La Fnsi: “L’informazione più forte dei regimi arabi”
FNSI
Il risveglio delle piazze arabe e la decapitazione di alcuni regimi hanno davvero portato a una maggiore libertà di espressione in questi Paesi? Sono questi i principali interrogativi.
Persone, lavoro, democrazia, diritti', organizzato stamani a Roma dalla Federazione Nazionale Stampa Italiana (Fnsi), ha cercato di dare risposta. Una riflessione alla quale hanno preso parte anche inviati di quotidiani e tv italiani che hanno seguito le recenti vicende nordafricane, come Mimmo Candito (La Stampa), Duilio Giammaria (Tg1), Vincenzo Nigro (La Repubblica) e Antonio Ferrari (Il Corriere della sera).
''L'informazione è più forte dei regimi e questioni quali lavoro, diritti e democrazia bucano i regimi'', ha detto il segretario generale della Fnsi, Franco Siddi, aprendo la riflessione avviata proprio in occasione della Giornata mondiale della Libertà di stampa. Ma la domanda da porsi, ha detto Siddi, è: ''Il giornalismo è più forte dei regimi oppure no?''. Oggi, in seguito alla rivolte ancora in corso nei Paesi nordafricani, ha proseguito il segretario generale, ''l'informazione è tornata al centro dell'attenzione come bene pubblico da proteggere''. Rivolte che hanno avuto inizio dalle piazze, dalla gente comune, dai blog e dai social network, lasciando anche indietro il mondo dell'informazione.
''Spesso i media sono andati dietro la rete'', ha ricordato Augusto Valeriani, docente di Media e Politica internazionale all'Università di Bologna. ''Altre volte i giornalisti hanno sfruttato questi movimenti, ovvero sono riusciti a creare una interazione positiva con i movimenti spontanei nati su Internet''. La collaborazione tra professionisti e non professionisti, tra giornalisti e blogger, ha rimarcato Valeriani, ''è stata l'elemento di queste rivoluzioni e rappresenta il futuro della libertà di informazione''.
''Durante i 23 anni di regime di Ben Ali – ha ricordato Faouzi Ezzedine, direttore dell'emittente tunisina Hannibal Tv – i giornalisti erano esclusivamente megafono della dittatura, veri e propri affaristi, intenti a fare il proprio interesse''.
Oggi, nel Paese maghrebino che ha dato il là alla Primavera araba, molto è cambiato. Il numero di quotidiani e mezzi di informazioni si è moltiplicato, il coraggio e la voglia di libertà sono cresciuti, cosi' come la concorrenza tra testate.
A calare sono gli organismi di controllo sui media''. Forse, avverte il giornalista, il pericolo è rappresentato dal timore che esista una libertà di informazione senza informazione stessa''.
Il giornalismo occidentale, e quello italiano in particolare, deve porre maggiore attenzione a ciò che accade in questa area del mondo. ''Il giornalismo italiano dovrebbe uscire, aprire la porta, confrontandosi con il mondo arabo'', ha affermato Mahdi El Nemr, vice presidente della Stampa estera e corrispondente dell'agenzia kuwaitiana Kuna. ''Nessuno, infatti, è stato in grado di prevedere cio' che sarebbe accaduto nel mondo arabo.
Nessuno ci aveva capito nulla''. Per questo, ha detto, ''Europa e Paesi arabi devono costruire qualcosa insieme''. Fino a oggi, ha sottolineato, ''l'Europa è ancora un po' araba''. ''Dobbiamo imparare gli uni dagli altri'', ha concluso il giornalista egiziano.
