Afriche 2009: stabilità, una chimera
Nigrizia.it
Dallo Zimbabwe all’Rd Congo, dal Sudan al Ciad, sono ancora troppi i paesi che non riescono a trovare un equilibrio. E alle crisi politiche si vanno sommando difficoltà economiche, quale contraccolpo della recessione mondiale. Ci si aspetta un segnale incoraggiante da Sudafrica e Angola.
In Africa Australe, l’anno appena iniziato sarà cruciale per più di una ragione. Sono previste elezioni in cinque paesi (Sudafrica, Angola, Mozambico, Namibia e Botswana) in un momento decisivo. La regione, infatti, deve far fronte a numerose sfide. La prima è la crisi finanziaria che, da queste parti, si traduce in una diminuzione dell’attività mineraria. La seconda è la crisi energetica: in mancanza d’investimenti tempestivi nel settore, si potrebbe assistere a una stagnazione della capacità produttiva. La terza è la crisi politica dello Zimbabwe.
Senza una stabilizzazione dello Zimbabwe – che è anche una bomba sanitaria a scoppio ritardato: ai primi di dicembre si contavano 12mila casi di colera e oltre 500 morti dichiarati –, la capacità della regione di superare le prove che ha dinnanzi rischia di essere messa in dubbio a lungo. Nello stesso tempo, la nuova leadership del Sudafrica, locomotiva economica dell’Africa Australe, dovrà prendere serie misure per contrastare il demone della xenofobia che, nel primo semestre del 2008, è sfociato in veri e propri pogrom contro i lavoratori immigrati. Una scommessa tutt’altro che facile da vincere, con la crisi che imperversa e con la prospettiva di un consistente calo dell’occupazione.
In Sudafrica, in marzo o in aprile, si terranno le elezioni politiche. Per questo appuntamento, il segretario generale del Congresso nazionale africano (Anc), il populista Jacob Zuma, ha buone possibilità di essere designato come capofila del suo partito. A due condizioni: che la giustizia, davanti alla quale deve rispondere del reato di corruzione in una vicenda di armamenti, lo lasci in pace; che i militanti dell’Anc non gli preferiscano l’uomo del compromesso – l’attuale presidente ad interim, Khalema Motlanthe – per mantenere l’unità del partito a rischio scissione.
Infatti, in seguito al siluramento, lo scorso settembre, del presidente Thabo Mbeki dal comitato esecutivo dell’Anc, due dei suoi fedeli, l’ex ministro della difesa, Mosiuoa “Terror” Lekota, e il governatore della provincia del Gauteng, Mbhazima Shilowa, hanno lasciato il partito e annunciato la creazione di una nuova formazione politica. Il timore dell’Anc è che l’emorragia si aggravi. Tuttavia, una frattura nel partito al potere non sarebbe un male per il Sudafrica: la fine dell’egemonia dell’Anc potrebbe vivacizzare la vita democratica, sempre che tutti i partiti siano d’accordo nel bandire la violenza.
L’incertezza prevale anche a proposito dell’atteggiamento sudafricano verso lo Zimbabwe, dopo che l’accordo sulla spartizione del potere, annunciato il 12 settembre dal mediatore Thabo Mbeki, non è ancora stato applicato (a metà dicembre). Lo scorso novembre, Themba Maseko, ministro sudafricano dell’agricoltura, ha affermato di voler condizionare alla formazione di un governo di unità nazionale l’aiuto ai coltivatori zimbabweani. Invece il ministro degli esteri sudafricano, la signora Nkosazana Dlamini-Zuma, vicina a Mbeki, difende una linea di maggiore comprensione nei confronti del presidente-dittatore Mugabe e critica le sanzioni europee e americane contro il leader zimbabweano. In questo modo, si rischia d’incoraggiare il presidente e i falchi della Zanu-Pf nel loro rifiuto di condividere le responsabilità di governo con il Movimento per il cambiamento democratico di Morgan Tsvangirai. La disastrosa era Mugabe potrà finire pacificamente nel 2009? In queste condizioni, è necessario essere molto ottimisti per prevederlo.
Riforme a Luanda
In Mozambico, nel dicembre 2009 il presidente Armando Guebuza, il cui partito Frelimo ha da poco battuto l’opposizione nelle elezioni amministrative, succederà a sé stesso. Guebuza potrebbe ricevere un dispiacere da un avversario più pericoloso del partito d’opposizione, la Renamo: l’astensione. Se, infatti, si confermerà il trend degli ultimi anni, la sua vittoria alle presidenziali non sarà una vittoria della partecipazione: il tasso di partecipazione al voto è crollato dall’85% degli aventi diritto nel 1994 al 36% nel 2004. Intanto, quest’anno dovrebbe entrare in produzione uno dei più grandi progetti minerari del continente: la miniera di carbone di Moatize.
