Acqua ai privati, il governo mette la fiducia. Lega in difficoltà
Bianca Di Giovanni
Fiducia sul decreto Ronchi che contiene la contestata privatizzazione dei servizi pubblici locali. Lega arrabbiata. Pd: danno ai cittadini.
Come previsto, la blindatura è arrivata. Per la 26esima volta. Ma stavolta i mal di pancia si fanno sentire eccome. La maggioranza perde compattezza, e la Lega si smarca. Sul decreto Ronchi, che contiene la privatizzazione dei servizi pubblici locali inclusa l’acqua, il Carroccio rischia grosso: il nord è in rivolta. Così, subito dopo la richiesta di fiducia presentata ieri dal ministro Elio Vito (si voterà oggi alle 16), i leghisti diramano uno scarno comunicato. In poche battute emerge tutto il malessere che attraversa l’alleato più fedele del premier. «La Lega avrebbe voluto migliorare il testo arrivato dal Senato – dichiara il vicecapogruppo della Lega alla Camera Marco Reguzzoni – per farlo corrispondere con la sua posizione storica a favore dell'acqua pubblica».
Detto chiaro e tondo: anche il Carroccio (come le opposizioni) vorrebbe che l’oro blu restasse nelle mani delle amministrazioni locali. Ma la ragion politica non lo consente. «Siamo in una coalizione», sospira Reguzzoni. Così oggi voterà la fiducia, ma presenterà anche un ordine del giorno che va in direzione opposta a quanto indica il decreto. E non solo: le camicie verdi aspettano la Finanziaria (alla camera inizierà l’iter domani) per inserire da subito qualche modifica. Si andrà in tutte le direzioni possibili: allungando i tempi di attuazione delle nuove norme (l’obbligo di cedere a privati scatta a inizio 2012), oppure escludendo i servizi idrici dalla privatizzazione.
Il percorso leghista non è distante da quello dell’opposizione. Tant’è che Reguzzoni riconosce «un miglioramento» nell’emendamento Bubbico (Pd) del Senato. Anche il deputato «finiano» Fabio Granata esprime «perplessità» sull'utilizzo dello strumento della fiducia su un argomento delicato come la privatizzazione dell'acqua. Di fatto la fiducia toglie qualsiasi possibilità d’intervento. È questo che fa infuriare l’opposizione. «Pochi grandi gruppi – attacca la vicepresidente del Pd Marina Sereni – faranno affari d'oro a discapito dei cittadini che subiranno l'aumento delle tariffe dell'acqua». La parlamentare democratica arringa contro la fiducia ai colleghi della maggioranza. «Questa pratica è anche contro di voi – dichiara – contro la vostra libertà di scelta. Cosa direte ai sindaci? Mi aspetto che si alzi almeno una voce libera dai banchi della maggioranza».
La strada del decreto ormai è segnata. Ma non è detto che le norme restino inalterate fino alla loro attuazione. Il fatto è che l’acqua mette in difficoltà il nord (dove comunità montane e enti locali sono già sul piede di guerra) e il sud. La dice lunga, infatti l’uscita del ministro Raffaele Fitto, che tenta di tamponare la falla aperta con il decreto. «Bisognerà vedere come si scrivono i decreti attuativi», dichiara in serata. Il ministro definisce la polemica sull’acqua «inesistente», in quanto «il bene resta pubblico, mentre la gestione andrà affidata a chi, «soggetto pubblico o privato, offre condizioni di efficienza e di costo più convenienti per il cittadino. Servizio che, peraltro, richiede investimenti infrastrutturali consistenti».
Se davvero fosse così, non ci sarebbe stato bisogno di un intervento: già oggi il servizio si può affidare a gara. Stessa cosa per gli altri servizi, come la gestione dei rifiuti, altro capitolo delicato del decreto. Il testo Ronchi di fatto obbliga gli enti a dare in gestione i servizi, escludendo la possibilità della gestione diretta e imponendo limiti alla presenza pubblica in caso di società quotate (il 40% che diventa 30% tra 5 anni). Solo in casi particolarissimi si potrà mantenere la gestione cosiddetta «in-hoise», casi da dimostrare attraverso un iter particolare, sottoposto all’autorizzazione dell’Antitrust. La scelta è chiara: aprire un nuovo ricco mercato ai privati. Un mercato che in Italia vale circa 5 miliardi annui con 25 milioni di famiglie servite, per un costo di circa 200 euro annui (dati Adusbef).
Fonte: L'Unità
17 novembre 2009