazioni militari. Con l’aumento della militarizzazione, i militari continuano a fare un sempre maggiore affidamento sulle comunità locali, le quali sono tra l’altro costrette a fornire cibo, forza lavoro, approvvigionamenti e reclute. L’utilizzo del facchinaggio forzato prosegue, con civili e addirittura prigionieri locali che vengono fatti uscire di prigione e costretti a trasportare forniture ed equipaggiamenti militari per conto di pattuglie, oppure durante le operazioni di rifornimento stagionali.

Il KHRG dispone di documenti a riprova dell’uccisione o dell’abbandono di facchini feriti, malati o troppo stanchi per lavorare. Le schermaglie con gruppi armati non statali e le mine utilizzate da tutti i gruppi armati attivi in Myanmar orientale costituiscono un pericolo per i civili costretti a lavorare come facchini. La prassi del Tatmadaw consistente nel costringere intenzionalmente gli abitanti dei villaggi a svolgere il compito di sminatori, tra altro rimuovendo sterpaglie dalle strade lungo le quali è nota la presenza di mine, camminando davanti ai soldati in modo da causarne l’esplosione, o comunque agendo da deterrente o da scudo contro le imboscate, indica come questi rischi non solo siano noti all’esercito ma talvolta vengano deliberatamente inflitti alla popolazione civile.

I ricercatori del KHRG continuano inoltre a documentare la presenza di bambini soldato all’interno dell’esercito come pure di altri gruppi armati non statali”. Il KHRG “apprezza i recenti progressi compiuti su questo tema, tra cui il rilascio di bambini grazie all’intervento dell’ILO e l’annuncio dell’avvio di procedimenti giudiziari a carico di due ufficiali responsabili di avere reclutato bambini alla fine dell’anno scorso. Tuttavia il reclutamento di bambini continua, mentre altri vengono utilizzati per pattugliamenti in uniforme e coloro che disertano o sfuggono al servizio nell’esercito sono costretti a rifugiarsi nelle foreste a oriente del paese oppure in Thailandia. Quest’anno si è inoltre registrato un incremento notevole del numero di bambini nell’esercito’; gruppi armati non statali, quali ad esempio l’Esercito Buddista Karen Democratico, sono stati trasformati in forze di guardia di confine sotto l’esplicito controllo dell’esercito, cui sono stati trasferiti i bambini che da tempo erano stati reclutati con la forza nei loro ranghi”.

In tutte le zone in cui il KHRG ha svolto proprie indagini, gli abitanti dei villaggi raccontano costantemente dei propri tentativi di proteggersi dal lavoro forzato come già descritto in precedenza e degli effetti che ciò causa sulla loro sopravvivenza. Molte delle strategie documentate comportano il tentativo di evitare la richiesta del lavoro forzato: gli abitanti dei villaggi raccontano la necessità di abbandonare le proprie case per diversi mesi per evitare il reclutamento; altri si recano a dormire la notte in altri villaggi, ritornando il giorno successivo per lavorare, ma tenendo sempre alta la guardia.

Altri ancora decidono che soddisfare queste richieste sarebbe comunque troppo pesante e fuggono cercando rifugio permanente nelle giungle e nelle montagne non controllate dallo Stato, oppure verso la vicina Thailandia come rifugiati o lavoratori migranti. Da ultimo molti altri, in particolare donne, raccontano di tentativi coraggiosi di trattare con ufficiali militari e civili, laddove possibile, al fine di limitare o ritardare le richieste. Alcuni raccontano di essersi rifiutati o di avere comunque ritardato l’adempimento agli ordini ricevuti. Questi tentativi a volte hanno successo, altre no. Si tratta comunque sempre di tentativi coraggiosi: il KHRG continua a documentare il ricorso a minacce implicite ed esplicite e alla violenza estrema da parte di membri del Tatmadaw per garantire il rispetto degli ordini di lavoro forzato.

Questi sforzi locali di intervenire sul lavoro forzato costituiscono la modalità più efficace per sradicare effettivamente e permanentemente il lavoro forzato dal paese. Il KHRG sottolinea la necessità di una più forte presenza dell’ILO. “Il Funzionario di Collegamento viene coadiuvato da un numero estremamente ristretto di persone, che lavorano da un ufficio nella capitale del paese, ben distante dalle aree in cui continuano a verificarsi i casi più gravi di lavoro forzato.

