Le vittime e il potere atroce delle immagini
Franco Venturini
Sono state le forze governative a fare macelleria con il gas nervino che possiedono, e ciò senza tenere conto che proprio in questi giorni è in corso una ispezione dell’Onu sull’utilizzo delle armi chimiche in Siria?
Assad si sarebbe dunque sparato sui piedi?
Possibile, probabile secondo certi analisti, anzi sicuro secondo i ribelli. I quali però altre volte sono stati colti a fabbricare provocazioni video, e secondo alcuni (compreso l’Onu) possiedono anch’essi gas nervino.
Oggi prevale la brutalità delle immagini che fanno il giro del mondo e l’accento viene posto sui bambini assassinati, domani (ma la Russia ha già cominciato) tornerà il tempo delle smentite e delle recriminazioni, del sangue versato non si sa bene da chi ma che comunque sottolinea l’impotenza dell’Occidente davanti alla guerra civile siriana.
Il rapporto tra strumenti mediatici e conflitti è antico quanto la propaganda, e precede di molto la nascita di Internet. Per restare ai tempi nostri, non possiamo dimenticare che lo sbarco dei Marines in Somalia fu ripetuto per migliorare l’effetto televisivo, non possiamo cancellare che fu una bomba di assai dubbia paternità a fare strage nel mercato di Sarajevo facendo scattare l’intervento Nato.
L’elenco potrebbe continuare a lungo. Non stupisca dunque l’atroce balletto sull’utilizzo di armi chimiche in Siria, nel presupposto che il loro uso da parte di Assad potrebbe «costringere» Obama a fare di più contro il regime di Damasco, mentre l’ipotesi contraria rafforzerebbe dubbi e reticenze che già si nutrono verso le formazioni ribelli di stampo jihadista.
L’unico risultato sicuro di questo ennesimo episodio di videostragismo è di riportare la Siria al centro di quella scena mondiale che l’Egitto per sua disgrazia gli contende. Per ricordare che la mattanza siriana ha ormai superato le centomila vittime. Che l’intervento delle milizie sciite di Hezbollah ha rovesciato almeno in parte il rapporto di forze sul terreno a favore di Assad. Che nelle fila dei ribelli prevalgono sempre più nettamente le formazioni islamiste sunnite che si richiamano a Al Qaeda, il che induce alla prudenza i fornitori di armi euro-americani mentre più spregiudicati sono Arabia Saudita e Qatar peraltro in gara tra loro (come in Egitto).
La Siria rimane lì, devastata e seduta sull’orlo del cratere. Perché il fuoco che brucia in Siria lentamente ma implacabilmente si estende, minaccia la fragilità libanese, mette a dura prova quella giordana, rischia di riaccendere la miccia multiforme dei Curdi, estende il terreno della battaglia tra sunniti e sciiti all’Iraq, tiene in bilico l’Iran del nuovo presidente Rohani, moltiplica com’è logico le preoccupazioni di Israele.
Intanto Stati Uniti e Russia tra una lite e l’altra affermano che occorre negoziare e preparano insieme la conferenza di Ginevra II. Che rischia di essere, semmai sarà, una risposta mediatica organizzata da chi non sa come fermare la strage. Ma almeno senza gas nervino, senza cadaveri, senza l’infinita ferocia di chi uccide uomini, donne e bambini per alzare l’Auditel nelle stanze dei bottoni che possono decidere, ma forse non più, chi vince e chi perde.
Fonte: Corriere della Sera
22 agosto 2013