Arafat, arriva “troppo tardi” inchiesta francese
Michele Giorgio - Near Neast News Agency
Questo e’ il giudizio della gente nei Territori occupati. Il governo israeliano non si mostra preoccupato dai sospetti, anzi sottolinea che e’ “una questione interna palestinese”
L’apertura di una inchiesta da parte dei giudici francesi sulla morte misteriosa del leader palestinese Yasser Arafat, avvenuta in un ospedale di Parigi nel novembre 2004, soddisfa il presidente dell’Anp Abu Mazen. Allo stesso tempo non spaventa Israele, sospettato dai palestinesi (e non solo) di aver avvelenato Arafat, all’epoca tenuto (di fatto) confinato nel suo ufficio alla Muqata di Ramallah, su ordine del premier Ariel Sharon. Per il governo israeliano si tratta di «un affare interno palestinese». «È possibile che alcuni responsabili palestinesi lo abbiano eliminato per poi accusare Israele», ha detto il vice primo ministro Moshe Yaalon. Molto prudenti sono stati invece i commenti fatti dal portavoce governativo Yigal Palmor, mentre Dov Weissglass, ex braccio destro di Sharon, ha escluso categoricamente che Israele sia coinvolto nella morte di Arafat. «Perché ucciderlo, ormai era emarginato e irrilevante», ha spiegato Weissglass.
In verità Israele di motivi ne aveva, eccome, per liberarsi dell’uomo che aveva contribuito in modo determinante a costruire la nuova Olp e il movimento di liberazione palestinese e che negli anni ’70 e ’80 aveva portato la causa del suo popolo sui tavoli della diplomazia internazionale. Era strategico eliminare un leader palestinese in possesso di carisma, prestigio e peso internazionale, nonostante il boicottaggio attuato nei suoi confronti da Israele e dalla passata Amministrazione americana. Su di un punto però Israele ha ragione: è un affare interno palestinese. O meglio, è anche un affare interno palestinese. In attesa che venga confermato, o smentito, l’avvelenamento – forse da polonio (a luglio ne sono state trovate tracce sui suoi abiti, lo spazzolino e altri oggetti personali del presidente scomparso) -, è chiaro a tutti che se di assassinio si tratta, a realizzarlo materialmente deve essere stato per forza qualcuno che viveva e lavorava accanto ad Arafat. I servizi segreti e il governo di Israele possono aver progettato la «liquidazione» del presidente palestinese, come nel 2005 la definì il giornalista Yoram Binur, e anche messo a disposizione la sostanza in grado di ucciderlo in modo misterioso, incomprensibile per i medici. Ma nella Muqata c’erano soltanto palestinesi e solo uno di loro poteva dare quel veleno ad Arafat.
È singolare il fatto che proprio ieri, dopo mesi di silenzio, sia tornato a farsi vivo Mohammed Dahlan, ex uomo forte di Fatah, allontanato dal partito (e dell’Anp) con l’accusa di slealtà verso Abu Mazen e il resto della leadership. Augurando un rapido accertamento della verità da parte delle autorità francesi, Dahlan ha forse inviato un messaggio, anzi un avvertimento, ai suoi ex compagni. Per 15 anni esponente di primissimo piano dell’Anp, ex capo del servizio per la sicurezza interna, Dahlan è stato molto vicino ad Arafat, anche negli ultimi tormentati anni del «confino» nella Muqata. Se qualcosa di torbido c’è stato, lui qualcosa ne deve sapere e perciò manda segnali minacciosi ai suoi avversari . Almeno questo è ciò che pensano e dicono i palestinesi fautori della teoria del complotto e della tesi che Arafat andava messo fuori gioco per favorire l’ascesa al potere di un leader più addomesticato. Sempre ammesso che si sia trattato davvero di avvelenamento e non di morte per cause naturali.
Certo, credere che tutto sia dipeso da una comune malattia è diventato più difficile, quasi impossibile dopo la scoperta di tracce di polonio dopo gli esami eseguiti da un laboratorio di Losanna sugli oggetti ed indumenti appartenuti all’ex presidente palestinese, inclusa la sua celebre kufiah.
«Troppo poco, troppo tardi» è stato il commento di molti palestinesi alla decisione presa dai tre giudici della Procura di Nanterre. «La Francia doveva aprire un’inchiesta sulla morte del presidente molto prima, perchè è stato un martire sul loro territorio ed è stato curato nei loro ospedali», ha protestato ieri Maher Abdul Hadi, un insegnante di Ramallah. «E’ passato troppo tempo ma la decisione presa dai giudici francesi comunque ci dice che esiste ancora la legalità internazionale», ha aggiunto da parte sua l’attivista dei diritti delle donne Maysun Qawasmi. Amaro il commento di Jamal Hashim, un taxista di Nablus: «Dove sono stati sino ad oggi i leader palestinesi, la Francia e la famiglia di Arafat? Per otto anni sono rimasti a guardare». Analoghi i giudizi della gente a Gaza. Non mancano coloro che dubitano delle vere intenzioni dei giudici francesi. L’apertura delle indagini era un atto dovuto dopo la denuncia presentata contro ignoti da Suha Tawill, la moglie di Arafat. Per il momento è certo soltanto che esperti del laboratorio di Losanna verranno a Ramallah per eseguire esami sui resti del presidente palestinese che saranno riesumati, in accordo con la famiglia di Arafat e i vertici dell’Anp.