A Cancun vince la Realpolitik
Alberto Zoratti
Cancun: una liberazione collettiva dalla paura di Copenhagen, ma anche una nuova speranza perché si possa raggiungere un accordo realmente vincolante e con un consenso unanime.
Leggeteli i documenti, appena potete. Appena verranno diffusi dai media e dalle organizzazioni non governative. Sono l'espressione dell'oggi, dei rapporti di forza che ancora esistono all'interno di una struttura multilaterale, e per questo fonamentale, come la Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite. Provate a cercare i tagli delle emissioni per i Paesi industrializzati, spulciate tra le cifr per capire se quei 100 miliardi di dollari di Green fund saranno stanziati veramente (c'è scritto mobilizzati), da dove proverranno (non ci sono evidenziate le fonti) e come verranno gestiti. Per i primi tre anni verranno affidati ad un trustee che, udite udite, sarà la Banca Mondiale.
Provate a capire da dove proverrà il fast fund, quello da 30 miliardi di dollari entro il 2012. Lo abbiamo chiesto alla Ministra Prestigiacomo che ci ha confermato che i 410 milioni messi dall'Italia per il 2011 "non sono nè nuovi nè aggiuntivi, ma facciamo come tutti i Paesi".
Provate a cercare se c'è un second committment period quando scadrà Kyoto nel 2012, e quali impegni ci saranno per i Paesi industrializzati. E se rimanete sconcertati, dopo aver guardato e cercato attentamente, sarà forse perchè tutto il mondo dell'informazione vi avrà parlato di un accordo quasi unanime, importante e storico contro cui la Bolivia ha avuto qualcosa da dire. Perchè su quel documento non c'è scritto (quasi) nulla, aldilà del Green Fund che comunque, come abbiamo accennato, ha delle contraddizioni interne non proprio di poco conto. Perchè in questi due documenti è comunque passata la filosofia di Copenhagen (fortunatamente non le forzature antidemocratiche) che parla di poca voglia di impegnarsi da parte dei grandi Paesi industrializzati (come Stati Uniti, Canada e Giappone) e quelli di nuova emersione (come la Russia). E se la temperatura salirà, come ha ricordato l'Ambasciatore boliviano Solon, ben oltre i 2°C, in seguito agli impegni generici di Copenhagen che parlavano di un taglio del 13-17% per i Paesi avanzati pazienza. Ci penserà qualcun altro, magari delle nuove generazioni che intanto ora non ci sono e quindi non decidono.
Le standing ovation a Cancun non sono mancate. Per la presidente Espinoza, assolutamente meritate, per il percorso altamente inclusivo che ha fatto dimenticare la "notte orribile di Copenhagen" (come l'ha definita la caponegoziazione venezuelana), ma anche per le dichiarazioni che guardavano avanti, a Durban 2011 come il momento storico dove verrà varato un accordo realmente vincolante.
C'è da essere critici quindi? Non più di tanto, perchè un percorso multilaterale è ripartito. Perchè il niet della Bolivia, alla quale è stata chiesta flessibilità anche dalla delegazione del Gabon, della Colombia, è estremamente giusto nei principi, ma rischia di isolare il Paese e non fare un buon servizio alla lotta per gli obiettivi che intende sostenere.
Ma Cancun è stato anche questo. Una liberazione collettiva dalla paura di Copenhagen. Una nuova speranza perchè si possa raggiungere, in 12 mesi o 52 settimane o 365 giorni come ha detto il delegato delle Maldive, un accordo realmente vincolante e con un consenso unanime. Oggi, nella crisi di sistema in cui siamo immersi, abbiamo bisogno di questo. Di speranza. Oggi Cancun è stato un momento di cauto ottimismo, ma il lavoro da fare è ancora molto, troppo.
Fonte: Altreconomia
11 dicembre 2010