Africa: l’Occidente predica bene, ma razzola male
Pietro Del Soldà
Mentre i leader occidentali condannano Mugabe, spunta una bozza di comunicato dei G8 che smentisce le promesse di aumentare gli aiuti all’Africa.
Mentre nel summit a porte chiuse di Sharm el Sheikh i leader dell’Unione Africana affrontano la spinosa questione Zimbabwe, in presenza dell’ex eroe delle indipendenze Robert Mugabe, l’Occidente unanime dà lezioni di democrazia schierandosi con durezza contro il farsesco voto di venerdì scorso e a favore di una transizione pacifica. Ma intanto, nel segreto delle diplomazie al lavoro per il prossimo summit del G8 che avrà luogo dal 7 al 9 luglio in Giappone, sembra venir meno alle promesse di aiuto all’Africa formulate non più tardi di tre anni fa al summit scozzese di Gleaneagles. Insomma, mai come in questo caso la realtà sembra rispecchiare l’analisi del sociologo Zygmunt Bauman: è facile invocare l’uguale diritto di tutti gli uomini ad una vita libera, assai più complesso impegnarsi per dare concretezza a questa libertà e uguaglianza con ingenti risorse economiche. Emerge infatti da una bozza di comunicato di cui dà conto il Financial Times che gli otto grandi starebbero per compiere un significativo passo indietro negli aiuti all’Africa rispetto agli impegni presi a Gleaneagles sotto la presidenza Tony Blair, che su una nuova politica per l’Africa aveva impostato la sua politica estera. Nel testo provvisorio, datato 25 giugno, i leader occidentali dichiarano di impegnarsi a soddisfare quegli impegni, senza però fare alcun riferimento all’obiettivo concreto di aumentare gli aiuti fino a 25 miliardi di dollari entro il 2010. Insomma, un ritorno al passato che potrebbe costituire un motivo di imbarazzo per il premier giapponese Yasao Fukuda, che degli aiuti all’Africa aveva fatto un tema centrale del prossimo summit, ribadendo questo impegno anche in un incontro con 40 leader africani svoltosi a Tokyo non più di un mese fa. Altrettanto deludente la cancellazione del riferimento ad obiettivi concreti per quanto riguarda l’impegno a garantire l’accesso universale alle cure e ai metodi di prevenzione dell’Aids entro il 2010 e a destinare 60 miliardi di dollari per la lotta alle tre principali malattie che affliggono il continente: Aids, tubercolosi e malaria. Ma se la linea Blair per l’Africa sembra tramontare, il suo successore a Downing Street continua ad essere tra i più accesi nel dibattito sulla crisi nello Zimbabwe. Dopo aver dichiarato illegittimo, come molti altri leader occidentali e lo stesso segretario Onu Ban Ki Moon, il risultato del ballottaggio, Brown ha dichiarato: “Deve insediarsi un nuovo governo. Se questo avverrà, la Gran Bretagna starà al fianco dello Zimbabwe, pronta ad aiutarlo nella ricostruzione. Penso che quello che adesso cerchiamo sia che un gruppo di Paesi africani dell’Ua, che spero lavorino con le Nazioni Unite, mandino inviati nello Zimbabwe per vedere quali progressi possono essere fatti”. La pressione diplomatica sull’UA arriva anche dalla vice di Ban Ki Moon, Asha-Rose Migiro, che dal palco di Sharm el Sheikh ha parlato di “momento della verità” per i leader presenti: “questa è la più grande sfida per la stabilità dell’Africa meridionale”. Nel frattempo, dal summit emergono scarse notizie che restituiscono l’idea di un fronte diplomatico non ancora allineato. E’significativo che, mentre il mondo si concentrava sulle mosse di Mugabe appena giunto al summit, il presidente egiziano Mubarak abbia aperto i lavori con un discorso duro contro i conflitti che destabilizzano il continente e ne impediscono lo sviluppo, citandoli uno per uno: tra Djiboti ed Eritrea, Chad e Sudan, e poi la Somalia. Nessuno riferimento allo Zimbabwe. Il problema, del resto, è proprio questo: tra i 53 leader continentali, sono solo una decina quelli che si possono davvero ritenere democraticamente eletti. Per gli altri, Egitto in testa, è motivo di imbarazzo dover pronunciare dure critiche contro Mugabe. Unico segnale positivo, le dichiarazione del presidente UA Jean Ping: “L’Africa deve farsi pienamente carico delle sue responsabilità e aiutare lo Zimbabwe a risolvere i suoi problemi elettorali”. Lo scenario su cui si lavorerà è quello di un governo di unità nazionale sulla falsariga di quello che ha consentito al Kenya di uscire dalla violenta crisi seguita alle elezioni del 27 dicembre scorso. Gli interrogativi riguardano le condizioni di entrambi i contendenti: il leader dell’opposizione Tsvangirai, infatti, apre al dialogo con Mugabe a patto che venga riconosciuta la vittoria del suo partito, il Movement for Democratic Change, lo scorso 29 marzo. Ma è da dubitare che Mugabe, oggi più forte grazie anche all’inevitabile legittimazione garantitagli dalla presenza a Sharm el Sheikh, accetti di buon grado.
Fonte: Lettera22 e il Riformista
1 luglio 2008