Basta favori a banche e imprese: le proposte di Sbilanciamoci contro la crisi
Redattore Sociale
Presentata la Controfinanziaria 2014. Il rapporto fa proposte su lavoro, reddito e casa, “emergenze sociali non rinviabili”.
Cosa ci si potrebbe fare con i miliardi della manovra finanziaria annuale dei governi che si susseguono, se non fosse prona alle esigenze del capitalismo finanziario, dell’Unione europea, dell’austerity? Come gli stessi soldi potrebbero avere un utilizzo diverso, aumentando davvero la qualità della vita dei cittadini stremati? A queste domande risponde da 15 anni la campagna Sbilanciamoci!, producendo una “controfinanziaria” (quella sul 2014 è in uscita oggi), ossia una proposta articolata, redatta collettivamente da molti esperti, su “Come usare la spesa pubblica per i diritti, la pace, l’ambiente”.
Il rapporto, prima di descrivere le proposte di Sbilanciamoci!, critica sia le politiche di eccessiva austerità imposte dall’Unione europea, che in nessun Paese hanno finora portato l’auspicata ripresa economica, sia l’operato del governo Letta, sottolineandone la continuità col precedente governo Monti, nonostante agisca sotto il cappello di “governo politico” e non sia un “governo tecnico”. Una volta esaminata la situazione, Sbilanciamoci si lancia in una lunga serie di proposte (in tutto 90), evidenziando quali manovre economiche consentirebbero di reperire i fondi per realizzarle. Manovre che si basano su alcuni suoi temi classici, dall’ambiente al welfare, dalla cooperazione per la pace e il disarmo all’ “Altra economia”, all’aumento delle risorse destinate alla cultura e alla formazione.
L’analisi dell’esistente. Secondo la controfinanziaria, l’orientamento generale del governo Letta è verso politiche neoliberiste, troppo prono all’austerity, troppo rivolto a favorire le banche e le grandi aziende con alleggerimenti fiscali di varia natura, privatizzazioni e deregolamentazioni; si affida, per rispettare i tassi di crescita previsti dal Def (Documento di Economia e Finanza, ndr) a un comparto sotto tanti punti di vista vetusto come quello dell’edilizia, a scapito dei servizi, del welfare, dell’istruzione, dell’ambiente, della tecnologia.
Questo governo ha, secondo il rapporto, iniziato una strategia per iniettare liquidità nel sistema attraverso le imprese, in maggioranza grandi e attive nell’edilizia, affiancando la Bce che invece lo fa attraverso le banche. Tende inoltre ad associare la crescita economica con interventi finalizzati ad aprire cantieri di grandi opere (la Tav su tutti), e a creare norme di deregolamentazione a favore delle imprese, trascurando nei fatti i ceti meno abbienti, tranne qualche intervento per esodati e cassintegrati, non considerati un veicolo utile a far ripartire l’economia.
Dal decreto del fare alla legge di stabilità. Il Decreto del fare (d.l. 69/2013), approvato il 9 agosto, rientra in pieno in questa linea di azione: la continuità col governo Monti è sottolineata dal fatto che molte misure sono la messa a punto di meccanismi previsti dai decreti di sviluppo del governo Monti, ad esempio l’Agenda digitale, e anche il Def la ribadisce sotto il profilo della politica economica. Secondo la controfinanziaria, se è pur vero che questo decreto prevede più risorse per la ricerca, l’università e l’edilizia scolastica, si concentra sulle grandi opere pubbliche e sul fondo sblocca-cantieri, la misura più onerosa di tutto il decreto. Quindi, in linea con l’orientamento generale descritto prima, il Decreto del Fare prevede risorse e semplificazioni rivolte principalmente alle imprese, crea ancora lavoro precario nella pubblica amministrazione, e in particolare nel settore della giustizia, sceglie un sistema di tassazione che favorisce le classi più facoltose, considerandolo utile al rilancio dell’economia, riduce la cedolare secca sui canoni concordati dal 19% al 15%, ha congelato e abolito l’Imu. Tutte norme che favoriscono i più abbienti, mentre l’Iva, che pesa su tutti, è aumentata, così come altri tributi indiretti su alcolici, tabacchi e carburanti, e l’acconto sulla tassazione dei redditi è diventato più salato.
