Mitt von Bismarck


Ugo Tramballi - ilsole24ore.com


Durante il discorso di lunedì 8 ottobre presso il Virginia Military Institute, Romney probabilmente voleva provocare un “bang”, ha fatto solo “puf”.


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Probabilmente voleva provocare un “bang”. Ha fatto solo “puf”. Bandiere, insegne di battaglia, giovani cadetti in divisa bianca schierati a ferro di cavallo attorno al podio: un ordine più sovietico che americano nella foto dall’alto, pubblicata nella notte dal New York Times sul suo sito.

Si attendevano fuochi d’artificio neocon nel discorso sulla politica estera, in particolare sul Medio Oriente, annunciato da Mitt Romney. La sala era da Purple Heart: la Hall of Valour dell’Istituto militare della Virginia, Lexington. “E’ responsabilità del presidente usare la potenza americana per forgiare la Storia, non guidare dalla retroguardia, lasciando il nostro destino alla mercé degli avvenimenti”, ha detto il candidato repubblicano. Il senso era un po’ vetero-coloniale, stile Rudyard Kipling. Ma lui non se ne deve essere accorto.

Mitt Romney non ha detto altro di rilevante, posto che quella frase lo fosse. Durante la campagna per le primarie c’era da conquistare il cuore ultra-conservatore del Partito repubblicano catechizzato dal Tea Party.  Nelle presidenziali vere e proprie, come in tutte le elezioni del mondo, il Santo Graal è il centro moderato. Così Romney non ha ripetuto che la Russia è il nemico geopolitico numero uno, che la Cina va presa a schiaffi né che bisogna bombardare al più presto l’Iran e tagliare gli aiuti economici all’Egitto e a tutti i Paesi arabi dove i partiti islamici vincono le elezioni (democratiche, mannaggia!).

Il candidato repubblicano ha genericamente attaccato. L’alternativa alla politica estera moderata di Obama fino a ieri era riproporre quella militarista di George Bush: ma non ci sono più i soldi né la voglia per altre avventure militari. Oppure allinearsi a Vladimir Putin che si ostina a rappresentare un mondo che non c’è più, quello bipolare Usa-Urss: ma il mondo è ormai fatto da molti attori più importanti, dinamici, qualcuno potenzialmente più pericoloso della Russia.

Romney non ha nemmeno citato George Bush nel suo discorso, si è guardato dal minacciare la Russia e non ha detto che Israele ha il diritto di bombardare l’Iran. Il suo problema è che fra Bush/Putin e Barack Obama non ci sono altre opzioni che possano definire il ruolo degli Stati Uniti nel XXI secolo. Quello di Romney è stato il discorso “di chi non ne sa molto di politica estera”. Un discorso “buono, ma in realtà pieno di banalità”, ha commentato Madeleine Albright. Il suo è evidentemente un giudizio di parte: è stata il segretario di Stato nel secondo mandato Clinton. Ma è una che di diplomazia se ne intende.

Non è tuttavia questo che determinerà il vincitore delle elezioni del 2012. Questa volta la politica estera conta poco. Nemmeno i soldati che continuano a morire in Afghanistan spostano voti importanti: comunque, per non sbagliare, a Lexington il repubblicano non ha nemmeno ripetuto la sua proposta di restare laggiù fino alla vittoria. Mitt Romney non è decisamente un Otto von Bismarck ma in Ohio gli ultimi sondaggi lo danno comunque in vantaggio su Barack Obama.

Fonte: http://ugotramballi.blog.ilsole24ore.com/
9 ottobre 2012

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