A Londra i droni che uccidono a Gaza
Emma Mancini - nena-news.globalist.it
Il governo britannico firma un accordo con la compagna israeliana che produce gli aerei senza pilota responsabili della morte di 800 civili gazawi.
Il Regno Unito approfitta dei test militari israeliani e acquista i droni che a Gaza hanno provocato centinaia di vittime. Non è certo una novità: l’industria militare israeliana pubblica e privata vive una costante primavera, grazie allo sviluppo di nuove tecnologie regolarmente testate contro la popolazione palestinese, Striscia di Gaza in testa.
E gli affari con acquirenti europei ed internazionali sono sempre floridi. Ultimo in ordine di tempo l’accordo firmato dal governo britannico per lo sviluppo di un nuovo drone, Watchkeeper, prodotto dalla compagnia israeliana Elbit System. A darne con preoccupazione l’annuncio è stata l’associazione War on Want, impegnata in campagne contro la povertà e la guerra: Londra produrrà i droni israeliani testati contro Gaza e lo farà in collaborazione con una compagnia militare israeliana. L’associazione si è subito rivolta all’Unione Europea chiedendo di implementare un embargo militare contro Israele e i produttori di armi, così da bloccare anche l’accordo tra Londra e la Erbit.
Il Ministero della Difesa inglese ha firmato una serie di contratti per lo sviluppo del progetto di lungo termine Watchkeeper: 54 droni per un valore totale di un miliardo di dollari. Droni che saranno costruiti secondo il modello Hermes 450 della Erbit, che l’aviazione israeliana ha più volte utilizzato contro la Striscia di Gaza. Il numero di vittime gazawi, uccise da droni tra il 2006 e il 2011 – secondo War on Want– ha superato quota 800 persone.
“Sostenendo il commercio di armi con compagnie israeliana, il governo britannico manda un messaggio chiaro di approvazione delle aggressioni israeliane contro il popolo palestinese – ha commentato Rafeef Ziadah, direttore di War on Want – E l’Unione Europea manda un messaggio simile attraverso i fondi per la ricerca girati alle industrie di armi israeliane”.
Londra si è subito giustificata: “Watchkeeper non è armato, è un sistema aereo pilotato a distanza che fornirà alle truppe di terra sorveglianza, ricognizione e servizi di intelligence che aiuteranno a evitare morti civili e militari”, ha detto un portavoce del Ministero della Difesa britannico.
Bruxelles evita di commentare, proseguendo su una linea politica quantomeno ipocrita: da una parte critica la colonizzazione dei Territori Occupati e le violazioni dei diritti umani del popolo palestinese da parte di Tel Aviv e dall’altra firma accordi commerciali e culturali con il governo israeliano. Da una parte traccia linee guida per impedire agli Stati membri di fare affari e garantire finanziamenti a aziende e istituzioni che operano nelle colonie, e dall’altra tace sugli accordi bilaterali commerciali e militari firmati da molti dei suoi 28 membri.
E a fiorire è la potente industria militare, fatta di compagnie private e società statali: in Israele ben 6.784 imprenditori privati si occupano di esportazione di armi. Un numero a cui va aggiunta l’industria statale e che garantisce ad Israele di raggiungere il sesto posto nella classifica dei maggiori esportatori di armi al mondo, scavalcando Canada, Cina, Svezia e Italia. Nel 2012, secondo un rapporto del quotidiano israeliano Ha’aretz, il valore totale delle esportazioni israeliane di armi è stato pari a 7 miliardi di dollari (+20% rispetto al 2011).
A rendere tanto appetibile la produzione militare israeliana è l’alta tecnologia, a cominciare proprio da quella sviluppata per la produzione di droni e sistemi di difesa anti-missile, entrambi ampiamente testati nell’ultima offensiva militare contro Gaza: a differenza della sanguinosa Operazione Piombo Fuso (dicembre 2008-novembre 2009), durante la quale gli iniziali bombardamenti aerei sono stati seguiti dall’invasione via terra, a novembre del 2012 l’operazione Colonna di Difesa è stata gestita solo dall’aviazione, attaccando Gaza quasi esclusivamente con i droni, aerei senza pilota, che hanno permesso così ai soldati israeliani di non aver alcun tipo di coinvolgimento diretto nell’attacco.
Fonte: Nena News
13 dicembre 2013