Veniamo alla Namibia. Il presidente Hifikepunye Pohamba, sfidato dal suo predecessore, l’eroe veterano dell’indipendenza Sam Nujoma, avrà i suoi problemi a essere rieletto, a fine anno, nonostante la sua reputazione d’integrità politica.
È in un’atmosfera piuttosto cupa che i cittadini del Botswana si recheranno alle urne, anche per rinnovare il parlamento. Cupa perché nell’anno in corso, per la prima volta dall’indipendenza (1966), il paese potrebbe conoscere una diminuzione del prodotto interno lordo (Pil). E ciò soprattutto a causa della decisione dell’impresa sudafricana De Beers di diminuire del 20% la produzione di diamanti, primo prodotto d’esportazione, allo scopo di bloccare la caduta dei prezzi. La sola consolazione è che, nel corso degli anni, De Beers ha delocalizzato in Botswana una parte delle attività di commercializzazione e nel paese si lavora una quantità crescente dei diamanti estratti.
Più difficile la situazione nello Zambia, una delle nazioni più colpite dalla crisi economica. Si teme che i progetti cinesi nel settore minerario non siano condotti a termine e si paventano le conseguenze sociali della caduta dei proventi del rame e del tasso di occupazione, mentre i prezzi delle derrate alimentari continuano a essere alti.
Chi nel 2009 dovrà fornire non poche risposte ai cittadini è il presidente dell’Angola, José Eduardo dos Santos. Il suo partito, il Movimento popolare per la liberazione dell’Angola (Mpla), ha vinto nettamente le elezioni politiche del settembre 2008, ma il presidente non ha ancora annunciato se intende candidarsi alle presidenziali, previste nel 2009, ma la cui data non è ancora stata fissata. Nel corso della campagna elettorale delle politiche, Eduardo dos Santos e Mpla hanno promesso di riassorbire le disuguaglianze sociali, di migliorare la trasparenza nella gestione delle risorse e di moralizzare la vita pubblica. Ma per mantenere queste promesse sono necessarie profonde riforme dell’amministrazione e della funzione pubblica. Oltre che mantenere la rotta della crescita economica. Ora, dopo una crescita del Pil di più del 20% nel 2007 e una previsione del 26% nel 2008, c’è da aspettarsi un 2009 ben più modesto: lo dice la caduta del prezzo del petrolio (tra luglio e dicembre da 150 a meno di 50 dollari il barile), che vale metà del Pil angolano e il 95% del valore delle esportazioni.
Kinshasa versus Kigali
In Africa Centrale, il tema essenziale è capire se la mediazione dell’inviato speciale dell’Onu, l’ex presidente nigeriano Olusegun Obasanjo, e il rafforzamento della Monuc (Missione Onu in Congo) riusciranno, nel corso del 2009, a stabilizzare l’est della Repubblica democratica del Congo. Il governo di questo paese – installatosi due anni or sono, dopo regolari elezioni sostenute dalla comunità internazionale – non è riuscito a fare passi positivi sul terreno sociale. Non a caso, dallo scorso settembre, scioperi a raffica hanno paralizzato la scuola, la sanità e la pubblica amministrazione. E zoppicano anche i settori tradizionalmente trainanti dell’economia, come quello minerario. La recessione in Europa e negli Stati Uniti e il ridursi degli investimenti della Cina hanno provocato una caduta della domanda di rame e di cobalto, tanto che nella regione del Katanga sta chiudendo i battenti uno stabilimento su due.
Nel Nord-Kivu, il problema non è solo condurre i belligeranti al tavolo delle trattative, ma anche far loro rispettare gli accordi già firmati. È rimasto lettera morta quello siglato a Nairobi, nel novembre 2007, tra Rwanda e Rd Congo, che prevedeva la smobilitazione, il disarmo e il rimpatrio delle Forze democratiche per la liberazione del Rwanda (Fdlr): né l’esercito congolese né la Monuc hanno adempiuto a questo compito. E questa mancanza è uno degli argomenti utilizzati dall’ex generale tutsi congolese Laurent Nkunda, capo dei ribelli filorwandesi del Congresso nazionale per la difesa del popolo (Cndp), per giustificare la ripresa delle ostilità, lo scorso agosto. E anche il Rwanda – soprattutto nella persona del suo presidente Paul Kagame – si è sentito meno motivato a moderare l’ardore bellico di Nkunda, suo storico alleato.