La capacità dell’ILO di Rangoon di promuovere attività di formazione e di consapevolezza e di sviluppare un rapporto positivo con le autorità nazionali e regionali costituisce una forte opportunità per incoraggiare un cambiamento positivo nelle azioni degli ufficiali militari e civili”.

Si sottolinea inoltre come “contatti rarefatti non siano sufficienti a modificare le prassi; sebbene l’utilizzo del lavoro forzato possa in questo momento apparire meno frequente è molto probabile che i casi aumentino una volta che il personale ILO non sarà più a Rangoon e quando i seminari tenuti non saranno che un lontano ricordo. Il KHRG ha già documentato casi di questo genere; è quindi essenziale che l’ILO prosegua le attività anche dopo i corsi di formazione e di diffusione della consapevolezza, con interventi che dovranno essere tanto più rapidi quanto più apparirà che tali iniziative non hanno avuto il successo auspicato. Un seminario con funzionari locali non è utile se viene immediatamente dimenticato e se i funzionari ritornano all’utilizzo di procedure che sono in conflitto con gli obiettivi dello sradicamento del lavoro forzato in Myanmar, senza che l’ILO di Rangoon abbia una capacità funzionale di reagire”.

Interventi necessari:

•    Revisione della Costituzione del 2008 per le parti relative a lavoro forzato e libertà di associazione;
•    Rafforzamento dell’ufficio dell’ILO
sia in termini di personale presso gli uffici locali, sia in termini di risorse finanziarie;
•    Nomina di un funzionario dell’ILO specificamente incaricato della libertà di associazione;
•    Pubblicazione di materiale informativo tradotto nelle lingue dei gruppi etnici, con distribuzione in tutti i villaggi;
•    Attuazione della Raccomandazione sull’istituzione di una Commissione d’inchiesta, in particolare per quanto riguarda la questione del bilancio;
•    Istituzione di una Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sui crimini di guerra e sui crimini contro l’umanità;
•    Chiedere un parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia sulla violazione della Convenzione;
•    Verifica da parte del Funzionario di Collegamento dell’ILO sull’impatto della costruzione delle dighe, dei gasdotti e degli oleodotti sul lavoro forzato, con monitoraggio della possibile presenza del lavoro forzato nelle miniere esistenti e in altri progetti internazionali.

***

18.11.2010

Birmania: la maledizione dei rubini insanguinati.
Lavoro minorile, lavoro forzato, stupri, deportazioni di massa: viaggio nel brutale mondo del commercio delle pietre preziose in Birmania.

di Dan Mcdougall
 
Sono le pietre preziose dal più alto costo per carato sulla terra e la Birmania ne è riccamente dotata. Il commercio di rubini birmani è vietato ma, come ha scoperto un’indagine di Live, la corrotta giunta militare del paese si arricchisce costringendo il popolo a lavorare nell’estrazione delle pietre preziose in condizioni di schiavitù. Un business in pieno boom.

Improvvisamente, nei pressi di un’ansa del fiume notiamo appena in lontananza il chiarore appena percepibile di decine di lampade al kerosene. Sullo sfondo del cielo notturno percepiamo le ombre di uomini, donne e bambini che in silenzio scavano la roccia smossa a mani nude o tutt’al più con utensili metallici spuntati.

Accovacciati lungo la banchina rocciosa corrono rischi incalcolabili, rimediando nel pericolo appena qualche briciola sottratta al banchetto della giunta militare. È a tutti gli effetti una missione suicida, ma è come se negli occhi degli abitanti di questi villaggi rilucesse il fuoco nascosto sotto quelle pietre scure dall’aspetto sinistro: perlustrano la terra alla ricerca dei rubini.

Noti per la pronunciata fluorescenza, i rubini birmani – le pietre preziose dal più alto costo per carato sulla terra – sono ricercatissimi in tutto il mondo per il loro splendore, la qualità e soprattutto per il particolarissimo e intenso tono di rosso definito “sangue di piccione”.