Ed è sulla cooperazione tra Sponda Sud e Nord del Mediterraneo – ha ricordato Nabila Zayati, consulente di ANSAmed – che bisogna spingere. ''È inaudito – ha sottolineato la giornalista tunisina – che l'unico ambito della cooperazione euromediterranea in cui non esiste una collaborazione è quello dei media. È necessario rafforzare gli strumenti di settore''. (ANSAmed)
La Federazione Nazionale della Stampa Italiana comunica:
“Intimidazioni e restrizioni di regimi, ostacoli illegali alla libertà di espressione, cardine dei Diritti dell’Uomo, limitazioni delle libertà civili, nella stagione della “Primavera” delle “rivolte arabe”, nella stagione dell’informazione in rete possono essere vinte, o comunque messe in crisi attraverso una cooperazione, anche indiretta tra vecchi e nuovi media. Il giornalismo esce dall’ombra del terrore dei regimi, dalle interferenze improprie, dalle minacce del terrorismo e dalle mafie se e quando riesce ad utilizzare in maniera consapevole, competente e attiva, tutte le opportunità della comunicazione moderna. E a questo scopo è sempre importante lo sforzo dei gruppi organizzati, a cominciare dai sindacati professionali, che fanno allo stesso tempo rete di solidarietà e informazione credibile. E questa la lezione più chiara emersa dal confronto internazionale a più voci che la Federazione Nazionale della Stampa Italiana ha tenuto, a Roma, oggi, in linea con i programmi della Federazione Internazionale dei Giornalisti (Ifj), per celebrare la giornata mondiale per la libertà di stampa, proclamata dall’Unesco.
L’incontro, che si è svolto nella sede della Fnsi, è stato animato da voci qualificate del giornalismo italiano e del Nord Africa e da studiosi che hanno compiuto una riflessione orientata a un nuovo impegno professionale di collaborazione dei giornalisti del Mediterraneo, partendo dalle criticità e dalle opportunità offerte dalla stagione di rinnovamento, drammatica ed esaltante, che stanno vivendo i Paesi della sponda sud de Mare Nostrum.
Ai lavori, aperti dal Segretario Generale della Fnsi, Franco Siddi, e conclusi dal Presidente, Roberto Natale, sono intervenuti: la collega tunisina Nabila Zayati (Ansamed) e i suoi connazionali Faouzi Ezzeddine (direttore di Hannibal, la principale tv privata di Tunisi) e Sofien Rejeb (responsabile esteri del Sindacato dei Giornalisti Tunisino); il giornalista libico Farid Adly (freelance e collaboratore del Corriere della Sera); il collega egiziano Mahdi El-Nemr (vicepresidente della stampa estera in Italia). Con loro alcuni colleghi italiani che in queste settimane hanno seguìto come inviati le vicende nordafricane: Mimmo Càndito (La Stampa, nonché presidente di Reportér sans Frontiéres, Italia), Antonio Ferrari (Il Corriere della Sera), Duilio Giammaria (Tg1) e Vincenzo Nigro (La Repubblica). Il confronto è stato arricchito da un’analisi del professor Augusto Valeriani (docente di media e politica internazionale all’Università di Bologna), per il quale la “Primavera Araba” è sicuramente “la prima rivoluzione 2.0, nel senso che la rete fa funzionare unioni di per sé deboli, inducendo una cooperazione tra soggetti e strumenti diversi tra professionisti e non dell’informazione. Non siamo in presenza della rivoluzione di facebook o delle piazze ma di un insieme di blogger che avevano imparato a comunicare tra loro per comuni interessi, sin da prima, di Al Jazeera e dei movimenti. La collaborazione tra questi soggetti è l’elemento delle rivoluzioni nord africane e rappresenta il futuro della libertà di informazione”.
L’incontro di Roma si è concluso con il rilancio delle iniziative per un giornalismo impegnato a favore della pace e della conoscenza, contro le dittature e le corruzioni. Le ingiustizie economiche, le guerre sono rischi permanenti verso i quali è sempre più necessario promuovere un giornalismo etico e di qualità quale prima condizione di cittadinanza e di protezione sociale universale”.
