Alt alle classi affollate


Flavia Amabile


Dal Consiglio di Stato via libera alla prima class action contro la pubblica amministrazione. L’accusa del professore: “Con trentadue ragazzi tra i banchi, interrogare è diventato impossibile”.


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Alt alle classi affollate

Basta con le classi pollaio, superaffollate a dispetto di leggi e norme sulla sicurezza. Anche il Consiglio di Stato ha dato il suo via libera alla class action promossa dal Codacons sulle aule sovraffollate dove il numero di alunni supera il limite previsto dalle leggi. A questo punto si procede con la prima class action italiana contro la pubblica amministrazione.

Secondo il ministero dell’Istruzione
si tratta di pochi casi visto che le classi con un numero di alunni pari o superiore a 30 – ha più volte ripetuto viale Trastevere – sono appena lo 0,4% del totale. Ma anche se fosse vera questa cifra – ha fatto notare l’Udc – lo 0,4% corrisponde comunque a 1.500 classi per un totale di 45 mila studenti.

La legge, comunque, parla chiaro.
Nelle materne si può arrivare al massimo a 26 alunni (elevabili in casi eccezionali a 29). Nella scuola primaria il tetto è di 26 alunni (elevabili in casi eccezionali a 27). Nella secondaria di primo grado e di secondo grado si può arrivare fino a 27 alunni (elevabili in casi eccezionali a 30). Nelle classi con alunni disabili si può invece al massimo avere 20 alunni. Limiti quasi sempre disattesi nella realtà come dimostra la class-action.

Ora – secondo l’associazione dei consumatori Codacons –
il ministero «dovrà obbligatoriamente emanare il piano di edilizia scolastica come stabilito dalle leggi vigenti». Il Tar aveva già ordinato al Ministro di emanare il Piano generale di edilizia scolastica, ma il dicastero dell’Istruzione aveva presentato un ricorso al Consiglio di Stato, ricorso ora rigettato sottolineando, tra l’altro, la necessità di una «riqualificazione dell’edilizia scolastica, in specie di quelle istituzioni non in grado di reggere l’impatto delle nuove regole introdotte con riguardo alla formazione numerica delle classi».

Il ministero dell’Istruzione ha assicurato
che il Piano Generale per l’edilizia scolastica sarà presentato al più presto. L’iter non sarà breve, però. Sono stati infatti «avviati gli accertamenti per la preparazione», come spiega il ministero in una nota. «Il Piano sarà completato – prosegue la nota – e sottoposto alla firma dei ministri competenti dell’Economia e dell’Istruzione».

Fonte: La Stampa

16 giugno 2011

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"Con trentadue ragazzi tra i banchi, interrogare è diventato impossibile"

di Maria Teresa Martinengo

Il professor Gianpietro Rausa insegna Matematica all’Istituto Avogadro da 24 anni. E all’Itis che ha dato generazioni di tecnici alla Fiat ha, come si dice, visto tempi migliori. Altre classi, soprattutto più piccole delle attuali.

Professore, quando è iniziato il fenomeno delle «classi pollaio»?

«Tre anni fa, con i tagli. Parlo in particolare delle classi terze, quelle dove da noi si concentra il problema: nelle prime c’è molta selezione, nelle seconde la selezione continua. Al liceo Scientifico tecnologico dove insegno io, l’attuale Scienze applicate, da tre seconde si fanno sempre due terze. Ho appena finito di scrutinare quella da 31 studenti, l’altra ne ha 32».

In spazi adeguati? L’assessore all’Istruzione della Provincia di Torino ha detto che «il primo a lavorare contro la sicurezza nelle classi è il governo con i tagli»…
«All’Avogadro da questo punto di vista siamo fortunati perché abbiamo aule abbastanza grandi, mentre altre scuole sono costrette a violare le norme. Ma questi locali hanno soffitti molto alti, i suoni rimbombano. E i nostri allievi sono piuttosto vivaci».

Per i docenti è faticoso…

«Soprattutto è triste vedere che a rimetterci sono i più deboli: matematica richiede attenzione, se l’ambiente distrae diventa difficile capire».
Con 32 studenti le ore bastano per spiegare, interrogare e magari far recuperare?
«Anche da questo punto di vista imporre classi troppo grandi è un cattivo servizio ai ragazzi più fragili, quelli che andrebbero sostenuti. Potrei dare poche spiegazioni, chiedendo ai ragazzi di andare avanti da soli. Ma siamo a scuola, non all’università…».

Quindi? Non interroga?

«I compiti scritti, i test a risposta multipla, li facciamo. Ma è all’orale, nei colloqui approfonditi, che si può capire se un errore è banale oppure è qualcosa di serio. Ecco, per quelli non c’è tempo».

Fonte: La Stampa

16 giugno 2011

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