Rubini così non esistono da nessun’altra parte al mondo. Nell’arco dell’ultimo decennio le campagne di Amnesty International e di Global Witness, oltre alle interpretazioni in famosi film hollywoodiani di stelle quali Leonardo DiCaprio e Nicolas Cage, hanno portato alla conoscenza del grande pubblico questi “diamanti insanguinati”, in pratica pietre preziose estratte da miniere localizzate in zone di conflitto e vendute nel segreto per finanziare insurrezioni o eserciti dei baroni della guerra. Si tratta tuttavia anche di pietre preziose estratte per finanziare regimi militari, un commercio che per il momento sembra essere sfuggito a un pari livello di attenzione internazionale.

Secondo gli attivisti, questa omissione sarebbe particolarmente evidente in Birmania, paese in cui i rubini più famosi al mondo continuano ad essere estratti in condizioni di schiavitù. Quasi ogni pietra strappata al terreno non fa altro che contribuire a rafforzare la posizione della giunta militare al potere.

Secondo il Dipartimento di Stato americano, l’estrazione dei rubini, al pari di quella della giada, non soltanto sostiene finanziariamente la giunta militare birmana, ma è anche al centro di innumerevoli quanto ben documentati crimini contro l’umanità, quali il lavoro forzato nelle miniere, lo stupro sistematico di donne e ragazze e la pulizia etnica nei confronti di quelle minoranze all’opposizione che vivono nei pressi delle fonti di questa ricchezza mineraria.

Il mese scorso la pressione internazionale contro la Birmania si è rafforzata quando l’amministrazione di Barack Obama ha deciso di sostenere l’istituzione di una commissione delle Nazioni Unite incaricata di indagare su presunti crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi nel paese.

La mossa del presidente Obama è arrivata nel momento in cui la giunta militare birmana annunciava che le prime elezioni libere nel paese da 20 anni a questa parte si sarebbero tenute il 7 novembre. Secondo i critici questa mossa verso la democrazia non costituisce null’altro che una farsa progettata per perpetuare il potere politico dei militari e ridurre al silenzio buona parte dell’opposizione, tra cui la leader pro-democratica Aung San Suu Kyi attualmente agli arresti domiciliari.

Si è trattato dell’ultima di una serie di iniziative avviate dagli Stati Uniti al fine di esercitare una qualche pressione. Nel 2008 il Governo americano ha introdotto l’embargo contro l’importazione di rubini e di giada birmani negli Usa. Un’iniziativa simile è stata successivamente adottata dall’UE. E tuttavia, secondo i critici degli embarghi economici, la possibilità che le sanzioni occidentali contro il commercio di pietre preziose costringano i militari birmani a rinunciare al potere sono praticamente pari a zero. Come scoperto da Live, grazie ad una missione segreta in Birmania, il commercio di rubini ha in effetti raggiunto massimi storici; davanti agli occhi della comunità internazionale le pietre preziose vengono vendute nella capitale birmana Yangon nel corso di aste che permettono di raccogliere quella valuta forte così disperatamente necessaria all’establishment militare.

Negli ultimi cinquant’anni le miniere sono state nazionalizzate a tutti gli effetti e oggi sono sotto il brutale controllo dei militari birmani. Lungo la strada che conduce alla città, l’impronta del governo militare è visibile ovunque, dai segnali stradali che ammoniscono i viaggiatori a non spingersi oltre, all’abbondanza delle pattuglie dell’esercito.

“A Mogok ci sono rubini grandi come un pugno, ma addentrarsi nella valle è impossibile”, ci dice il nostro autista mentre si rifiuta decisamente di procedere. “Mogok è chiusa, signore. È chiusa da 10 anni”. La valle del Nampai: è da qui che parte la strada dei rubini. Sotto i nostri piedi scorre un’intricata rete di pozzi e gallerie che conducono ai rubini di maggior pregio mai scoperti dall’uomo.

In questa valle strappare pietre preziose al terreno è un lavoro incredibilmente duro. Enormi bulldozer scavano in profondità nel terreno, ma anche oggi è la semplice manodopera che permette di raggiungere l’obiettivo. Il metodo più comune per raccogliere pietre preziose è quello delle miniere a cielo aperto. L’estrazione richiede cannoni ad acqua ad alta pressione, talvolta quattro che gettano acqua in contemporanea. L’acqua lava la sabbia che contiene le pietre preziose; la sabbia viene quindi pompata in pozzi circolari, dove il materiale pesante viene intrappolato in una serie di lunghi canali delimitati da chiuse dai quali i rubini vengono recuperati a mano. Il materiale più leggero viene lavato nella valle sottostante, dove i residui vengono ulteriormente selezionati sempre a mano.

