Afghanistan, la strage degli sciiti


Emanuele Giordana - Lettera22


Kabul, Mazar, Kadahar. Il terrorismo adesso colpisce la minoranza religiosa. In una pericolosa escalation che si fa beffe di Bonn.


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Afghanistan, la strage degli sciiti

Al calar delle tenebre i morti sono ormai quasi sessanta. I feriti ben n oltre un centinaio. Il triplice attentato che ha colpito ieri tre centri sciiti a Kabul, Mazar-i-sharif (nel Nord) e a Kandahar (nel Sud) ha il bilancio di una strage in piena regola. Una strage con un obiettivo apparentemente religioso perché colpisce per la prima volta, con un attacco terroristico, non le truppe di occupazione e nemmeno le forze regolari del governo afgano. Tanto meno obiettivi civili internazionali. Colpisce una minoranza religiosa che si identifica con quel 15% di hazara che abita nel centro del Paese. Il kamikaze che si fa esplodere a Kabul (sono lì i quasi sessanta morti) e le due esplosioni che colpiscono a Mazar (almeno sei le vittime) e a Kandahar (fortunatamente solo feriti), traghettano in uno scenario già noto una nuova strana variabile e nuovo pericoloso interrogativo sull'ennesimo salto di qualità della guerra afgana. Un passo avanti oltre il baratro e verso un abisso che ricorda le stragi settarie del vicino Pakistan.

Non stupisce così che con una telefonata a Radio Mashaal – un'emittente radiofonica in lingua pashto – l'unica rivendicazione arrivi da un gruppuscolo radicale che ha le sue basi nelle aree tribali pachistane: il Lashkar-e-Jhangvi al Almi, legato ai qaedisti e considerato ancora più radicale del gruppo anti sciita capostipite del radicalismo settario in Pakistan, il Lashkar-e-Jhangvi (LeJ), fondato nel 1969 e fin dal 2001 messo fuorilegge da Islamabad perché organizzazione terroristica.

Nelle giornate dell'Ashura, 40 giorni in cui tra l'altro si commemora il martirio di Husseyn, figlio di Ali, cugino e genero del Profeta, gli sciiti raggiungono i luoghi di culto più noti, uno dei quali è la tomba dell'imam sciita Abu Fazal Wali, a Kabul. Passa di lì il corteo dei flagellanti, circondato da una folla che osserva, si accalca, prega, invoca. Tra le 11 e le 12 le strade sono sempre affollate: gente gomito a gomito, impossibile intercettare chicchessia o farsi largo tra la folla che sfila non lontano dal palazzo presidenziale o dal gran bazar della capitale. Scegliere di colpire lì significa strage assicurata: strage di civili senza se e senza ma. E' la prima volta che avviene in modo così brutale; la prima volta che avviene durante una ricorrenza religiosa così importante (non solo per gli sciiti). Ma, soprattutto, è la prima volta che si sceglie deliberatamente di colpire nel mucchio un obiettivo molto ben identificato: gli sciiti. Quasi contemporaneamente, una bicicletta-bomba ed una motocicletta-bomba esplodono a a Mazar-i-Sharif (dove si trova il più importante luogo di culto sciita, che i terroristi hanno risparmiato scegliendo una moschea periferica) e nella città di Kandahar.
Un portavoce del ministero dell'Interno accusa della strage i talebani che invece si affrettano a smentire. E, per altro, il loro coinvolgimento non è credibile, almeno per quella parte che si richiama al verbo “ortodosso” di mullah Omar. Da almeno due-tre anni, il movimento che ha sede oltre confine e i cui legami con Al Qaeda si son fatti forse più tenui, cerca di accreditarsi come un fronte nazionalista afgano, non più come una forza settaria pashtun. I talebani sono sunniti ultra ortodossi ma, sebbene in passato si siano scontrati a più riprese con gli hazara alleati coi tagichi, non colpirebbero un musulmano sciita per la sua scelta religiosa.
Cosa c'è dunque dietro la strage? Forse più di un avvertimento. All'Iran perché stia fuori dal “Grande gioco”. A Karzai e alla comunità internazionale per avvertirli che la guerra, con la conferenza di Bonn, non è finita. Se la rivendicazione può essere presa per buona, la svolta è davvero preoccupante. Che dietro la strage ci siano i servizi deviati pachistani (l'ala filoqaedista e oltranzista che si è sempre servita, per fede o per necessità, dei gruppi più radicali) o quel che resta di Al Qaeda o una nuova strategia che collega tra loro gruppi e interessi diversi (qaedisti, gruppi settari, talebani pachistani), l'Afghanistan diventa nuovamente un terreno di scontro dove si possono sperimentare nuove strategie e un'ennesima “discesa nel caos”. In Pakistan le attività dei gruppi settari servirono gli interessi sauditi nella guerra contro l'Iran khomeinista e ancora oggi gli effetti di quella stagione restano e pesano. Proprio recentemente LeJ ha rivendicato le stragi di pellegrini hazara nel Belucistan pachistano. Molto vicino alla frontiera afgana. Che adesso è stata attraversata.

Fonte: Lettera22, il Riformista

7 dicembre 2011

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