Nasce il “Processo di Istanbul”


Emanuele Giordana - Lettera22


Il risultato della Conferenza internazionale per l’Afghanistan co-organizzata da Turchia e Afghanistan dal titolo “Conferenza di Istanbul sull’Afghanistan: sicurezza e cooperazione nel cuore dell’Asia”.


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Nasce il "Processo di Istanbul"

Quattordici Paesi hanno deciso di cooperare per la rinascita di un Afghanistan «stabile e sicuro» nell'ambito di un'iniziativa battezzata «Processo di Istanbul». E' il risultato della Conferenza internazionale per l'Afghanistan co-organizzata da Turchia e Afghanistan dal titolo “Conferenza di Istanbul sull'Afghanistan: sicurezza e cooperazione nel cuore dell'Asia”. I 14 Paesi sono Afghanistan, Turchia, Pakistan, India, Cina, Kazakihstan, Russia, Iran, Tajikistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kyrgyzstan, Arabia saudita, Emirati (altri 12 soggetti erano presenti come osservatori: Francia, Canada, Ue, Germania, Italia, Giappone, Svezia, Spagna, Norvegia, GB, Usa, Onu).

Dire che la montagna abbia partorito un topolino sarebbe ingiusto e ingeneroso. Qualcosa forse potrebbe davvero essere iniziato a Istanbul. Ma le difficoltà restano tante e la strada appare in salita in un processo dove la Turchia si è proposta con un ruolo guida ma dove le carte sul tavolo e i giocatori sono tanti.

Le difficoltà sulla Conferenza di Istanbul sono iniziate fin dal nome: secondo indiscrezioni, gli afgani non volevano una conferenza sull'Afghanistan ma un summit regionale dove Kabul sarebbe stata, sì nel cuore dell'Asia, ma non il centro del problema. Thomas Ruttig, un analista di Afghanistan Analysts Network (accreditato centro studi di Kabul) ha suggerito che il vero risultato cui aspiravano i co organizzatori sarebbe stata la nascita di una sorta di Osce asiatica, sul modello di quella che esiste in Europa. Tre Paesi però erano ostili a questa strada: i pachistani, interessati a non avere troppi soggetti in campo quando si tratta di Afghanistan e decisi a giocare la parte del protagonista; i russi, a lungo tenuti fuori dal gioco e che semmai preferirebbero che avesse un ruolo guida la già esistente Sco (organizzazione regionale asiatica dove gli Usa non sono presenti); l'Iran, che teme la crescente influenza di Ankara e l'aumento della sua statura nella vasta regione asiatica.

Ma in un momento difficile, non solo per l'Afghanistan, non si poteva forse ottenere molto di più. La conferenza ha sicuramente raffreddato gli animi e indicato una strada allargata di cooperazione regionale che, tra l'latro, permetterà agli occidentali di continuare ad avere, in qualche modo, voce in capitolo anche se – e bisognerebbe dire, finalmente – a ruoli ribaltati. Altro risultato importante è stata la cosiddetta trilaterale, organizzata dai turchi il giorno prima, cui hanno partecipato Gul per Ankara e il presidente pachistano Zardari e Karzai per Kabul. Mediatore credibile per entrambi (la Turchia ha offerto mesi fa anche ai talebani un posto a tavola dicendosi disposta a consentire l'apertura di un loro ufficio politico), Gul ha già favorito più volte un dialogo che, se non altro, stempera le tensioni tra i due vicini. Più in generale, il “Processo d'Istanbul” tenta di cerare un clima di confidenza reciproca nell'area regionale allargata (dalla Cina all'India, dal Golfo alla Russia passando per le ex repubbliche sovietiche del Centro Asia). Un senso ce l'ha. Soprattutto per l'Afghanistan.

Quanto a Kabul, è stato appena annunciata la seconda fase del processo di “transizione” che, da qui al 2014, dovrebbe passare il dossier sicurezza in mani afgane. La Direzione indipendente del governo locale (Idlg) ha annunciato che interesserà 17 province di cui 7 per intero (Daikundi, Nimroz, Parwan, Samangan, Sar-i -Pul, Takhar, Balkh). Istanbul serviva a darle più respiro.

Fonte: www.lettera22.it
3 Novembre 2011

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