Onu, le cifre dell’orrore: 60mila vittime in Siria


Avvenire


Comperare il pane, approvvigionarsi di benzina per i generatori, cercare riparo dai bombardamenti. Tutto impossibile, in Siria. Impossibile in un Paese dove i raid, più “mirati” che mai, annientano ogni tentativo quotidiano di sopravvivenza.


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È ormai prossimo ai 60mila il numero dei morti causati dal conflitto siriano in 20 mesi.

Lo ha riferito ieri l’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani Navi Pillay, facendo riferimento a una ricerca effettuata negli ultimi cinque mesi e definita «esaustiva». Il maggior numero di perdite si è registrato a Homs (12.560), nella periferia rurale di Damasco (10.862), Idlib (7.686), Aleppo (6188), Daraa (6034) e Hama (5080). Oltre il 76% delle vittime è di sesso maschile, mentre il 7,5% sono donne, secondo l’analisi condotta dalle Nazioni Unite. Nel 16,4% dei casi, non è stato possibile identificare il sesso del defunto. Nelle ultime ore sono stati pubblicati tre altri bilanci, stilati da altrettante organizzazioni umanitarie siriane, tutte basate su un conteggio dettagliato e su dati raccolti da ricercatori sul terreno. In venti mesi di violenze sarebbero morte dalle 39mila alle 45mila persone, a seconda del conteggio delle diverse organizzazioni. I media ufficiali di Damasco hanno da tempo cessato di riportare il numero e le generalità dei soldati uccisi.

Solo ieri, sessanta persone sono rimaste uccise in un bombardamento aereo condotto dalle forze del regime contro una stazione di benzina nel sobborgo di al-Maliha, a sud-est di Damasco (la denuncia è dell’opposizione siriana). Altre 27 persone sono state uccise in un altro raid aereo condotto contro Moadamiyat al-Sham, alla periferia sud-occidentale della capitale, tra cui due intere famiglie che sono state sterminate mentre si trovavano nei pressi di una panetteria. Le fonti affermano che «i membri delle due famiglie si trovano sotto le macerie di una palazzina colpita da barili-bomba sganciati da velivoli militari». Aerei da combattimento governativi hanno anche attaccato le città di Shebaa a Sud-est e Deir Assafir a sud di Damasco, come riferisce Human Rights Watch.

È proseguita intanto l’offensiva dei ribelli contro l’aeroporto militare di Taftanaz, sito nella provincia settentrionale di Idlib, in cui sono posizionati 400 soldati lealisti e una trentina di velivoli. Lo rivela l’Osservatorio siriano per i diritti umani, che riferisce anche di un numero imprecisato di vittime da ambo le parti. Scontri tra ribelli e forze governative sono avvenuti anche nelle vicinanze del campo militare di Wadi Deif, nei dintorni di Idlib.

Ed è proprio in questa area che è rimasto ucciso, quattro giorni fa, un cittadino australiano di origine turca che da tempo combatteva con i ribelli, ma di cui è stato reso il “martirio” solo ieri. Il video postato su Internet spiega che il mercenario faceva parte del fronte salafita al-Nusra. La stampa australiana avrebbe identificato l’uomo con Yusuf Toprakkaya, 30 anni, la cui famiglia vive in un sobborgo di Melbourne.

Intanto, risultano rapiti anche due giornalisti. Uno è James Foley, 39 anni, freelance per diversi canali televisivi statunitensi e collaboratore della agenzia di stampa France Presse, rapito lo scorso 22 novembre. Il sequestro è avvenuto nella città di Taftanaz, dove il reporter viaggiava con un altro giornalista anche lui sequestrato ma del quale la famiglia non ha voluto rendere noti il nome e la nazionalità. Gli stessi familiari di Foley avevano chiesto il silenzio stampa sul sequestro del loro congiunto, ma ieri si sono decisi a dare la notizia. «Vogliamo che Jim torni a casa sano e salvo, o almeno dateci la possibilità di parlare con lui», ha detto il padre in un appello ai rapitori.

Fonte: www.avvenire.it
2 Gennaio 2012

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