Raggiungiamo quindi a piedi un crinale nei pressi del pozzo minerario con la maggiore produttività di pietre preziose di Mogok, la miniera denominata Safari, la cui produzione sembra essere di circa 800 grammi (4000 carati) al giorno. Più avanti lungo la strada incontriamo una famiglia composta da sei persone, tra cui quattro bambini di meno di 14 anni. Con i volti macchiati di fango e di terra grigia ritornano da una piccola miniera ricavata artigianalmente ai margini della miniera principale. Dietro di loro, appaiono dai boschi uno dopo l’altro decine e decine di altri minatori che cercano di stare alla larga dalla strada evitando il nostro sguardo. “Alcuni soldati ci permettono di lottare per accaparrarci qualche brandello nelle miniere abbandonate”, dice Kywa, il padre che riporta i bambini a casa dalle miniere.

“Ma la notte vengono a perquisire le nostre case e a intimidirci. Se abbiamo trovato qualche pietra più grande non possiamo far altro che consegnarla. Quelle pietre appartengono al governo. Nel villaggio vicino al nostro alcuni ragazzini un po’ più grandicelli e tutti i giovani sono stati portati via con la forza. Forse stanno lavorando nelle miniere più a valle. Ogni giorno le loro madri si accampano fuori dalle caserme dell’esercito chiedendo la restituzione dei loro figli”.

E aggiunge:
 “non mi hanno mai messo in galera, ma ho lavorato in una delle miniere più grandi, di proprietà di un consorzio gestito dai militari, e le condizioni erano terribili. Lavori nell’acqua tutto il giorno bagnando il minerale e alla fine la pelle diventa grigia e comincia a staccarsi. L’acqua è sudicia e nella stagione delle piogge molti contraggono polmoniti o altre malattie terribili. Venivo pagato meno di cinque dollari al mese. Più a valle ci sono accampamenti dell’esercito in cui i prigionieri, tra cui numerosi bambini, lavorano per conto dei soldati nelle miniere più piccole – è per questo che hanno bisogno dei più giovani. Di quanto viene estratto nulla finisce al mercato nero, nulla.

In passato c’era un qualche fugace commercio qui. Ogni tanto arrivavano alcuni turisti, ma ora la valle è chiusa. Non sappiamo che cosa nascondano nella valle, ma è probabile che non si tratti soltanto di rubini. Dalle miniere estraggono anche altri metalli, o così si dice”. Mentre attraversiamo il villaggio le voci che alludono all’estrazione del’uranio si moltiplicano. Il Ministro dell’Energia di Myanmar (Birmania) ha recentemente elencato cinque aree chiave del paese che presentano potenzialità di estrazione dell’uranio: due delle aree identificate, Kyaukphygon e Paongpyin, sono nella valle di Mogok.

Dalle nostre ricerche nella Valle di Mogok appare evidente che la giunta militare controlla le remunerative attività minerarie grazie all’intimidazione e al terrore, lasciando nella povertà la maggioranza del popolo birmano, sempre di fronte alla minaccia della prigionia e del lavoro forzato. Oggi la giunta vanta la proprietà diretta di numerose miniere, in alcuni casi attraverso joint_ventures con imprenditori privati, spesso parenti di generali. Secondo le organizzazioni dei diritti umani i generali organizzano la vendita privata delle pietre preziose migliori, trattenendo il ricavato grazie alla corruzione.

Con il calare delle prime ombre a Yangon, migliaia di uomini d’affari provenienti da Cina, Thailandia e Singapore si raccolgono per brindare celebrando l’apertura di un’ulteriore asta di pietre preziose e giada bandita dal governo presso il Centro Congressi di Myanmar. Qui migliaia di zaffiri, diamanti, smeraldi, giade e altre pietre preziose risplendono in una lunga successione di vetrine, mentre funzionari del governo si preparano a trattare con gli acquirenti professionali riuniti nel Centro. È da qui che i rubini di Mogok raggiungono il mondo.

Partecipiamo all’asta fingendoci potenziali acquirenti. Ci viene richiesta una cauzione di € 2000 in contanti solo per entrare. Veniamo scambiati per uomini d’affari russi e la nostra presenza, perlomeno nell’atrio principale, non viene praticamente notata. Secondo i critici queste aste, che si tengono fino a quattro volte all’anno per permettere alla giunta di raccogliere valuta pregiata, mostrano non soltanto l’audacia della giunta militare birmana, ma anche il fallimento delle sanzioni economiche occidentali.

