“L’Italia sono anch’io”: affrettati!


Toni Castellano


Ancora pochi giorni per firmare le proposte di legge di iniziativa popolare sulla cittadinanza ai bambini stranieri nati in Italia, e sul diritto di voto alle amministrative per gli immigrati. Intervista a Lamine Sow, referente del comitato “L’Italia sono anch’io” in Piemonte.


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"L'Italia sono anch'io": affrettati!

Nel nostro Paese esistono ragazzi che, pur essendo nati e vissuti sempre qui, non possono dirsi italiani. I loro genitori a propria volta per la maggior parte lavorano e pagano le tasse in Italia, eppure non hanno diritto di voto: non possono decidere chi e come dovrà amministrarli. Sono le persone di origine straniera e i loro figli residenti in Italia, che oggi sfiorano quota 5 milioni, l'8% della popolazione totale. Un quinto sono minori, bambini che in molti casi non sono mai nemmeno stati in vacanza nel Paese d'origine della famiglia.
 
In molti stati di tradizioni democratiche il diritto di cittadinanza si fonda sul principio dello "ius soli", secondo cui chi nasce in quel territorio ne diviene automaticamente cittadino. Inoltre esistono legislazioni che permettono di ottenere in tempi rapidi la cittadinanza alle persone straniere che regolarmente vi lavorano e risiedono. In Italia vige invece la regola dello "ius sanguinis", in base alla quale ciascuno "eredita" la cittadinanza dei propri genitori, e solo al compimento della maggiore età ha diritto eventualmente a chiedere quella dello stato in cui è nato e risiede. Una modalità che secondo molti non risponde più alle dinamiche economiche e sociali dei Paesi in cui il fenomeno dell'immigrazione ha assunto un ruolo rilevante, Italia compresa.
Per attirare l'attenzione su questo problema è nato il comitato "L'Italia sono anch'io", promotore di due proposte di legge di iniziativa popolare per la revisione delle norme sulla cittadinanza (la legge 91 del 1992) e per il diritto di voto alle elezioni amministrative per gli immigrati residenti da almeno 5 anni. Al comitato hanno aderito oltre venti associazioni, tra le quali anche il Gruppo Abele, Libera e Terra del Fuoco. La raccolta delle firme necessarie, iniziata lo scorso autunno, sta per concludersi: il 6 marzo prossimo sarà l'ultimo giorno utile per la presentazione delle due proposte di legge, ratificate da un minimo di 50.000 firme. Una soglia che sembrerebbe già essere stata superata.
Abbiamo chiesto a Lamine Sow, sindacalista di origine senegalese e referente del comitato piemontese, come procede la campagna e come ha risposto finora la Regione Piemonte.

In Piemonte hanno lavorato alla raccolta delle firme numerosi comitati locali. In attesa delle verifiche dei Comuni sulla loro regolarità, avete già una cifra indicativa di quante firme sono state raccolte in questi mesi di campagna?
In Piemonte abbiamo distribuito un numero consistente di schede: 35.000. Ad oggi possiamo dire che le firme raccolte sono intorno alle 7.000. L'intenzione è di superare, entro il 20 di febbraio, le 10.000 firme per ciascuna delle due proposte.
 
Nel promuovere la campagna avete incontrato molte persone. Che idea vi siete fatti sul livello di informazione dell'opinione pubblica riguardo al diritto di voto agli immigrati?
Questa è stata un'esperienza importante per noi italiani. Per la prima volta siamo scesi in piazza per confrontarci con la gente su queste tematiche, che non sono affatto semplici.
I banchetti hanno trovato un'accoglienza favorevole, anche se non possiamo dimenticare che c'è stato chi ha manifestato un totale dissenso, in particolare per quel che riguarda il diritto di voto agli immigrati. Mentre sull'altra proposta, quella della cittadinanza ai bambini nati in Italia, abbiamo riscontrato grandissima sensibilità, da parte di tutti. Alla prova dei fatti la sensazione è positiva.
Il problema più grosso non è stato quello dell'adesione. Il vero problema è stato quello delle energie a disposizione: i volontari erano troppo pochi rispetto a quello che siamo riusciti a smuovere nella coscienza degli italiani. L'impressione alla fine è che avremmo potuto raccogliere molte più firme se fossimo riusciti a portare i nostri banchetti al di la dei centri più frequentati. Sono mancate le forze per sostenere un'iniziativa così importante.
 
"L'Italia sono anch'io" ha promosso numerose iniziative di sensibilizzazione, dai videomessaggi di testimonial famosi come Paolo Rossi alle testimonianze di giovani di origine straniera da anni residenti o nati in Italia. Al di là del numero di firme raccolte, quale impatto ritieni abbia avuto sugli italiani il messaggio della campagna?
Bisogna ammettere che su questo argomento c'era e c'è una scarsissima informazione. In particolare sul diritto alla cittadinanza dei ragazzi.
La maggior parte delle persone che si avvicinano agli stand per informarsi danno per scontato che in Italia già viga lo "ius soli'". Dicono: "quel bambino, sebbene di origini peruviane, è nato qui, va a scuola con mio figlio, è nel banco dietro al suo: deve essere italiano anche lui". Invece non è così e questo, per gli italiani stessi, risulta a volte sconvolgente. Dal punto di vista dell'informazione su questo punto abbiamo fatto decisamente breccia, e una grande mano ce l'hanno data le parole del Presidente Napolitano, quando ha affermato che "negare la cittadinanza ai bambini nati in Italia è una follia".
 
Entro il 6 marzo ci sarà la presentazione delle due proposte di legge. Quali saranno le prossime tappe? Come proseguiranno le attività del comitato?  
Prima ancora di puntare alla scadenza del 6 marzo abbiamo in testa la data 18 febbraio. In piazza Carignano a Torino ci sarà l'ultimo grande momento di raccolta firme sul territorio, con concerti e animazioni. Il 20 febbraio chiuderemo la raccolta delle firme e ci dedicheremo alla loro convalida.
Una volta inviate al Parlamento, ci aspettiamo che le nostre proposte vengano discusse.
In passato sono già state presentate altre proposte di legge su questa materia, ma non sono mai arrivate in aula. Ora è diverso, siamo fiduciosi proprio perché queste arriveranno a Roma accompagnate da migliaia di firme, almeno 50.000. Siamo dell'idea che, dove si esercita la democrazia, l'espressione degli elettori non può cadere nel silenzio.

Fonte: http://www.gruppoabele.org
13 Febbraio 2012

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