A Kabul Kerry chiede l’immunità per i soldati americani


Giuliano Battiston


Durante una visita a sorpresa del segretario di Stato Usa in Afghanistan, è stato discusso l’accordo bilaterale di sicurezza tra i due paesi. La questione centrale è l’immunità.


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Con la visita a sorpresa nella capitale afghana del segretario di Stato degli Stati Uniti John Kerry, l’accordo bilaterale di sicurezza tra Afghanistan e Usa sembra più vicino. Così almeno hanno fatto credere Hamid Karzai e John Kerry nella conferenza stampa che ha concluso i due giorni di consultazione avuti la settimana scorsa a Kabul. Hanno parlato di progressi notevoli, di un accordo di base su alcuni punti chiave, si sono detti soddisfatti della ritrovata sintonia.

Era almeno da giugno, infatti, che i toni si erano inaspriti: l’apertura dell’ufficio politico dei Talebani a Doha, in Qatar, fortemente voluta dagli americani, era stato criticata da Karzai. Per il quale era inaccettabile che gli studenti coranici presentassero quell’ufficio come una sorta di ambasciata in esilio. Così, Karzai aveva deciso di interrompere i colloqui per il processo di pace e i negoziati sull’accordo bilaterale di sicurezza con gli americani. Un accordo importante, perché da quello dipende la presenza e lo status delle truppe americane sul suolo afghano dopo il 2014, quando terminerà la missione Isaf-Nato. Da politico scaltro, Karzai ha tirato la corda finché ha potuto, finendo con il criticare apertamente i risultati dell’occupazione militare in un’intervista a BBC Newsnight di pochi giorni fa. Dove ha contestato i metodi usati dai soldati stranieri nelle loro operazioni – un suo vecchio cavallo di battaglia – e sostenuto che il paese è meno sicuro di prima, nonostante tanti anni di intervento militare.

Incontrando John Kerry nel suo palazzo presidenziale, Karzai ha abbassato un po’ la guardia, dopo aver fatto il duro nei giorni precedenti: “se l’accordo non ci convince – aveva detto – beh, allora ovviamente gli americani possono andarsene.”. John Kerry però pare aver rassicurato Karzai su due questioni chiave: sul fatto che le truppe speciali americane non condurranno operazioni senza l’avallo dei partner afghani (ma su questo c’è già un accordo, spesso non rispettato dai vertici Usa); e soprattutto sul fatto che gli Stati Uniti si impegnano a difendere l’Afghanistan, in caso di aggressione esterna. Karzai voleva di più, sperava che all’Afghanistan venisse accordato un ruolo simile a quello dei paesi della Nato, per i quali vale il “diritto di protezione”. Ma qualcosa comunque ha ottenuto, grazie a una maggiore chiarezza su ciò che si intende per “aggressione”.

Il vero punto su cui ancora non c’è un accordo è la questione dell’immunità delle truppe americane. Karzai sembra incline ad accogliere la richiesta degli americani e ha convocato una Loya Jirga (il gran consiglio), a cui spetterà di decidere se concedere o meno l’immunità. In genere la selezione dei membri della Loya Jirga è fatta in modo da assecondare i desiderata di Karzai, ma su un tema così delicato nulla è scontato. Si vedrà nelle prossime settimane: gli Usa hanno fretta di chiudere la partita prima che la campagna elettorale per le presidenziali diventi infuocata e complichi l’intesa.

Attualmente, dal punto di vista legale la presenza delle truppe americane è regolata da due paginette diplomatiche redatte nel maggio 2003, firmate dall’allora ministro degli Esteri dell’amministrazione ad interim, il Dottor Abdullah Abdullah (oggi tra i principali candidati alle presidenziali del 5 aprile 2014). E’ lì che viene definito il SOFA (Status of Forces Agreement). Come ricordato in un recente articolo dalla studiosa Kate Clark, del centro di ricerca Afghanistan Analysts Network, insieme a moli dettagli tecnici poco rilevanti quelle due paginette nascondono la questione centrale. E’ lì che si stabilisce che al personale civile e militare del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti “viene accordato uno status equivalente a quello accordato allo staff tecnico e amministrativo dell’Ambasciata degli Stati Uniti d’America sotto la Convenzione di Vienna del 18 aprile 1961”. Da queste poche righe discende l’immunità degli americani in Afghanistan. O, per dirla meglio, il fatto che in caso di abusi compiuti sul territorio afghano gli americani rispondano alla propria legge, non a quella afgana. Per Karzai non c’è contraddizione: per lui, la sovranità del suo paese è rispettata anche se per i soldati stranieri vige l’immunità. La pensano diversamente i Talebani: in occasione di un messaggio di felicitazioni per la festa religiosa di Eid el-Adha, mullah Omar ha minacciato gravi conseguenze, nel caso in cui venga firmato l’accordo bilaterale: “gli invasori devono sapere che le loro basi non saranno mai accettate. L’attuale Jihad armata continuerà contro di loro con maggiore intensità”.

Anche su il manifesto di giovedì 17 ottobre

Fonte: www.lettera22.it
17 ottobre 2013

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