“Oggi i principali partner commerciali della Birmania sono Thailandia, Malesia e Singapore, insieme a India e Cina”, secondo Debbie Stothard della Alternative Association of Southeast Asian Nations Network on Burma, gruppo per i diritti umani. “Se questi paesi non si uniranno agli sforzi degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, le sanzioni non serviranno a nulla”. Il commercio internazionale in pietre preziose è dominato dalla Union Of Myanmar Economic Holdings Limited, un consorzio di cui sono comproprietari il ministro della difesa e alcuni ufficiali militari che detengono la maggioranza del capitale azionario. L’anno scorso la Myanmar Gems Enterprise, impresa statale del settore, ha confermato tacitamente di avere venduto nel corso delle aste pietre preziose per circa 400 milioni di sterline, principalmente giada e rubini. Si tratta di una cifra che fa di questa impresa la terza del paese per valore delle esportazioni.

Secondo l’organizzazione britannica Free Burma Campaign, il ricavato della vendita di pietre preziose fluisce direttamente nei conti correnti dei generali presso banche estere attraverso imprese come la Union Of Myanmar Economic Holdings Limited, oppure attraverso società di proprietà dei componenti delle famiglie della giunta. Il contante viene investito all’estero in Gran Bretagna, Svizzera, Germania, Stati Uniti, Russia e Cina. “Gli acquirenti provengono quasi tutti da Cina, Russia, paesi del Golfo, Thailandia e India”, dice a Live un uomo d’affari di Bangkok.

“L’embargo americano non preoccupa nessuno. Guardatevi attorno: il business è in pieno boom”.
Il sole ormai di una fioca luce color zafferano scende dietro i pendii di Sagyin, a nord di Mandalay. All’esterno di una cava un segnale avverte: “Sagyin – Zona Militare Sorvegliata”.

La ragione del ben visibile cordone militare è sotto i nostri piedi. Nelle miniere e nelle gallerie a 30 metri sotto la superficie si riesce a distinguere il chiarore degli occhi dei minatori appena illuminati dalle candele. All’esterno decine di bambini raschiano fori e fessurazioni ripiene di argilla nel calcare cristallino, le mani incallite e sanguinanti. All’ingresso della cava alcune sentinelle verificano costantemente l’eventuale arrivo di soldati. “Qui ci sono rubini”, ci dice Myint, che non avrà più di 12 anni. “Lavoriamo uniti, è un lavoro illegale. Quando arrivano le pattuglie le sentinelle ci avvertono e ci nascondiamo nel sottosuolo“.

A mano a mano che otteniamo sempre più informazioni dagli adulti che controllano i bambini minatori, comprendiamo come le centinaia di persone che lavorano in queste cave e in altre più a nord non sono altro che i sopravvissuti dei tristemente noti campi di lavoro della Birmania.

Nell’ultimo decennio fino a un milione di persone in Birmania sono state esiliate e spedite a lavorare nelle miniere gestite dai militari, nelle cosiddette “zone satellite” e nei campi di lavoro per costruire ponti, campi militari, impianti di irrigazione, oleodotti e gasdotti. Da sempre impegnata a negare il problema dei campi di schiavitù, la giunta birmana ha annunciato l’anno scorso un “patto storico” con l’ Organizzazione Internazionale del Lavoro, in base al quale chiunque abbia trascorso un periodo di prigionia nei campi nell’arco degli ultimi quarant’anni poteva richiedere un risarcimento senza dover temere rappresaglie.

l terrore delle possibili conseguenze ha avuto la meglio su chi avrebbe potuto accettare una tale offerta. “Perché in Birmania abusi dei diritti umani come ad esempio l’esistenza di campi di lavoro forzato continuano a verificarsi con frequenza crescente?”, chiede David Mathieson di Human Rights Watch.

“Perché i generali sono diventati maestri nel trasformare i ricavati delle miniere e dell’energia in un sistema caratterizzato dalla corruzione. Dove finisce questo denaro? Certamente non a finanziare programmi in materia di sanità o di istruzione; il denaro finisce nelle mani dei militari per creare migliori centri di comando militare nelle montagne e reprimere la popolazione”. “L’anno scorso abbiamo costruito un campo per l’esercito”, dice uno degli adulti che abbiamo intervistato a Sagyin.

