Arriva Bush, visir della guerra
Zvi Shuldiner
E’ previsto per mezzogiorno di oggi l’atterraggio dell’Air Force One 1 nell’aeroporto di Tel Aviv dal quale discenderà, nel ruolo di pacificatore, il presidente americano Gorge W. Bush.
E’ previsto per mezzogiorno di oggi l’atterraggio dell’Air Force One 1 nell’aeroporto di Tel Aviv dal quale discenderà, nel ruolo di pacificatore, il presidente americano Gorge W. Bush. Un nuovo capitolo nella tragica commedia “ neopacifista” di uno dei peggiori presidenti statunitensi dell’era moderna. Dopo il fatale, tragico e deprecabile 11 settembre 2001, quello che fino ad ora era stato un debole e malandato presidente trovò la scusa per dare inizio ad una delle più sanguinose crociate belliche degli ultimi anni. Dall’Afghanistan all’Iraq le menzogne dell’amministrazione Bush-Cheney non riescono più a nascondere tutto il sangue versato.
Sono ormai centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini le vittime della guerra contro “l’asse del male”.
Non poche trame dell’11 settembre portavano all’Arabia Saudita, ad alcuni dei suoi gerarchi o servizi segreti; ma gli americani non hanno assolutamente pensato di attaccare la “giovane democrazia feudale saudita” i cui alti funzionari, oltre ad essere amici della grande democrazia americana, sono amici personali del presidente. A Baghdad continua a correre il sangue, nonostante le bombe nascoste da Saddam Hussein non siano mai state trovate; in Pakistan continua il caos mortale per proteggere altre bombe – le “bombe buone”, mentre gli americani continuano a dire che cercheranno di portare pace e democrazia per tutti. Dal 2001 il governo israeliano guidato da Ariel Sharon, grazie a compiacenze e complicità americane, ha potuto agire indisturbato. Bush inviava inviati, dichiarava dichiarazioni, parlava di pace, democrazia e “road map”, mentre cresceva la repressione contro la seconda Intifada palestinese. Senza l’avallo americano, senza il silenzio dell’Occidente colto e democratico – che seguiva gli americani come un obbediente barboncino- non ci sarebbero stati i lunghi e tragici anni dell’Intifada. Il “terrore” era il grande nemico di tutti. La cultura della paura ha dominato la politica occidentale e giustificato crimini di ogni tipo in nome di una supposta lotta al terrorismo. L’occupazione israeliana degli ultimi anni e la distruzione di ogni opzione di dialogo sono diventate parte integrante della politica dominata, spesso dettata, dall’amministrazione Bush-Cheney.
Tutti erano consapevoli dei pericoli di una ritirata unilaterale, ma il sostegno americano ha zittito le voci critiche e soffocato iniziative europee alternative. Tutti erano consapevoli che l’uccisione e il sequestro di soldati israeliani alla frontiera libanese rappresentavano fattori esplosivi, si crearono pure canali che avrebbero potuto portare, subito, alla fine della Seconda guerra del Libano, ma grazie all’aperto appoggio americano al governo Olmert e Perez la guerra è continuata, perché erano convinti che nel giro di un mese avrebbero avuto la meglio. Da Washington Bush e Cheney guardavano ansiosi a ciò che speravano fosse una nuova prova della grande capacità israeliana nella lotta al terrorismo, contro l’asse del male. E per le stesse ragioni ostacolarono anche i timidi tentativi israeliani di riaprire il dialogo con Damasco.
E, come se tutto ciò non mostrasse l’essenza della politica americana e israeliana, gli ingenui, gli ottimisti e gli idioti hanno creduto che l’iniziativa di Annapolis sarebbe stata qualcosa di serio. Lo spettacolo ha funzionato, ma nessuno spettatore sensato può dire che Annapolis abbia aperto il cammino verso la pace. Quanti palestinesi saranno liquidati oggi o domani? Quanti posti di blocco sono stati eliminati? Quanti insediamenti, tra quelli legali e illegali (tutti gli insediamenti nei territori occupati secondo il diritto internazionale risultano illegali) sono stati smantellati? E cosa ha cambiato Annapolis? Nulla. Che significato ha la visita di Bush? Che il gran visir si degna di visitare i suoi sudditi per rafforzare gli interessi americani nella regione. L’occupazione continua in tutte le sue manifestazioni più brutali, non ci può essere pace nel fondamentalismo americano-israeliano il cui obiettivo è di acutizzare ulteriormente le divergenze interne palestinesi. Il fatto che Hamas e i suoi alleati fanno il gioco dei nemici della pace non deve giustificare una politica che porterà solo altra violenza, senza contribuire a nessun vero processo di pace.
Fonte: Manifesto
08 gennaio 2008