Allawi: “Le etnie per me non contano”


Asseel Kamal


Baghdad: L’ex premier potrebbe tornare a guidare il Paese dopo le elezioni. “Non esistono sciiti e sunniti ma semplici cittadini”.


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Allawi: "Le etnie per me non contano"

Iyad Allawi, nel suo quartier generale di Baghdad, è raggiante. Le notizie che giungono dai suoi uomini ai seggi sono «molto positive». Allawi, medico sciita, fuggito dall’Iraq negli Anni Settanta dopo un contrasto con Saddam Hussein che quasi gli costò la vita, è stato primo ministro ad interim nel 2005. Adesso la sua lista Iraqiya viene data testa a testa con l’alleanza guidata dal premier Nouri Al Maliki, e piovono le telefonate di congratulazioni da parte di altri leader alleati e di elettori di peso. «Se dovessi diventare primo ministro – rassicura subito – il mio governo avrà buone relazioni con tutti i Paesi vicini», compreso quell’Iran che non lo vedrebbe di buon occhio e preferisce l’attuale primo ministro.

Pensa di avere buone chance per tornare a a guidare il governo del suo Paese?

«La questione su chi sarà il prossimo premier è ancora prematura. Aspettiamo i risultati definitivi. È anche vero che sto ricevendo congratulazioni da molti uomini politici e personalità religiose, compreso Ammar Al Hakim, leader del Supremo consiglio islamico, che pure partecipa alla alleanza nostra avversaria Iraqi National Alliance (Ina)».

Che cosa dicono le indiscrezioni sui risultati in suo possesso?

«Siamo in vantaggio in province a maggioranza sunnita come quelle di Anbar, Mosul e Salah al Din. Andiamo molto bene soprattutto nei maggiori centri urbani. Sono risultati che vanno oltre le nostre aspettative più ottimistiche. Per questo sono fiducioso, anche se, ripeto, è ancora presto per arrivare a conclusioni sulla formazione del prossimo governo».

Come risponde ai critici convinti che l’attuale premier Al Maliki garantisca rapporti più equilibrati a livello internazionale?

«Si riferiscono all’Iran? L’Iran e gli altri Paesi confinanti sono i nostri vicini, popoli con cui abbiamo in comune relazioni storiche e con i quali vogliamo costruire ponti. Lo stesso vale per le nazioni europee, in particolar modo con l’Italia, nostra amica, che noi apprezziamo come nazione e come popolo».

Se tornasse a guidare il governo, quali sarebbero le priorità?

«L’Iraq ha bisogno innanzitutto di aiuto internazionale per sviluppare le sue infrastrutture. Credo che dall’Unione europea, e dall’Italia in particolare, possiamo aspettarci di più, se sapremo sviluppare le relazioni tecniche e culturali che hanno radici decennali. L’Europa e l’Italia stanno già addestrando il nostro esercito e le nostre forze di sicurezza, mentre sono un mercato importante per le nostre esportazioni di petrolio. Quindi abbiamo un interesse comune, naturale, a sviluppare gli scambi e la cooperazione».

Il prossimo governo, però, sarà probabilmente di coalizione. Con chi siete disposti ad allearvi?

«Se sarà disposto a cedermi la poltrona di primo ministro, non avrò problemi ad allearmi anche con Al Maliki. Ma non credo che la cosa più importante siano le alchimie politiche. Prima c’è il programma. Noi vogliamo portare sicurezza ai nostri cittadini, posti di lavoro e una pace stabile, a lungo termine. Non mi preoccupa con chi dovrò allearmi, la cosa che conta è realizzare gli obiettivi che stanno a cuore al nostro popolo, e costruire un Paese sulle basi intangibili della democrazia. Se serve, lavorerò al fianco di Al Maliki».

Recentemente ha visitato quasi tutti i Paesi arabi della regione, compresi l’Arabia Saudita e l’Egitto. Che relazioni vuole costruire con loro?

«Il messaggio che volevo portare, a pochi giorni dal voto, era che il nuovo Iraq ha bisogno dei suoi vicini arabi e ha bisogno dei suoi fratelli arabi. Le relazioni non possono che essere strette e amichevoli».

E quelle con gli Stati Uniti?

«L’America è un Paese amico, ha dato un contributo storico alla libertà dell’Iraq. Penso che le relazioni tra due nazioni amiche debbano essere basate sul rispetto reciproco e sull’aspirazione comune a preservare l’unità dello Stato iracheno, fondamentale. La nostra cooperazione è tanto più importante ora, durante la ricostruzione, che è la parte più difficile di un percorso di rinascita destinato a essere lungo».

Fonte: La Stampa 

9 marzo 2010

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