Amnesty: “Israele ha commesso crimini di guerra a Gaza”
NEAR EAST NEWS AGENCY
“E’ stata una punizione collettiva ai danni della popolazione”. Da ieri la Palestina è membro osservatore della Corte penale internazionale. Riyad Mansour: un’altra vittoria diplomatica.
Amnesty International (AI) ha accusato Israele di avere commesso crimini di guerra durante l’offensiva contro la Striscia di Gaza, in cui sono morti oltre duemila palestinesi, in maggioranza civili, e 73 israeliani, di cui 67 soldati.
L’accusa riguarda episodi specifici avvenuti negli ultimi quattro giorni dell’operazione militare israeliana denominata Margine Protettivo durata più di cinquanta giorni: il bombardamento di alcuni edifici a più piani, in violazione del diritto umanitario internazionale, aggravato da altri elementi raccolti dalla Ong. Tra questi le dichiarazioni dei soldati israeliani durante la campagna militare, che sostengono la tesi di una punizione collettiva che Israele ai danni della popolazione di Gaza.
Secondo quanto riferito da AI, i militari hanno usato proprio queste parole: “Punizione collettiva contro la popolazione di Gaza”, allo scopo di distruggere i loro mezzi di sostentamento. Tra gli edifici distrutti in quei giorni, infatti, c’è stato anche un centro commerciale.
Il Centro commerciale municipale di Rafah, in cui c’erano negozi, una clinica e alcuni uffici, è entrato nel mirino delle bombe israeliane perché, ha sostenuto Tel Aviv, all’interno c’era anche un centro di comando di Hamas, il movimento islamico che governa Gaza. il centro, però, garantiva beni di prima necessità e cure mediche a centinaia di famiglie. Sono state numerose le vittime dell’attacco e in tanti hanno perso la casa che si trovava nelle vicinanze del centro.
“Tutte le prove da noi raccolte mostrano che questa distruzione su larga scala era deliberata e priva di giustificazioni militari>, ha detto Philip Luther, direttore di AI Medio Oriente e Nord Africa. 2I crimini di guerra devono essere perseguiti in maniera imparziale e indipendente, e i responsabili devono essere portati in tribunale per essere processati”.
Israele ha sempre sostenuto di avere avvertito gli abitanti della zona dell’imminente attacco, ma non è stato concesso loro tempo sufficiente per portare con sé i propri beni. Non c’è stata alcuna volontà di minimizzare i danni alla popolazione civile, sostiene Amnesty.
Accuse a cui il governo israeliano sinora non ha risposto. D’altronde, Tel Aviv si è rifiutata di collaborare all’indagine dell’Onu sempre sui crimini di guerra commessi in quelle settimane della scorsa estate, giudicandola faziosa. Dal canto suo, le Forze armate israeliane hanno aperto diverse inchieste su alcuni episodi accaduti durante le operazioni militari a Gaza. tra questi ci sono anche il bombardamento sulla scuola Onu, che fece 15 morti, e quello sulla spiaggia in cui morirono quattro bambini. Ma sono in pochi a ritenere che queste indagini interne siano realmente indipendenti.
Intanto, è arrivata una buona notizia per i palestinesi: la Palestina è diventata membro osservatore della Corte penale internazionale (ICC) dell’Aia. “Un’altra vittoria a livello internazionale”, ha commentato Riyad Mansour, inviato all’Onu. “E’ un passo in avanti verso il riconoscimento dei nostri diritti e apre la strada alla possibilità di portare i capi dell’occupazione israeliana davanti ai giudici”. La prossima mossa sarà il riconoscimento di membro a pieno titolo.
La Corte penale internazionale non è un organismo dell’Onu, ma il Consiglio di sicurezza è tra gli organi che possono deferire i casi a questo tribunale che ha competenza completare a quella degli Stati in tema di crimini di guerra, contro l’umanità e genocidio. In altre parole, interviene quando gli Stati non vogliono o non possono farlo. Due anni fa l’Olp ha ottenuto lo status di osservatore all’Onu e questo potrebbe aprire la strada alla richiesta di un procedimento all’ICC. Israele è tra i Paesi che non hanno ratificato-e ha detto che non lo farà- il trattato che ha istituito l’ICC.
Restando in tema di riconoscimento della Palestina, anche il Belgio ha intrapreso questa strada. Si tratta comunque di una dichiarazione simbolica, che in questi giorni sarà sottoposta al Parlamento. La risoluzione su cui sono chiamati a votare i deputati non è vincolante e contiene la formula del “riconoscimento …nel momento in cui si riterrà più opportuno”.
Fonte: http://nena-news.it
9 dicembre 2014