Anniversario da dimenticare
Giuliana Sgrena - ilmanifesto.it
Nove aprile 2003, dieci anni fa cadeva Baghdad. Molti l’hanno chiamata liberazione e l’hanno documentata con l’abbattimento della statua di Saddam in piazza Firdaus (paradiso).
Nove aprile 2003, dieci anni fa cadeva Baghdad. Molti l’hanno chiamata liberazione e l’hanno documentata con l’abbattimento della statua di Saddam in piazza Firdaus (paradiso). A festeggiare – contrariamente a quanto si è voluto far credere – c’erano però solo centinaia di giornalisti occidentali e i loro traduttori locali, mentre gli iracheni erano ancora chiusi nelle case per timore del futuro. Occupazione o liberazione? Basterebbe tornare a Baghdad per vedere gli effetti di quell’invasione. Ma nessuno vuole ricordare. Né gli invasori, né chi si era opposto alla guerra. Gli invasori dovrebbero trarre una lezione da tanto dispendio di risorse – umane e finanziarie – per poi lasciare il paese sotto l’influenza dell’acerrimo nemico iraniano. I pacifisti non hanno ancora elaborato il lutto di quella sconfitta: la «seconda potenza mondiale» – con una enorme mobilitazione – non era riuscita a fermare la guerra.
Molti iracheni contenti della caduta di Saddam non lo erano però dell’occupazione, speravano comunque di poter finalmente uscire da decenni di emergenza: guerra contro l’Iran (1980-88), prima guerra del Golfo (1991) e tredici anni di embargo.L’emergenza non è finita: il dittatore Saddam è stato eliminato ed è arrivato un «nuovo dittatore» – come viene chiamato dagli iracheni – Nuri al Maliki. Il potere era nelle mani dei sunniti, anzi della tribù di Saddam, ora è nelle mani degli sciiti, anzi della tribù di Maliki. Alla corruzione della vecchia dittatura si è sostituita quella dei nuovi governanti, ancora più insaziabili e incapaci di rispondere alle esigenze della popolazione. A Baghdad tutto si ottiene pagando: un lavoro, l’uscita di prigione – anche se già decisa dal giudice -, puoi essere arrestato se non paghi il poliziotto, in carcere devi pagare per fare una doccia. Chi non ha soldi non ha diritti. Non è solo la polizia ad arrestare ma anche le milizie armate: puoi essere sequestrato da un gruppo sciita perché sei sunnita o viceversa. I quartieri di Baghdad sono il risultato della pulizia etnica subita durante l’occupazione, soprattutto negli anni 2006-2007 con i sanguinosi scontri tra sunniti e sciiti. Molti sunniti hanno abbandonato la capitale e si sono trasferiti nella provincia di Anbar, così Baghdad è sempre più sciita. Nonostante gli ingenti investimenti (miliardi di dollari) a Baghdad mancano ancora l’elettricità e l’acqua, così come altri servizi, soprattutto scuole e sanità. È in aumento l’analfabetismo soprattutto tra le ragazze che non vengono mandate a scuola, oppure ritirate dopo le elementari. Le grandi opere sono date in appalto a parenti e amici del premier e buona parte degli stanziamenti finanzia la corruzione. I corrotti sono intoccabili, i più ricchi asserragliati dentro la Green zone prima occupata dagli americani, da dove escono solo con le loro scorte. Baghdad è la peggiore città al mondo per le condizioni di vita, secondo il Mercer Index.
Eppure a Baghdad si costruiscono nuovi palazzi e i prezzi delle case sono alle stelle. Chi le compra? Naturalmente i nuovi governanti, ma ci sono anche investitori che vengono dal Kurdistan e dal Bahrain. Però la maggior parte dei soldi ricavati dalla vendita di petrolio non vengono investiti in Iraq ma portati all’estero.
Questa situazione di degrado e di disgregazione sta accelerando il processo di divisione dell’Iraq in tre entità statali costruite su base etnico confessionale: kurdi, sciiti e sunniti. Se si realizzerà questa divisione sponsorizzata dagli americani fin dalla creazione delle no-fly zone nel 1991, gli Usa potranno finalmente vantare un successo della guerra in Iraq.
Fonte: Il Manifesto
10 aprile 2013