3 MAGGIO GIORNATA MONDIALE DELLA LIBERTÀ DI STAMPA:
“GIORNALISMO ALL’OMBRA DEL TERRORE”
NORD AFRICA: “L’INFORMAZIONE PIÙ FORTE DEI REGIMI. PERSONE, LAVORO, DEMOCRAZIA
E DIRITTI”
RESOCONTO DELLA GIORNATA PER LA LIBERTA’ DELL’INFORMAZIONE
“Intimidazioni e restrizioni dei regimi, ostacoli illegali alla libertà di espressione, cardine dei Diritti dell’Uomo, limitazioni delle libertà civili, nella stagione della “Primavera” delle rivolte arabe, nel tempo dell’informazione in rete possono essere vinte, o comunque messe in crisi attraverso una cooperazione, anche indiretta, tra vecchi e nuovi media. Il giornalismo esce dall’ombra del terrore dei regimi autoritari e delle dittature, dalle interferenze improprie, dalle minacce del terrorismo e dalle mafie se e quando riesce ad utilizzare in maniera consapevole, competente e attiva, tutte le opportunità della comunicazione moderna. E a questo scopo è sempre importante lo sforzo dei gruppi organizzati, a cominciare dai sindacati professionali, che fanno allo stesso tempo rete di solidarietà e informazione credibile. E’ questa la lezione più chiara emersa dal confronto internazionale a più voci che la Federazione Nazionale della Stampa Italiana ha tenuto, a Roma, oggi, in linea con i programmi della Federazione Internazionale dei Giornalisti (Ifj), per celebrare la giornata mondiale per la libertà di stampa proclamata dall’Unesco.
L’incontro, che si è svolto nella sede della Fnsi, è stato animato da voci qualificate del giornalismo italiano e del Nord Africa e da studiosi che hanno compiuto una riflessione orientata a un nuovo impegno professionale di collaborazione dei giornalisti del Mediterraneo, partendo dalle criticità e dalle opportunità offerte dalla stagione di rinnovamento, drammatica ed esaltante, che stanno vivendo i Paesi della sponda sud del Mare Nostrum.
Ai lavori, aperti dal Segretario Generale della Fnsi, Franco Siddi, e conclusi dal Presidente, Roberto Natale, sono intervenuti: la collega tunisina Nabila Zayati (Ansamed) e i suoi connazionali Faouzi Ezzeddine (direttore di Hannibal, la principale tv privata di Tunisi) e Sofien Rejeb (responsabile esteri del Sindacato dei Giornalisti Tunisino); il giornalista libico Farid Adly (freelance e collaboratore del Corriere della Sera); il collega egiziano Mahdi El-Nemr (vicepresidente della stampa estera in Italia). Con loro alcuni colleghi italiani che in queste settimane hanno seguìto come inviati le vicende nordafricane: Mimmo Càndito (La Stampa, nonché presidente di Reportér sans Frontiéres, Italia), Antonio Ferrari (Il Corriere della Sera), Duilio Giammaria (Tg1) e Vincenzo Nigro (La Repubblica). Il confronto è stato arricchito da un’analisi del professor Augusto Valeriani (docente di media e politica internazionale all’Università di Bologna), per il quale la “Primavera Araba” è sicuramente “la prima rivoluzione 2.0, nel senso che la rete fa funzionare unioni di per sé deboli, inducendo una cooperazione tra soggetti e strumenti diversi tra professionisti e non dell’informazione. Non siamo in presenza della rivoluzione di facebook o delle piazze ma di un insieme di blogger che avevano imparato a comunicare tra loro per comuni interessi, sin da prima, di Al Jazeera e dei movimenti. La collaborazione tra questi soggetti è l’elemento delle rivoluzioni nord africane e rappresenta il futuro della libertà di informazione”.
