Afghanistan. La Russa ha deciso: l’Italia è in guerra
Elettra Deiana
In sei ore l’Italia potrà concedere o negare al comando di Isaf (International Security Assistance Force) l’autorizzazione a impiegare i propri soldati anche nel sud e nell’est del paese, le zone più a rischio.
La modifica dei "caveat", cioè quelle limitazioni all'impiego dei militari italiani in Afghanistan di cui tanto si è parlato nelle scorse settimane, è già in vigore. I nuovi caveat sono già operativi. «Io ho già firmato», ha dichiarato ad Herat il ministro della Difesa, Ignazio La Russa. «La modifica dei caveat è operativa», conferma il gen. Vincenzo Camporini, capo di Stato maggiore della Difesa. Dunque da oggi per autorizzare l'impiego dei nostri militari fuori dalla loro area di competenza il governo non avrà più un massimo di 72 ma solo 6 ore. In sei ore, insomma, l'Italia potrà concedere o negare al comando di Isaf l'autorizzazione a impiegare i propri soldati anche nel sud e nell'est del paese, le zone più a rischio.
L'Italia sceglie oggi di partecipare senza più velami o accorgimenti discorsivi o preoccupazioni tattiche alla guerra della Nato. Con le decisioni prese dal governo Berlusconi, si accentuano, fino a mostrarsi in piena luce e a diventarne il carattere saliente e costitutivo, tutti gli aspetti di vera e propria missione di guerra della partecipazione italiana. I lati di ambiguità che hanno caratterizzato in questi ultimi due anni l'attività delle nostre truppe sono così destinati a scomparire. Fino a ieri missione formalmente presentata come di pace – con vocazione al nation building, cioè a contribuire alla riedificazione del Paese – ma nei fatti segnata in maniera crescente da strappi diretti e indiretti, forzature, accomodamenti che ne hanno accentuato il profilo belligerante. L'Isaf (International Security Assistance Force) sottoposta dal 2003, senza esplicito né implicito mandato Onu, al comando della Nato, è stata in tutti questi anni una missione militare multinazionale con caratteristiche peculiari per quanto riguarda l'orientamento politico dei diversi Paesi che ne fanno parte.
Alcuni governi europei infatti, in particolare la Germania e l'Italia, hanno tentato di mantenersi ancorati a un impegno soprattutto di peace keeping e di nation building, secondo le indicazioni delle risoluzioni dell'Onu, vincolando le regole d'ingaggio dei propri contingenti a meccanismi restrittivi (caveat) per quanto riguarda gli spostamenti geografici delle truppe e l'uso delle armi. Ma la pressione del comando Nato, responsabile del coordinamento militare sia dell'Isaf sia dell'altra missione dichiaratamente di guerra "Enduring Freedom", nonché le continue richieste di alcuni governi, in particolare Gran Bretagna, Canada e Olanda, a un impegno più esteso e continuato in azioni di guerra da parte di tutti i Paesi alleati, hanno pian piano sortito il loro effetto. Già col governo Prodi le decisioni di accogliere le richieste alleate erano state numerose e corpose. Per una decisione già presa mentre era in carica il ministro Parisi, a metà aprile, in occasione del cambio di comando del Regional Command-West, di cui il nostro Paese è responsabile, per la prima volta la gestione delle operazioni è stata affidata a una Brigata dell'esercito, la Friuli. Si è trattato di una scelta di razionalizzazione e centralizzazione di non poco conto. Fino a quel momento infatti la struttura di comando e lo stesso contingente erano composti da personale proveniente da più reparti. Immettendo nel teatro afgano la Friuli e la sua "pedina di manovra" il 66° Reggimento Trieste, l'operatività del contingente italiano assumerà una maggiore organicità. Sulla stessa questione dei caveat, il governo Prodi aveva già fatto notevoli concessioni. Ora i caveat si scompaginano del tutto. In agosto, al termine del turno di comando italiano del Regional Command-west, una buona parte degli nostri effettivi schierati a Kabul verranno trasferiti proprio nel Re-w, tra le zone meno presidiate. Uno dei caveat più vincolanti riguardava non a caso la restrizione a che i vari contingenti si spostassero da un punto all'altro del territorio afgano, secondo le necessità operative individuate dal comando Nato. Un altro caveat riguardava il tempo necessario affinché il governo desse il suo beneplacito per uno spostamento di militari fuori dalle aree di nostra competenza. Questi caveat vengono cancellati. La decisione del governo Berlusconi è che le ore entro le quali il nostro Paese deve rispondere alla richiesta di un intervento in zone diverse si riduca da 72 a 6. E sulla flessibilità territoriale la disponibilità è grande. Rimangono oscuri aspetti importanti: in quali occasioni il governo o il comando italiano potrà opporre un rifiuto? Chi a Roma sarà materialmente preposto a decidere? In che misura verranno modificate le regole di ingaggio in rapporto all'uso delle armi? Verrà predisposto per la missione il codice penale militare di guerra anziché quello di pace? E che ruolo avranno i Tornado, che sono aerei da guerra e di attacco di primo ordine, in questa nuova stagione afgana del nostro Paese? Soprattutto, quali veleni di militarismo deteriore produrranno le irresponsabili dichiarazioni del ministro Frattini (mercoledì 11 giugno) sulla necessità che i militari italiani siano sottratti alla mala fama di essere dipinti come "dispiegati nelle zone tranquille", come quelli "che non fanno nulla e evitano situazioni rischiose"? Una frase, quella del ministro semplicemente irresponsabile, che non ha suscitato il minimo allarme, passata sui media come se nulla fosse. E' il nuovo spirito del tempo? Proprio così, viene da dire, mentre si moltiplicano notizie allarmanti da tutti i fronti di guerra. In Afghanistan la Nato sta conducendo una guerra sul campo mirata a colpire i Taleban ma con bombardamenti e operazioni miliari che comportano un continuo coinvolgimento di popolazioni civili inermi. Una guerra che non risolve affatto la situazione interna, non offre prospettive di pace e stabilità alla popolazione e neanche riesce a sconfiggere la guerriglia che dura da tempo. Una guerra che asseconda le strategie di geo-politica asiatica degli Usa e che per la Nato ha una posta in gioco decisiva. Il futuro dell'Alleanza, si affannano a ripetere il segretario generale, Jaap de Hoop Sheffer, e i comandi militari, è strettamente legato al successo della missione in Afghanistan. Per la Nato è prima impresa di guerra fuori area: una prova decisiva che non può fallire se gli alleati vogliono affrontare con successo la scadenza dei sessant'anni del Trattato (2009) e ridefinirne il ruolo strategico. Siamo a questo punto. Frattini e il suo governo hanno deciso che l'Italia è in guerra ma la cosa pare non interessare nessuno. In particolare pare non interessare affatto l'opposizione in Parlamento.
Fonte: Liberazione
2 luglio 2008