Lunedì 12 dicembre, tre ore di sciopero generale contro l’iniquità


Paolo Serventi Longhi


L’intero mondo del lavoro, le associazioni e i sindacati dei pensionati sono sul piede di guerra ed è assai probabile che, se in Parlamento non sarà possibile modificare i provvedimenti, i sindacati decidano nuove più dure azioni di lotta.


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Lunedì 12 dicembre, tre ore di sciopero generale contro l'iniquità

Lunedì prossimo 12 dicembre milioni di lavoratori italiani sciopereranno per tre ore contro l’iniquità di alcune delle principali misure contenute nel decreto Monti, in particolare contro il blocco dell’indicizzazione delle pensioni superiori due volte al minimo, contro l’assenza di gradualità nell’aumento dell’età pensionabile, specie delle donne,contro la reintroduzione generalizzata dell’Ici sulla prima casa, contro il ridicolo aumento di un punto e mezzo della tassazione sui capitali scudati. Dopo quasi sei anni Cgil, Cisl e Uil proclamano unitariamente uno sciopero generale. Ancora più significativa è, se possibile, il fatto che le tre grandi confederazioni sindacali abbiano presentato insieme proposte di emendamento al decreto nell’audizione di mercoledì alla commissione Bilancio della Camera. L’intero mondo del lavoro, le associazioni e i sindacati dei pensionati sono sul piede di guerra ed è assai probabile che, se in Parlamento non sarà possibile modificare  i provvedimenti, i sindacati decidano nuove più dure azioni di lotta. Intanto, i sindacati dei dipendenti pubblici hanno deciso unitariamente di scioperare per l’intera giornata del 19 dicembre mentre i metalmeccanici della Fiom hanno confermato lo sciopero di categoria del 16 dicembre allargando le motivazioni della protesta (decisa in un primo tempo contro la Fiat) alle misure del governo Monti. Nel decreto vi sono peraltro misure che colpiscono settori di rilevanza strategica per la stessa democrazia italiana: non è un caso che i sindacati dell’informazione di Cgil, Cisl e Uil abbiano deciso di prolungare all’intera giornata lo sciopero di lunedì 12 dei lavoratori del settore dei giornali quotidiani e periodici. E’ infatti assurdo che il governo Monti abbia deciso di cancellare il fondo per i contributi pubblici alle cooperative, ai giornali di idee, di movimento e politici, ai periodici religiosi. Una misura che, se attuata, si tradurrà in una pietra tombale per decine di testate con la conseguente espulsione dal lavoro di migliaia di giornalisti e dipendenti amministrativi. Ed è singolare che nei giorni precedenti la nascita del governo Monti sia stato proprio il Presidente della Repubblica Napolitano a sollecitare le istituzioni a confermare i contributi pubblici all’editoria. Ma, evidentemente, il sottosegretario a cui è stato affidato il settore, Carlo Malinconico, fino a venti giorni fa presidente dell’associazione dei grandi editori, si sia fatto promotore di una misura che rischia di cancellare i piccoli editori di quotidiani e periodici. Malinconico ha fatto  sapere che il provvedimento è frutto di un equivoco e che si tratta di realizzare una riforma dei criteri di erogazione dei contributi per selezionare gli interventi, non di cancellarli. Vogliamo sperare che sia così. In caso contrario della cancellazione di cento testate e di quattromila posti di lavoro beneficeranno solo i grandi gruppi editoriali e la loro associazione di categoria, la Fieg.

Fonte: www.articolo21.it
9 Dicembre 2011

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