La forza della nuova comunicazione, all’indomani della cattura di Bin Laden, rende ancora più evidente, per il Segretario della Fnsi, Franco Siddi, un concetto: “La conoscenza crea nuovi soggetti e rompe il preteso rapporto tra elites terroristiche e masse arabe. I giovani diventano protagonisti di una rivolta per il lavoro la libertà e i diritti ben oltre gli antichi riferimenti di lotta intorno alla condizione religiosa, o peggio basate sui fondamentalismi religiosi e da qui sul ricatto del terrore. Nelle rivolte arabe questo fattore non c’è o comunque è secondario. Si apre il circuito per una stagione di globalizzazione della democrazia attraverso la conoscenza e l’informazione, verso nuovi equilibri. Agli Stati è chiesto di sostenere i passaggi democratici e le aperture alla libertà di informazione perché il vento del cambiamento produca giustizia sociale e democrazia. E’ quanto sta facendo la Fnsi incoraggiando e promuovendo progetti di cooperazione per un giornalismo professionale indipendente che viva nella sicurezza arricchendosi nel dialogo, del confronto delle diversità. In questo senso è di attualità la Carta di Cagliari dei Giornalisti del Mediterraneo, siglata un anno fa, per promuovere il dialogo e la solidarietà, nel rispetto delle diversità”.
Per il Presidente della Fnsi, Roberto Natale, si tratta “di guardare alle vicende del Nord Africa considerandole come il Risorgimento dei Paesi arabi, secondo la bella espressione usata dal Presidente della Repubblica Napolitano. Vicende esaltanti che dovrebbero indurre ad una considerazione più ottimistica sul ruolo dei giornalisti: lo straordinario apporto che viene dall’informazione alle speranze di libertà di quei popoli è la dimostrazione del ruolo civile che i media possono svolgere, se vogliono”.
Dal dibattito è emerso che le rivolte delle piazze, della gente comune, dei blog e dei social network hanno anche “spiazzato” i media tradizionali ma “l’informazione è tornata, nel complesso, al centro dell’attenzione come bene pubblico da proteggere” (Natale). “Il giornalismo italiano è in ritardo, storicamente, rispetto a tutti i problemi che vanno oltre l’uscio di casa: dovrebbe uscire, aprire la porta, confrontarsi con il mondo arabo”, ha affermato Mahdi El-Nemr.
“Il segnale più forte del cambiamento in Tunisia è che oggi il numero dei giornali è cresciuto insieme con il coraggio e la voglia di libertà e la concorrenza tra testate. Perdono peso gli organismi di controllo sui media e i giornalisti veri emergono; durante i 23 anni di Ben Alì lo spazio era solo per i giornalisti megafono della dittatura e di fatto il giornalista era o un bugiardo o uno che pensava ai suoi affari”, ha detto Faouzi Ezzeddine, che ha subito messo in guardia dai nuovi rischi: “oggi non c’è paura per scrivere ma il coraggio della libertà va applicato per far parlare le notizie e far emergere le opinioni, senza vendersi ad alcuno. Ma non è facile. Non si può pensare che se si manca ad un evento di uno dei 65 partiti politici si manchi di fare il proprio dovere. C’è un rischio incomprensione e una necessità di riorganizzare tutto il sistema entro i canoni della libertà e dell’indipendenza professionale”. Per questo gli ha fatto eco Sofien Rejeb “è importante ritrovare subito la forza espressiva e riconoscere il valore della rappresentanza di soggetti organizzati come il Sindacato dei Giornalisti, dandogli forza e fiducia, anche nella memoria dei patimenti e delle repressioni subite ai tempi di Ben Alì”.
Nabyla Zayati ha aperto i riflettori sulla influenza degli strumenti di informazione globale, sui sogni che vendono le televisioni: “Qui scoppia il dramma degli emigrati che Lampedusa non può contenere eppure riceve con nobiltà di gesti e di comprensione. Ma molti immigrati partono abbagliati dai sogni del racconto della televisione italiana. Serve raccontare con onestà, in ogni Paese, soprattutto con i mezzi come quello televisivo che possono bucare più facilmente le frontiere, raggiungendo un pubblico di massa la realtà più viva delle condizioni che contraddistinguono l’immagine di ogni Nazione. In Tunisia dall’Italia, via Rai 1 e Italia 1, arrivano notizie e immagini di un Paese delle meraviglie e non anche di una realtà del lavoro difficile e precaria. Il Governo tunisino attuale dà visibilità solo a certe notizie sul’accordo Roma Tunisi ma poco o niente sulle risorse che tale accordo mette a disposizione per creare lavoro in Tunisia. Ecco perché occorre che nell’ambito della cooperazione Euromediterranea si realizzi un piano di collaborazione dei media”.
