Africa, niente guerra senza coltan
Peace Reporter
A Nairobi i ministri delle miniere di undici Stati africani hanno firmato un accordo per mettere fine alla “guerra delle materie prime”. Un codice di condotta per le società che comprano e vendono minerali “a rischio”.
Tagliare i canali di finanziamento dei ribelli per mettere fine a molte guerre africane. Questa l'idea dietro l'accordo firmato a Nairobi dai ministri delle Miniere di undici Stati africani e dai rappresentanti di multinazionali e organizzazioni internazionali. L'obiettivo è quello di mettere fine allo sfruttamento indiscriminato delle risorse nascoste nel sottosuolo del Continente. In molte zone dell'Africa, come la Repubblica Democratica del Congo (Rdc), il Burundi e l'Angola, gruppi guerriglieri sfruttano le miniere per arricchirsi e sovvenzionare i loro piccoli eserciti privati. "Il traffico illecito di minerali è causa di conflitti continui", ha dichiarato Kalonzo Musyoka, vice presidente keniota. "Con la firma del protocollo c'è una nuova speranza di cambiare le cose".
Il documento sottoscritto da governi e aziende è il primo passo verso la creazione di un meccanismo di certificazione e tracciamento delle materie prime. Uno dei punti fondamentali è l'accordo sulla due diligence. "Il protocollo fornisce strumenti per la gestione responsabile della catena di approvvigionamento di minerali che provengono da zone di conflitto", ha spiegato al telefono con PeaceReporter Lahra Liberti, capo progetto dell'Oecd (Organisation for Economic Co-Operation and Development), l'organizzazione parigina che ha stilato il documento. "Le regole di due diligence verranno seguite dai governi e integrate nei codici di condotta delle società che si approvvigionano di materie prime rare". Oro, tungsteno, stagno e coltan sono i quattro metalli causa del conflitto. Estratti in zone remote, nel cuore dell'Africa, passano di mano in mano, spesso per percorsi illeciti, fino a giungere alle grandi società occidentali.
Sono proprio le aziende il punto chiave dell'accordo. I minerali vengono estratti in zone come il Kivu, regione settentrionale della Rdc controllata dai guerriglieri. Attraverso intermediari lasciano il Paese per arrivare a fonderie e raffinerie in Paesi come la Malesia, la Cina o l'Indonesia. Qui le materie prime vengono lavorate per poi essere vendute ad aziende occidentali come Nokia, Motorola, Ford e Intel. Oggi queste aziende si curano poco dell'origine dei minerali, ma "hanno manifestato la volontà di adottare i codici di condotta, anche nel loro rapporto con i fornitori". L'obiettivo è quello di colpire la domanda, in modo che i guerriglieri non possano più vendere i minerali. "I governi possono fare ben poco, è necessario che ci sia una industria responsabile a livello globale che non acquisti materie prime provenienti da zone di conflitto", spiega Liberti.
Il problema più grosso è quello della falsificazione e della corruzione. In Paesi come l'Rdc, l'Uganda o il Burundi è estremamente facile corrompere funzionari statali per avere un timbro su un foglio di carta o per lasciar passare alla dogana un carico illegale. I governi della regione dei Grandi Laghi sembrano però avere la volontà politica di cambiare le cose. "Per la prima volta tutti gli Stati della regione, e questo è un passo fondamentale, hanno adottato un documento per l'istituzione di un meccanismo di certificazione internazionale", dice Liberti.
Il prossimo passo sarà la conferenza di Kinshasa, il 19 novembre, in cui i capi di Stato e di Governo firmeranno il sistema di certificazione. "I guerriglieri vendono minerali per procurarsi le armi", ha dichiarato Martin Kabewlulu, ministro delle Miniere della Rdc. "Non possono avere le une senza gli altri".
Fonte: Peace Reporter
11 ottobre 2010