In questo contesto, così evidentemente teso a favorire una parte di popolazione, considerata più utile per il rilancio dell’economia, è stata scritta la Legge di Stabilità che, già approvata al senato, nei prossimi giorni continuerà il suo iter alla Camera, e rispetto alla quale le critiche sono di tenore simile. La manovra prevede, infatti, un aumento degli incassi tributari per lo stato da 447 nel 2014 a 455 miliardi di euro nel 2015, e 465 nel 2016, derivanti per lo più dalle imposte sui redditi (circa 185 miliardi di euro di cui 130 miliardi a carico del lavoro dipendente), senza spostare il peso dell’onere fiscale dal lavoro alle imprese, che contribuiscono molto meno alle entrate complessive: dalle imprese arrivano infatti 50 miliardi di Ires più la parte di Irpef delle società e degli autonomi. La rendita e la speculazione, inoltre, continuano a essere tassate meno del lavoro: gli incrementi fiscali a favore dei redditi medio-bassi valgono solo 1,5 miliardi, e sono fagocitati da tutti gli altri aggravi. Inoltre, il fatto che l’Imu sia di fatto non scomparsa, ma diventata da tassa patrimoniale quale era una tassa sui servizi locali va ad appesantire ulteriormente i ceti più poveri.
La legge di stabilità elimina molte agevolazioni fiscali per i lavoratori dipendenti e per i pensionati, congelando i salari dell’impiego pubblico, differendo le liquidazioni degli statali, non rivalutando le pensioni, con un effetto negativo complessivo di 3 miliardi, a cui vanno aggiunti gli effetti negativi dell’aumento dell’Iva, la mancata restituzione del drenaggio fiscale e l’aumento degli anticipi sulle imposte sui redditi.
Insomma, la conclusione di questo rapporto sull’operato del governo Letta è che, se non ci saranno dei correttivi, non ci sarà alcuna crescita economica, uccisa dalla spirale tasse-recessione che potrebbe, aumentando ancora, far calare ulteriormente la domanda interna, rendendo inutili tutti gli sforzi per la crescita.
Le proposte della Controfinanziaria. Le emergenze dovute all’aggravarsi della crisi hanno portato il gruppo di lavoro di Sbilanciamoci! a incentrarsi in modo particolare su quelli che sono considerate “tre emergenze sociali non rinviabili”: il lavoro, il reddito e la casa.
Il piano lavoro messo a punto costerebbe 3,5 miliardi, creando almeno 300 mila posti di lavoro nelle “piccole opere” come la messa in sicurezza di edifici pubblici, le energie rinnovabili, il riassetto idrogeologico, la valorizzazione dei beni culturali, i servizi alla persona, l’istruzione.
La proposta che riguarda il reddito, invece, è una sperimentazione che, a fronte di un costo di 4 miliardi, garantirebbe 500 euro al mese di reddito minimo alle 764 mila persone che, oggi, si trovano in condizioni di povertà assoluta, cioè non si possono permettere nemmeno i beni necessari alla sopravvivenza e non hanno un’occupazione.
Infine, per cercare di risolvere l’emergenza abitativa che, intrecciata alla perdita del lavoro e quindi di reddito, sta riguardando migliaia e migliaia di persone, la proposta è aumentare a 300 milioni il sostegno sociale all’affitto, investire 200 milioni nella ristrutturazione degli edifici dell’edilizia popolare al momento non agibili, e 250 milioni nel recupero di immobili di proprietà pubblica per uso sociale.
Fonte: www.redattoresociale.it
28 novembre 2013