Armi e soldati: quanto spende l’Italia


Emanuele Giordana - Lettera22


Venti miliardi l’anno la spesa militare a bilancio per la Difesa. Quanto pesa la scelta degli F-35, tema caldo in Parlamento.


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Quanto spende l’Italia per la Difesa e quanto contano in questo quadro la nuova legge voluta a fine legislatura dall’ex ministro Di Paola e gli acquisti di nuovi caccia e navi per aeronautica e marina? Risponde un dossier di Archivio Disarmo, che da anni si occupa di armamenti ma anche di come potrebbe o dovrebbe essere il nostro modello di Difesa. La ricerca (Fulvio Nibali: La spesa militare in Italia – Rapporto 2013), parte dalla considerazione che mentre ogni anno 15 milioni di persone muoiono per malattie legate a scarsità e qualità di cibo e acqua e che la Banca Mondiale ha stimato che per debellarle occorrerebbe investire annualmente 200 miliardi di dollari, un decimo di questa cifra è quel l’Italia da sola spende ogni anno per la Difesa.

L’Italia, scrive il rapporto, è in linea con un trend mondiale che anziché debellare malattie endemiche si dedica al gioco della guerra in un quadro che vede una crescita costante della spesa militare che, senza considerare quella per il mantenimento degli arsenali nucleari, ammonta a più di 1700 miliardi di dollari.
Dei venti miliardi circa la metà sono stipendi (in crescita) mentre il comparto investimenti subisce una leggera flessione (3,3 mld nel 2013 e 3 nel 2015). Ma quel che preoccupa i ricercatori è soprattutto dove vanno i soldi: il programma F-35 Joint Strike Fighter fa la parte del leone: “I ritardi nello sviluppo e nella consegna dei velivoli, uniti a evidenti difetti di progettazione, hanno fatto lievitare i costi fino a 127 milioni di euro stimati per unità… sollevando sempre più spesso l’ipotesi secondo cui sarebbe meglio rinunciare al programma e destinare le risorse economiche ad altri settori dell’economia”. Ma dice il rapporto “se il prezzo unitario è lievitato in maniera così esponenziale, l’esborso per 90 aerei sarebbe comunque superiore a quello previsto per i 131 originariamente ipotizzati” e la riduzione del numero di caccia “sarebbe senza effetti economici concreti”. Sotto accusa anche la famosa “creazione di 10mila posti di lavoro in Italia…che fonti sindacali assicurano non saranno più di 1.500”.

Infine, aggiunge il rapporto, non essendo stato firmato il contratto definitivo “eventuali penali per il mancato acquisto non esistono”. La spesa incide parecchio: “gli stanziamenti previsti per gli anni 2012 e 2013 relativi allo sviluppo del caccia ammontano a 548,7 e a 500,3 milioni…i più consistenti dell’intero bilancio della Difesa”. Fronte mare: la Marina ha annunciato l’acquisto di dodici navi con un costo unitario di 250 milioni per un totale di 3 miliardi. Navi dual use, utilizzabili per far fronte a catastrofi naturali ma “con la possibilità di ospitare centrali di controllo e armamenti come missili e siluri”.

Difenderci da cosa? Il rapporto ragiona sulle sfide elencate dal penultimo governo (che restano la linea guida di quello odierno): terrorismo internazionale, armi di distruzione di massa, minacce all’accesso alle risorse e alla sicurezza cibernetica. La risposta italiana, commenta il dossier, è “quasi esclusivamente militare…fa aumentare le spese e la quantità di armi in circolazione…fa aumentare quindi i rischi di guerre”. Scrive il rapporto che “sarebbe più opportuno impostare modelli di difesa capaci di gestire le emergenze e i rischi con strumenti alternativi e meno pericolosi”…ma in Italia – conclude – un “serio dibattito sulla politica internazionale e su un nuovo modello di difesa manca”. Aggiungiamo noi: il modello c’è ed è stato appena riverniciato di fresco da Di Paola. Cambiando tutto perché non cambi nulla: via un po’ di militari e acquisto di nuove armi.

Questo articolo è uscito anche su il manifesto.

Fonte: www.lettera22.it
10 luglio 2013

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