Battaglia a Tahrir


Paola Caridi - invisiblearabs.com


Il significato politico dello scontro di Tahrir è chiaro. Il Consiglio Militare Supremo vuole stringere i tempi e consolidare un potere che ha sempre più il sapore della controrivoluzione e del tentativo di recuperare almeno pezzi del vecchio regime.


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Battaglia a Tahrir

Lo si attendeva, questo scontro. Lo scontro tra i militari e i ragazzi di Tahrir. Lo scontro tra il Consiglio Militare Supremo e l’anima della rivoluzione iniziata il 25 gennaio scorso. Lo scontro tra un tentativo di restaurazione di almeno parti del vecchio regime, e gli attivisti che sono stati il cuore della rivoluzione. Il giovane uomo che vedete ferito nella foto è la rappresentazione di quello che sta succedendo. Lui è @malek, uno dei blogger della prima ora, di quelli che ha cominciato a bloggare verso il 2005, amico di Alaa Abdel Fattah, uno dei leader della rivoluzione e della blogosfera in carcere dalla fine di ottobre. A piazza Tahrir c’era Malek, oggi, così come buona parte del nucleo più importante degli attivisti egiziani. Contro di lui e di loro, le forze di sicurezza hanno sparano lacrimogeni e, sembra, proiettili ricoperti. Il significato politico dello scontro di Tahrir è chiaro. Il Consiglio Militare Supremo vuole stringere i tempi e consolidare un potere che ha sempre più il sapore della controrivoluzione e del tentativo di recuperare almeno pezzi del vecchio regime. I ‘ragazzi di Tahrir’ non cedono al compromesso politico, contestano – con i tribunali militari che stanno processando da mesi migliaia di civili – la stessa legittimità del potere militare. Piazza Tahrir non è piena come a gennaio e a febbraio, perché la gente è stanca e la crisi economica è pesantissima. Ed è, questo, un dettaglio molto importante. I militari sanno bene che non sarebbe stato possibile, per la massa degli egiziani, continuare la pressione dalla piazza. La gente è stanca. I ragazzi no. Ma i ragazzi, ora, rischiano di essere sempre più isolati, nella tenacia dimostrata sinora per evitare una normalizzazione. Dal twitting (che è il modo più interessante, da fuori Egitto, per seguire quello che sta succedendo) l’impressione è che si stia ripetendo il copione di fine gennaio, quando la massa di manovra della Sicurezza dello Stato attaccò i rivoluzionari. Senza però – da parte dei ragazzi di Tahrir – i numeri che erano riusciti a ottenere allora. Sembra si stia assistendo a una difesa dell’ultima trincea, mentre la pressione politica e securitaria dei militari si sta intensificando. E’ iniziato anche il tam tam mediatico ufficiale. Quelli in piazza non sono rivoluzionari, dicono i funzionari del governo di transizione, ma solo disturbatori. Dai tweeps che seguo, invece, in piazza ci sono gli stessi protagonisti che erano a Tahrir il 25 gennaio. Gli stessi. Speriamo bene.

Fonte: http://invisiblearabs.com
19 Novembre 2011

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