“Ci hanno radunati dalle miniere e ci hanno semplicemente informati che da quel momento avremmo lavorato per i militari. Siamo anche stati obbligati a costruire caserme e stazioni di polizia, il tutto per un pasto al giorno. Ora siamo qui nelle gallerie delle miniere più vecchie cercando di guadagnarci da vivere, tentando di ricostruire le nostre vite.

Non c’è nessuno di noi che non sogni di trovare un rubino grande quanto il nostro pugno e di riuscire a fuggire oltre il confine con la Thailandia. È questo che ci fa andare avanti. Se ci prendono qui ci spediscono in un altro campo, se addirittura non ci ammazzano, ma cos’altro potremmo fare?”.

Fonte: Cisl Bergamo

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Si svolgerà questo pomeriggio alle 17.00 presso l’Aula Magna dell’Università degli Stranieri di Perugia l’incontro “Birmania: Una democrazia dietro le sbarre”. Uno spazio di approfondimento, all’interno del Festival letterario “Bagliori d’Autore”, dedicato ad un’area del mondo in conflitto, in cui il popolo da molti anni vive in condizioni di difficoltà e di privazione della libertà e dei più elementari diritti. Il Comune di Perugia consegnerà la Cittadinanza Onoraria per Aung San Suu Kyi, premio nobel per la pace nel 1991, adesso libera dopo quindici anni di detenzione. Con la tavola rotonda coordinata da Giovanni Paoletti con Roberto Segatori, docente di sociologia dei fenomeni politici e Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della Pace, si ripercorreranno le tappe della storia birmana a partire dallo scritto di George Orwel autore di “Giorni in Birmania”. Il libro offre una descrizione molto vivace del paese e della sua popolazione indigena oltre che un’impietosa rappresentazione della comunità di bianchi di origine europea che incarnano il potere coloniale giunto ormai in prossimità della fine.
Ospite d’onore sarà
 Beaudee Zawmin, rappresentante del Governo Birmano in esilio. Lo abbiamo incontrato per chiedergli qual è la situazione attuale della Birmania.
Il 7 novembre ci sono state le elezioni. Il gruppo vicino alle autorità militari ha vinto con oltre il 70% dei voti. Questo dato è sinonimo di illegalità e di azioni politiche pilotate. Aung San Suu Kyi è stata rilasciata dopo 15 anni di detenzione il 13 novembre ed ora sta cercando di affrontare in maniera non violenta e con il sostegno dei media internazionali la situazione di oppressione. Le persone hanno paura in Birmania, non parlano di quello che accade. Si vive anche una forma di repressione etnica devastante; circa una settimana fa ci sono stati scontri alla frontiera che hanno portato molte persone a scappare via.
Consegneranno a lei la Cittadinanza Onoraria per Aung San Suu Kyi. Quale valore ha?
Sono molto contento. Questa è la settima cittadinanza che le danno dall’Italia. È un’emozione forte, soprattutto per me che sono cofondatore dell’Associazione Italia Birmania “Burma News”.
Quali sono le procedure per far sì che San Suu Kyi la riceva?
E’ molto difficile incontrarla, usiamo modi particolari per comunicare con lei, per non mettere nuovamente in pericolo la sua vita. A me consegneranno una copia del documento e lo porterò in America, dove vivo. L’originale verrà spedito ad Anggun in modo ufficiale come atto di dialogo tra lo stato italiano e San Suu Kyi.
E’ stato già a Perugia, nella terra di Aldo Capitini partecipando alla Marcia per la pace Perugia Assisi, quale messaggio vuole mandare?
E’ stata un’esperienza straordinaria, molto importante perché è un modo per parlare alla gente. Le persone devono sapere quello che accade, devono capire. La nostra unica speranza adesso è San Suu Kyi, si spera che il governo dialoghi con lei e che si trovi un modo per tutelare i diritti della popolazione e anche dei gruppi etnici attualmente non riconosciuti.
Quale legame c’è tra lei e Perugia?
Oltre alla condivisione di grande lavoro per la pace e i diritti umani sono sposato con una donna italiana, Margherita, nata proprio in questa città.

di Floriana Lenti

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