Accordo con Israele, Sharawna è libero
NEAR EAST NEWS AGENCY
Il prigioniero palestinese, in sciopero della fame da oltre otto mesi, è stato rilasciato ieri: è stato deportato per 10 anni a Gaza. ANP contraria all’accordo: “Ricatto israeliano”.
Ayman Sharawna, prigioniero palestinese detenuto nel carcere israeliano di Ramleh e in sciopero della fame da oltre otto mesi, ha ripreso ieri mangiare dopo aver stretto un accordo di rilascio con le autorità israeliane: secondo quanto annunciato dal Palestinian Prisoners Society, Sharawna è stato deportato nella Striscia di Gaza dove resterà in esilio per dieci anni.
Ayman Sharawna, 36 anni originario della città di Hebron, nel Sud della Cisgiordania, padre di nove figli, era stato rilasciato nell’ottobre 2011, nell’ambito dell’accordo di scambio di prigionieri tra Israele e Hamas (1.027 detenuti palestinesi in cambio del caporale dell’IDF, Gilad Shalit) dopo aver scontato dieci anni di prigione per partecipazione ad attacchi armati. Pochi mesi dopo, il 31 gennaio 2012, era stato però nuovamente arrestato perché accusato di aver violato i termini del rilascio, ovvero il divieto di uscire dal distretto di Hebron e l’obbligo di presentarsi di fronte all’intelligence israeliana ogni due mesi.
Le autorità israeliane non hanno mai rivelato in cosa consistessero tali violazioni, costringendo Sharawna in detenzione amministrativa senza accuse ufficiali né processi. Secondo il tribunale militare israeliano, l’aver violato i termini del rilascio cancellava di fatto l’amnistia, una novità del codice militare israeliano introdotta poco prima dell’accordo Shalit, nel 2011, un asso nella manica che Israele si è voluto garantire in previsione del rilascio di 1.027 prigionieri palestinesi. Sharawna rischiava di dover finire di scontare la precedente sentenza, che lo condannava a 38 anni di detenzione.
Per questo, il primo luglio 2012 ha iniziato lo sciopero della fame, come forma di protesta verso una detenzione considerata illegale. Ieri la decisione di giungere ad un accordo con Israele: il suo legale, Jawad Bulous, ha spiegato che la scelta è figlia del timore che l’udienza prevista per la prossima settimana lo avrebbe condannato a scontare i restanti 28 anni della precedente pena. Le autorità israeliane hanno confermato: “Sharawna sarà rilasciato tra poche ore”, ha detto ieri una portavoce dell’Israeli Prison Service.
Ma la persecuzione non pare finita: stamattina all’alba l’esercito israeliano ha fatto irruzione nella casa della famiglia Sharawna a Deir Samir, Hebron, e ha arrestato il fratello di Ayman, Jihad, 24 anni. Secondo un portavoce dell’esercito, sarebbe stato portato via per un interrogatorio di sicurezza; una punizione contro la famiglia Sharawna, secondo il Palestinian Prisoners Society.
Secondo quanto riportato dal ministro per gli Affari dei Prigionieri dell’Autorità Palestinese, Issa Qaraqe, Israele aveva già offerto sia a Sharawna che a Samer Issawi un accordo di rilascio: la libertà, ma in esilio a Gaza. I due avevano rifiutato, sostenuti dall’ANP che rigetta la deportazione dei prigionieri politici palestinesi definendola un ricatto da parte dell’occupante. La scelta di Sharawna segue quella di Hana Shalabi, prigioniera palestinese che rimase in sciopero della fame per 43 giorni contro l’ordine di detenzione amministrativa che la costringeva in carcere, poi essere deportata nella Striscia di Gaza. Il movimento dei prigionieri si spacca su simili forme di protesta individuali, una novità assoluta rispetto agli scioperi della fame collettivi che negli anni ’70 e ’80 permisero ai detenuti palestinesi di ottenere una serie di miglioramenti delle condizioni di vita nelle carceri.
A favorire lotte individuali sono le stesse autorità israeliane che negli anni hanno cercato di sfibrare l’unità del movimento, spingendo i prigionieri a concentrarsi su attività come la produzione di piccoli oggetti artigianali da vendere fuori. Così, i prigionieri tendono a isolarsi e a trascorrere il tempo in lavori manuali che tolgono spazio alla dimensione collettiva, che in passato ha fatto delle prigioni delle vere e proprie scuole politiche.
Fonte: Nena News
18 marzo 2013