“Allontanate il PRT”, polemiche a Herat
Giuliano Battiston
Arrestati i sospetti attentatori degli italiani a Herat. Ma c’è chi si interroga sull’efficacia e sulla stessa legittimità di strutture caratterizzate dalla fusione di attività civili e militari.
Pochi giorni fa, i servizi segreti afghani (National Directorate of Security) hanno fatto sapere di aver arrestato tre militanti dei movimenti antigovernativi guidati da un certo Abdullah, detto «Lala»: l'accusa è di aver pianificato l’attacco al Prt (Provincial reconstruction team) italiano di Herat del 30 maggio scorso in cui 7 civili sono morti e sono rimaste ferite almeno 20 persone, tra cui una decina di soldati italiani.
Episodio tra i tanti, in Italia l’attacco al Prt si è guadagnato le aperture dei giornali: il presidente del Consiglio e del ministro della Difesa hanno confermato “stima e sostegno” alle truppe italiane in Afghanistan. Ma non ha sollevato nuovi interrogativi come in passato, sull’efficacia e sulla stessa legittimità dei Prt strutture caratterizzate dalla fusione di attività civili e militari. A Herat, invece quell’attacco ha suscitato estrema preoccupazione nella popolazione locale, soprattutto quella che vive nei pressi del Prt, in pieno centro cittadino. Esasperati dalla presenza di una struttura militare in un’area residenziale, molti abitanti di Herat ne hanno chiesto il trasferimento altrove, mi racconta Rahman Salahi, capo della Shura (consiglio) dei professionisti di Herat, struttura di coordinamento molto importante nel panorama sociale della città e dell’intera provincia: “Subito dopo l’attacco molte persone hanno chiamato il nostro ufficio chiedendoci di fare qualcosa. Anche grazie a Shafiq Arir (parlamentare di Herat, ndr) il 5 giugno abbiamo avuto un incontro con il rappresentante della Nato per la provincia: ci ha detto che ne avrebbe parlato a chi di dovere e lo stesso ci ha promesso il governo di Herat”. I cittadini chiedono che il Prt venga trasferito “lontano della città e dai civili” spiega Abdul Qader Rahimi, a capo della Afghanistan Independent Human Rigt Commission (Aihrc): “Semplice: per i talebani il Prt è un obiettivo, e stando vicino a un obiettivo simile i cittadini lo diventano a loro volta. Per quanto i membri del Prt dicano di non condurre operazioni militari di essere qui solo per la ricostruzione, resta il fatto che indossano uniformi militari. Non vedono che quella che è una protezione per loro stessi, diventa un pericolo per gli afghani?”. Che la presenza del Prt italiano all’interno della città sia diventata un pericolo, lo conferma Adela Kabiri, docente di giornalismo dell’Università di Herat: “Io abito da quelle parti – mi racconta davanti ai suoi colleghi, che concordano – so bene cosa ne pensa la gente: non gli piace affatto che il Prt sia lì, si sentono minacciati, per questo hanno chiesto agli italiani, anche tramite il governatore di Herat, di cambiare sede. Finora, nessuna risposta.
Gli stranieri sostengono di voler promuovere la democrazia in Afghanistan e poi non prestano attenzione a una richiesta democratica… La gente di Herat comincia a sospettare che, se rimangono gli italiani, è perché hanno paura: invece di proteggere i civili afghani, come da mandato, si fanno proteggere da loro”. Secondo Bashir Anif, giornalista di Radio Killid, network di Radio indipendenti con diverse sedi in Afghanistan, “gli abitanti di Herat hanno chiesto più volte anche prima dell’attacco del 30 maggio che la sede del Prt fosse spostata fuori città. Le autorità italiane finora neanche hanno risposto. Perfino le persone che affittano case ed edifici interi agli italiani erano pronte ad annullare i contratti. Ma il governo locale non ha potuto fare granché neanche dopo la manifestazione con cui 300-400 persone hanno chiesto che gli italiani si allontanassero”. Lo stesso governatore della provincia di Herat Daoud Saba si è detto “consapevole che la presenza del Prt nell’area residenziale preoccupa gli abitanti. Ma è una preoccupazione recente”, ha puntualizzato: “Prima dell’attacco del 30 maggio i residenti non si lamentavano anche perché ne traevano benefici economici. Le richieste successive sono state pilotate politicamente”. Ma anche Daoud Saba finisce per ammetterlo nei termini consentiti dalla diplomazia: “La collocazione di una struttura simile è in prio luogo un problema tecnico”, mi dice. “Credo comunque meglio che nelle aree residenziali non ci siano strutture militari. D’altronde abbiamo spiegato ai cittadini di Herat che nell’ambito della ‘transizione’ ci sarà anche il trasferimento della sede del Prt. Ma non c’è alcuna urgenza”, conclude. Aspettando di conoscere le decisioni delle autorità italiane.
Fonte: Lettera 22, Il Manifesto
31 agosto 2011