Attacco a Parigi. Il terrore nel cuore d’Europa
Elisa Marincola
Non volevamo capire, pensavamo che la terza guerra mondiale fosse problema altrui, al massimo da arginare inviando armi ai miliziani anti Isis.
Una notte di terrore, nelle strade di Parigi, nei suoi locali, tra i tifosi allo stadio, ma in tutto il mondo, nel nostro mondo europeo che si sentiva in realtà sicuro fino ad ora, nonostante l’attentato alla stazione Atocha di Madrid nel marzo 2004, e un anno dopo l’attacco alla metropolitana di Londra, e ancora, sempre a Parigi, la strage alla redazione di Charlie Hebdo e al supermercato kosher di gennaio, e nonostante le ripetute stragi avvenute nei mesi scorsi nella vicina Turchia. Non volevamo capire, pensavamo che la terza guerra mondiale fosse problema altrui, al massimo da arginare inviando armi (magari riciclate) ai miliziani anti Isis, lasciando ancora mano libera al siriano Assad, facendo finta di gestire un presunto processo di pace in Libia.
Ma la guerra è arrivata attraverso almeno sette attacchi portati in modo sistematico nel cuore della capitale francese, con bombe, granate, kalashnikov. Ancora non è chiaro quanti terroristi hanno preso parte all’azione, ma sembra evidente che si tratti di un’operazione coordinata, che l’Isis si è affrettato a rivendicare come risposta agli attacchi contro le loro postazioni in Siria. Proprio nelle scorse ore si è parlato del blitz di un drone americano contro Jihadi John, il cittadino britannico responsabile di molte esecuzioni plateali diffuse in video in tutto il mondo. Un uomo simbolo di questo nuovo corso fondamentalista. Il messaggio è chiaro: il pericolo è tra noi, chiunque può essere colpito.
Il presidente francese Hollande ha proclamato lo stato di emergenza in tutto il territorio nazionale, ha mobilitato tutte le forze di sicurezza e ha chiuso le frontiere. Eppure, Parigi aveva sospeso il trattato di Schengen già da tempo, e le autorità francesi sanno bene che dovranno valutare la possibilità che l’attacco sia arrivato dall’interno, come è accaduto a gennaio, e come dimostrano, non solo in Francia, i tanti cittadini francesi, britannici, tedeschi, anche italiani, volati in Medio Oriente per unirsi alle milizie islamiche.
Già anche gli altri governi hanno annunciato un rafforzamento delle misure di sicurezza e dei controlli alle frontiere. Nessuno finora, a parte Wikileaks, ha posto la questione delle responsabilità politiche, se non giudiziarie. Nell’immediato, è comprensibile, la precedenza va a indagini, sicurezza, controlli, ma non può bastare scrollarci di dosso evidenti errori, se non colpe. Mentre gli avvoltoi razzisti coglievano l’occasione per alzare il tiro contro l’accoglienza di profughi e migranti, Wikileaks, da grillo parlante della nostra coscienza, twittava: “gli attacchi di Parigi sono conseguenza del tutto prevedibile di anni di finanziamento, addestramento e armamento degli estremisti sunniti in Siria e Libia”. Appunto. Europa, Stati Uniti, Russia, tutti hanno venduto e continuano a vendere in piena consapevolezza armi di tutti i tipi a paesi in guerra, che al proprio interno le usano per reprimere le opposizioni e le minoranze e all’esterno per armare le milizie alleate, che in ultima analisi sono proprio quei terroristi dell’Isis che demonizziamo quotidianamente attraverso i nostri media. E poi, per contenere gli effetti indesiderabili (leggi le migliaia di profughi in cerca di salvezza dalle guerre che inneschiamo), andiamo a fare accordi con gli stessi governi che li terrorizzano, li reprimono, li arrestano e li torturano. Al vertice euro-africano a Malta era questo in ballo, creare una cintura di sicurezza intorno alle frontiere europee dando ancora nuove risorse a quei regimi, sul modello del trattato a suo tempo firmato dall’Italia con la Libia di Gheddafi per impedire i viaggi dei barconi, muoia chi muoia.
Domenica 15 novembre, Report, il programma d’inchiesta di Rai3 condotto da Milena Gabanelli, manderà in onda un’inchiesta di Sigfrido Ranucci che ricostruisce le responsabilità italiane in questi traffici e nell’addestramento di gruppi militari d’incerta appartenenza. Il tutto in modo quanto meno poco trasparente nei confronti del Parlamento e di noi cittadini. L’Europa arma e addestra i propri assassini e ora, dopo questa strage, destinerà crescenti risorse alla necessità di difendersi e attaccare i nemici fondamentalisti. Ancora una volta a guadagnarci saranno i produttori di armi e i servizi segreti.
In questa lunga, allucinante, tragica notte parigina una sola buona notizia ci è arrivata da Parigi: l’invito rivolto dalle autorità francesi ai parigini di aprire le porte a quanti si trovavano dispersi, nel panico, per le vie di una città in stato di guerra. E quelle porte si sono aperte davvero, tanti locali hanno ospitato chi passava, gli abitanti hanno accolto chi cercava riparo, nonostante la paura, la voglia di chiudere il mondo e il terrore fuori dalle mura di casa. Non è poco per riprendere la vita restando umani, secondo quei valori comuni ricordati dal presidente USA Obama: libertà uguaglianza fraternità.