L’altro accordo (il piano di pace “Amani”), sottoscritto a Goma nel gennaio del 2008 tra il governo congolese, il Cndp e otto gruppi di Mayi Mayi (guerrieri tradizionali) – che prevede il cessate-il-fuoco, la creazione di zone smilitarizzate, l’integrazione nelle forze armate congolesi (Fardc) di una parte dei combattenti o il loro reinserimento sociale – non è stato rispettato, innanzitutto dallo stato congolese, preoccupato di stabilire la propria sovranità sull’intero territorio nazionale, ma privo dei mezzi per farlo. Fino ad oggi, ogni tentativo di riconquistare i territori perduti si è rivelato infruttuoso, a causa dello stato penoso in cui versano le forze armate. Non si possono comprendere i saccheggi compiuti a Goma dai soldati il 29 e 30 ottobre scorsi e a Ka-nyabayonga a metà novembre, se non ci si rende conto che sono opera di uomini che non ricevono regolarmente lo stipendio, in quanto incamerato dai loro stessi comandanti. Il 20 novembre, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha deciso di dispiegare nella regione altri 3mila caschi blu, per consentire di mettere in sicurezza le vie di comunicazione e di distribuire viveri ai circa 250mila sfollati. Ma questi rinforzi tardano ad arrivare, in quanto Kinshasa non vuole accettare nuove truppe indiane, che sono, peraltro, le meglio preparate ed equipaggiate. Senza contare che la sicurezza della zona e del resto del paese non può essere garantita sul serio, senza che vada in porto la riforma, iniziata da più di due anni, della polizia e dell’esercito.
Parallelamente, un altro difficile compito attende il governo e l’Onu nel 2009: invertire il processo di degrado nella Provincia Orientale, dove si assiste a una recrudescenza delle azioni dei guerriglieri ugandesi dell’Esercito di resistenza del Signore (Lra).
Bubbone Ciad
È urgente che pacificazione e stabilità si affermino simultaneamente in più luoghi nella regione che, dal Lago Tanganica al Lago Alberto e al Sud-Sudan, non costituisce solo una spaccatura geologica, ma anche una zona di conflitti. I dirigenti politici della regione, in testa il primo ministro etiopico Meles Zenawi, temono che nel 2011 si riapra uno scontro tra il governo di Khartoum e il Sud Sudan, se la popolazione sud-sudanese votasse, con il referendum, per l’indipendenza. In gioco ci sono anche i pozzi petroliferi.
Un altro bubbone dell’Africa Centrale, contiguo alle regioni sudanesi del Darfur e del Kordofan, è rappresentato dal Ciad. La forza europea, Eufor, dislocata dalla primavera scorsa con il compito di proteggere i campi degli sfollati ciadiani e dei profughi del Darfur alla frontiera sudanese, dovrebbe cominciare a ritirarsi nel marzo 2009 e passare le consegne all’Onu o alla Francia. Ma, nel frattempo, non è stato fatto nessun progresso sul piano politico. Il presidente Idriss Déby, sostenuto da Parigi, rifiuta categoricamente ogni negoziato con i ribelli, che nel febbraio del 2008 hanno attaccato la capitale N’Djamena (respinti solo grazie all’intervento di truppe francesi). Non si possono escludere altri attacchi dei ribelli.
Come l’Angola e il Ciad, anche il Gabon subirà le conseguenze del forte calo del prezzo del petrolio, ma dovrà anche far fronte alle conseguenze di una notevole contrazione del volume della produzione petrolifera. Inoltre, il paese ha concentrato buona parte delle sue energie nel settore minerario (uranio, ferro, manganese), che risente anch’esso dei contraccolpi della crisi.
Va, infine, rimarcato che nel 2009 alcune novità possono arrivare dalla sfera economica. Infatti, il Mercato comune dell’Africa Orientale e Australe (Comesa) dovrebbe darsi una tariffa estera comune. E potrebbe anche essere la prima regione dell’Africa a firmare un accordo di libero scambio con l’Unione europea. Potrebbe avvenire il prossimo luglio, secondo quanto dichiarato dal ministro zambiano del commercio, degli scambi esteri e dell’industria, Felix Mutati.
François Misser
Fonte: nigrizia.it
gennaio 2009