Per Mimmo Càndito, “oggi il controllo dell’informazione passa sulle onde hertziane e occorre porre sempre più attenzione al governo di questi strumenti, avendo però chiaro che il giornalismo deve sapere interagire con tutti i protagonisti del nuovo mondo dell’informazione e che allo stesso tempo gli è chiesto però di comporre l’identità della realtà. Si tratta di individuare forme nuove nella ricostruzione dei fatti e di porre sempre più attenzione a quanto accade nelle società in evoluzione ma anche nelle società democratiche dove l’informazione subisce restrizioni diverse. La libertà di stampa è minacciata da troppi predatori dai regimi come dalle mafie. Oggi seguire con rigore quanto accade non è semplice né sempre adeguatamente supportato dalle imprese giornalistiche. In Libia per esempio vi è un fatto rilevante che, più della spettacolarizzazione televisiva dei bombardamenti, vive della condizione dello Stato nascente”. Per Duilio Giammaria occorre perciò, “gettare le basi per uno spazio comune di lavoro fruttuoso. La Rai solo ora scopre che può rispolverare il progetto di “Raimed”. Paradossalmente sulle vicende africane possiamo lavorare meglio perché in Italia non c’è un pensiero unico fondato su questo tema. Il problema è però che spesso mancano “i fondamentali”. E’ tempo di fare massa critica sull’informazione internazionale e dalle aree di crisi. Il lavoro del Sindacato è rilevante e rappresenta una opportunità. Sullo stessa lunghezza d’onda Farid Adly, per il quale “è necessario collaborare per formare i giornalisti liberi. Ma occorre tener conto di quali siano realtà per realtà i mezzi più efficaci. In Libia, per esempio, il sistema più diffuso, la fonte primaria, è la radio. Quando la Libia sarà liberà, ci sarà un grande lavoro in comune da mettere in campo. Per Vincenzo Nigro è indispensabile risintonizzare i media sulla capacità di comprendere i fenomeni complessi e rappresentare la globalizzazione per quello che è. La Primavera Araba non ci ha scosso abbastanza dalla nostra complessiva tendenza a rinchiuderci in un sistema autoreferenziale. Parliamo poco delle mondo mentre serve conoscenza, che sarebbe utile anche alle nostre leadership politiche. Non è solo o tanto una questione di solidarietà ma dei nostri interessi nazionali. E’ assurdo, per esempio, che delle questioni francesi sui nostri giornali parliamo solo di Carla Sarkozy. Per Antonio Ferrari “da oggi abbiamo meno terrore. Ma si è fatta troppa propaganda e invece non bisogna diventare gazzettieri per servire il principe tiranno. La forza della blogosfera ormai è tale che fa subito giustizia di questa forma di informazione che tale non è. Dobbiamo dare la luce giusta alle rivolte e ai cambiamenti stando attenti a tutto ciò che si muove nei nuovi canali della comunicazione. Al giornalista spetta capire per affrontare con prudenza ma con realismo anche le cose belle come i mutamenti. Dobbiamo perciò operare per un giornalismo sempre credibile”.
L’incontro di Roma, rilanciando la Carta di Cagliari su “Sicurezza, diversità e dialogo, per costruire la fiducia nel giornalismo Mediterraneo”, diventa una tappa di un lavoro della Fnsi, che proseguirà con la Ifj e con le organizzazioni dei giornalisti della regione, per far avanzare nuove forme di dialogo a tutti i livelli, al fine di promuovere la reciproca comprensione e la cooperazione tra i giornalisti che lavorano in zone di conflitto o in aree ancora divise per ragioni politiche.
Fonte: www.fnsi.it
4 Maggio 2011