Francesco: nessuno piange questi morti che sono nostri fratelli


Giacomo Galeazzi


Il monito del Papa: i drammi del mare sono causate da decisione socio-economiche. Abbiamo creato la globalizzazione della sofferenza e siamo tutti responsabili, ma senza nome e senza volto.


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Pope Francis speaks to migrants during his visit to the island of Lampedusa, southern Italy, Monday July 8, 2013. Pope Francis traveled Monday to the tiny Sicilian island of Lampedusa to pray for migrants lost at sea, going to the farthest reaches of Italy to throw a wreath of flowers into the sea and celebrate Mass as yet another boatload of Eritrean migrants came ashore.
ANSA/ALESSANDRA TARANTINO/POOL

Immigrati morti in mare, da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte. Quando alcune settimane fa ho appreso questa notizia, che purtroppo tante volte si è ripetuta, il pensiero vi è tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza. E allora ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta.

Prima però vorrei dire una parola di sincera gratitudine e di incoraggiamento a voi, abitanti di Lampedusa e Linosa, alle associazioni, ai volontari e alle forze di sicurezza, che avete mostrato e mostrate attenzione a persone nel loro viaggio verso qualcosa di migliore. Voi siete una piccola realtà, ma offrite un esempio di solidarietà!

Grazie anche all’arcivescovo monsignor Francesco Montenegro per le sue parole. Un pensiero lo rivolgo ai cari immigrati musulmani che stanno iniziando il digiuno di Ramadan, con l’augurio di abbondanti frutti spirituali. La Chiesa vi è vicina nella ricerca di una vita più dignitosa per voi e le vostre famiglie.

Questa mattina, alla luce della Parola di Dio che abbiamo ascoltato, vorrei proporre alcune parole che soprattutto provochino la coscienza di tutti, spingano a riflettere e a cambiare concretamente certi atteggiamenti. «Adamo, dove sei?»: è la prima domanda che Dio rivolge all’uomo dopo il peccato. «Dove sei?». E’ un uomo disorientato che ha perso il suo posto nella creazione perché crede di diventare potente, di poter dominare tutto, di essere Dio.

E l’armonia si rompe, l’uomo sbaglia e questo si ripete anche nella relazione con l’altro che non è più il fratello da amare, ma semplicementel’altro che disturba la mia vita, il mio benessere. E Dio pone la seconda domanda: «Caino, dov’è tuo fratello?». Il sogno di essere potente, di essere grande come Dio, anzi di essere Dio, porta ad una catena di sbagli che è catena di morte, porta a versare il sangue del fratello! Queste due domande di Dio risuonano anche oggi, con tutta la loro forza! Tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. E quando questo disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a tragedie come quella a cui abbiamo assistito.

«Dov’è tuo fratello?», la voce del suo sangue grida fino a me, dice Dio. Questa non è una domanda rivolta ad altri, è una domanda rivolta a me, a te, a ciascuno di noi. Quei nostri fratelli e sorelle cercavano di uscire da situazioni difficili per trovare un pò di serenità e di pace; cercavano un posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte. Quante volte coloro che cercano questo non trovano comprensione, accoglienza, solidarietà! E le loro voci salgono fino a Dio! «Dov’è tuo fratello?».

Chi è il responsabile di questo sangue? Nella letteratura spagnola c’è una commedia di Lope de Vega che narra come gli abitanti della città di Fuente Ovejuna uccidono il Governatore perché è un tiranno, e lo fanno in modo che non si sappia chi ha compiuto l’esecuzione. E quando il giudice del re chiede: «Chi ha ucciso il Governatore?», tutti rispondono: «Fuente Ovejuna, Signore». Tutti e nessuno! Anche oggi questa domanda emerge con forza: Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno!

Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io. Ma Dio chiede a ciascuno di noi: «Dov’è il sangue di tuo fratello che grida fino a me?». Oggi nessuno si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parla Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo “poverino”, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci sentiamo a posto. La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza.

Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro! Ritorna la figura dell’Innominato di Manzoni. La globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti “innominati”, responsabili senza nome e senza volto. «Adamo dove sei?», «Dov’è tuo fratello?», sono le due domande che Dio pone all’inizio della storia dell’umanità e che rivolge anche a tutti gli uomini del nostro tempo, anche a noi. Ma io vorrei che ci ponessimo una terza domanda:Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?», per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del “patire con”: la globalizzazione dell’indifferenza! Nel Vangelo abbiamo ascoltato il grido, il pianto, il grande lamento: «Rachele piange i suoi figli… perché non sono più». Erode ha seminato morte per difendere il proprio benessere, la propria bolla di
sapone. E questo continua a ripetersi… Domandiamo al Signore che cancelli ciò che di Erode è rimasto anche nel nostro cuore; domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada a drammi come questo.

«Chi ha pianto?». Signore, in questa Liturgia, che è una Liturgia di penitenza, chiediamo perdono per l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle, ti chiediamo perdono per chi si è accomodato, si è chiuso nel proprio benessere che porta all’anestesia del cuore, ti chiediamo perdono per coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi. «Adamo dove sei?», «Dov’è il sangue di tuo fratello?». Amen.

Papa affida l’isola alla Madonna venerata anche dai musulmani

Mea culpa per i 25 mila morti in mare e appello per la pacifica convivenza delle fedi. Francesco ha ringraziato i profughi per l’accoglienza e la speranza riposta nella sua visita a Lampedusa. Poi si è inginocchiato a pregare la Madonna di Porto Salvo (che all’epoca della quarta crociata era venerata insieme da cristiani e musulmani ed è oggi è il simbolo dell’integrazione religiosa) per chi non c’è l’ha fatta a sopra il braccio di mare tra l’Africa e l’isola degli ultimi.

Ogni istante di Bergoglio a Lampedusa è una tappa del pellegrinaggio papale nella Chiesa dell’ultimo lembro d’Europa. A bordo della “campagnola” scoperta Francesco percorre le strade dell’isola, salutato e acclamato dalla folla, per dirigersi al campo sportivo “Arena”, in località Salina, dove celebrerà la messa.

“Vi saluto tutti e ringrazio per l’accoglienza, tutti siamo qui oggi nella preghiera e anche per questo non ho parlato. E’ per questo che oggi sono qui. Grazie, grazie”. Così il Papa si è rivolto al Molo Favarolo di Lampedusa a un gruppo di immigrati a cui ha stretto la mano. I profughi sono per metà cristiani e per metà musulmani, molti eritrei, tra loro anche tre donne e per la maggioranza sono minorenni.Il Papa è arrivato al Molo Favarolo con la motovedetta della Capitaneria di porto che in otto anni ha tratto in salvo dal mare 30 mila persone.

Prima di giungere al molo il Pontefice aveva sostato per un breve momento di raccoglimento prima di lanciare una corona di crisantemi bianchi e gialli presso la “porta d’Europa” di Punta Maluk, in ricordo delle tante persone che hanno perso la vita in questo braccio di mare nel tentativo di raggiungere l’Italia e una vita migliore. Al Molo Favarolo Papa Bergoglio ha stretto la mano ad uno ad uno a tutti gli immigrati presenti, in maggioranza ragazzi, scambiando anche alcune battute con qualcuno di loro.

Come ha spiegato nel suo breve intervento prima che il giovane profugo gli consegnasse la lettera, Francesco vuole dare a questa giornata a Lampedusa un senso di preghiera e, nel ricordo di quanti sono morti, un senso di vicinanza alle loro famiglie e alla popolazione di questa piccola isola che generosamente si fa carico del difficile compito di accoglierli.Intanto nella diocesi di Agrigento si festeggia san Calogero, santo nero.

Fonte: http://vaticaninsider.lastampa.it
8 luglio 2013

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