Afghanistan, bilancio di fine anno
Emanuele Giordana - Lettera22
Colloqui di pace, kamikaze, posizoni ondivaghe, inverno. Il punto a fine 2012.
Il bilancio è ancora incerto tra i poliziotti e i civili uccisi o feriti dopo che un kamikaze si è fatto esplodere ieri mattina nei pressi di una base Nato nella provincia orientale di Khost. Un veicolo stava per entrare in un vecchio aeroporto usato come base Nato: fermato dalla polizia afgana, il mezzo è esploso uccidendo almeno un poliziotto e due civili. L'attentato è stato rivendicato dai talebani ma ha fallito, come spesso accade, se l'obiettivo erano gli stranieri. Morti e feriti sono tutti afgani. E' solo l'ultimo episodio di una guerra che nemmeno l'inverno spegne, anche se gli attacchi si limitano a operazioni suicide per tener alta la tensione in attesa che neve e freddo lascino posto ad azioni più mirate.
La guerra non si ferma nonostante una ventina di afgani, tra cui membri importanti del movimento talebano, del governo Karzai, della cosiddetta Alleanza del Nord e della fazione di Gulbuddin Hekmatyar, si siano riuniti giovedi e venerdi prima di Natale, nel castello di la Tour, à Gouvieux, vicino a Chantilly, a 50 chilometri da Parigi. Benché i talebani avessero da subito chiarito che non si trattava di colloqui di pace, qualcosa è successo: ne fa fede un comunicato dell'emirato, riportato dall'agenzia afgana Pajhwok, in cui i turbanti chiedono una nuova Costituzione, reiterano che ogni cosa dipende dall'uscita di scena degli stranieri, ma – questo il fatto rilevante – fanno l'occhiolino alle elezioni del 2014. Cui sembrano interessati a partecipare. Secondo qualche osservatore, sarebbero dunque disposti, se mai si costituissero in partito politico, a condividere il potere con altri. E' un passo avanti. Secondo l'agenzia ToloNews ce n'è un altro: vorrebbero istituire una sorta di commissione che tenga conto di organizzazioni non governative, un passaggio per ora piuttosto oscuro ma che segnala un'apertura verso forme comunque poco gradite all'amministrazione Karzai che, del resto e seguendo l'atteggiamento ondivago che le è proprio, ha partecipato al meeting ma poi ne ha preso le distanze: «Non è ben chiaro chi abbia partecipato all'incontro – ha detto dopo il ministro degli Esteri Zalmai Rasool – e comunque non c'è bisogno di far questo tipo di cose fuori dal Paese. I colloqui di pace vanno fatti in Afghanistan». Posizione concorde con quella espressa dal Pakistan alla viglia del meeting francese (cui Islamabad non è stata invitata).
Come che sia l'incontro (il terzo, ma ai precedenti aveva partecipato solo l'ex talebano Abdul Salam Zaef) c'è stato, preparato dalla Fondation pour la Recherche Stratégique, centro vicino al Quay d'Orsay diretto da Camille Grand. Complicato sapere chi c'era esattamente: le informazioni dicono che Karzai era rappresentato da Haji Din Muhammad, suo consulente per gli Affari tribali (il precedente è stato ucciso dai talebani), dall'ex vice presidente Zia Massoud (fratello minore di Shah Massoud, il "leone del Panjshir") e dal nipote Hekmat Karzai. Per l'Alleanza del Nord c'era Yunus Qanooni, già speaker del parlamento. I talebani erano rappresentati da Shahabuddin Dilawar, ex ambasciatore dell'emirato a Riad e Islamabad e da Mohammad Naeem, membro dell'Ufficio aperto da loro in Qatar il 3 gennaio scorso. Per l'Hezb-i-Islami, c'era invece Ghairat Baheer, genero di Gulbuddin Hekmatyar.
Se non erano “colloqui di pace”, qualcosa comunque si muove: oltre alle due precedenti conferenze francesi (anche questa è stata definita dai talebani una “conferenza scientifica”), in giugno s'era svolto un incontro simile a Tokyo alla Doshisha University (prima del summit dei donatori), ma era stato solo una sorta di seminario. E all'inizio dell'anno in Qatar, Stati uniti e Arabia saudita avevano iniziato un'ipotesi di percorso negoziale coi talebani, subito arenatosi. Adesso l'Onu, secondo il capo di Unama Jan Kubis, ha in mente un "intra-Afghan dialog" in Turkmenistan in febbraio. Ma per ora i talebani sembrano freddi. Va inoltre registrata la freddezza dei pachistani già espressa sul meeting di Parigi e, adesso, la gelata di Rasool. Quanto a Parigi, avendo ritirato tutte le sue truppe, è probabilmente ritenuta dai turbanti un interlocutore possibile come mediatore di altri possibili incontri. Hollande sta giocando bene le sue carte.
Fonte: www.lettera22.it
27 Dicembre 2012