Vincere il virus dell’individualismo!


Famiglia Cristiana


Il Messaggio Urbi et Orbi di Natale di Francesco: «Sconfiggere il virus dell’individualismo. Di fronte a una sfida che non conosce confini, non si possono erigere barriere». Ricorda il Medio Oriente, l’Africa, le famiglie «costrette a stare lontane» a causa della pandemia e le donne «che in questi mesi di confinamento hanno subito violenze domestiche. Il dolore e il male non sono l’ultima parola»


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Definisce i vaccini «luci di speranza» ma solo se sono «a disposizione di tutti» invitando a far sì che «le leggi di mercato e dei brevetti non siano sopra le leggi della salute e dell’umanità».

Ricorda l’Africa, e in particolare l’Etiopia sull’orlo di una guerra civile. Il Medio Oriente, a cominciare da Siria e Iraq, dove si recherà dal 5 all’8 marzo prossimo. Il conflitto strisciante nella regione del Nagorno-Karabakh. Ma anche coloro che si sono «trovati senza lavoro o sono in gravi difficoltà per le conseguenze economiche della pandemia», «le donne che in questi mesi di confinamento hanno subito violenze domestiche» e le famiglie «che oggi non possono ricongiungersi e quelle che sono costrette a stare in casa».

È una mappa degli orrori e dell’infelicità della terra quella che tratteggia papa Francesco nel Messaggio natalizio Urbi et Orbi (“Alla Città e al mondo”) ricordando le situazioni di conflitto dimenticate, le minoranze perseguitate come quella del popolo Rohingya, fino agli Stati Uniti flagellati, più di ogni altro, dal Covid-19. «Il dolore e il male», ricorda il Pontefice, «non sono l’ultima parola. Rassegnarsi alle violenze e alle ingiustizie vorrebbe dire rifiutare la gioia e la speranza del Natale».

È la prima volta che il Papa rivolge il suo messaggio natalizio dall’Aula della Benedizione del Palazzo Apostolico, in diretta streaming a causa della pandemia, e non dalla Loggia che affaccia su piazza San Pietro, oggi vuota ma gli anni scorso piena di pellegrini e con la banda della Città del Vaticano ad allietare la giornata di festa. Sono 150 le emittenti collegate da altrettanti Paesi del mondo, oltre allo streaming sui vari canali social.

Il primo pensiero di Bergoglio è per la pandemia e l’accesso equo ai vaccini, un appello rilanciato più volte nei mesi scorsi: «Il Figlio di Dio», dice, «ispiri a coloro che hanno responsabilità politiche e di governo una rinnovata cooperazione internazionale, a cominciare dall’ambito sanitario, affinché a tutti sia garantito l’accesso ai vaccini e alle cure. Di fronte a una sfida che non conosce confini, non si possono erigere barriere. Siamo tutti sulla stessa barca. Ogni persona è un mio fratello. In ciascuno vedo riflesso il volto di Dio e in quanti soffrono scorgo il Signore che chiede il mio aiuto. Lo vedo nel malato, nel povero, nel disoccupato, nell’emarginato, nel migrante e nel rifugiato».

Francesco ricorda il Medio Oriente, teatro di tensioni e conflitti, a cominciare dall’Iraq dove ha annunciato che andrà in visita a marzo in quello che si preannuncia come il primo viaggio apostolico all’estero dopo il lungo stop imposto dalla pandemia: «Nel giorno in cui il Verbo di Dio si fa bambino, volgiamo lo sguardo ai troppi bambini che in tutto il mondo, specialmente in Siria, in Iraq e nello Yemen, pagano ancora l’alto prezzo della guerra. I loro volti scuotano le coscienze degli uomini di buona volontà, affinché siano affrontate le cause dei conflitti e ci si adoperi con coraggio per costruire un futuro di pace. Sia questo il tempo propizio per stemperare le tensioni in tutto il Medio Oriente e nel Mediterraneo orientale».
Gesù Bambino, è la preghiera del Papa, «risani le ferite dell’amato popolo siriano, che da ormai un decennio è stremato dalla guerra e dalle sue conseguenze, ulteriormente aggravate dalla pandemia. Porti conforto al popolo iracheno e a tutti coloro che sono impegnati nel cammino della riconciliazione, in particolare agli yazidi, duramente colpiti dagli ultimi anni di guerra. Rechi pace alla Libia e consenta che la nuova fase dei negoziati in corso porti alla fine di ogni forma di ostilità nel Paese».

Francesco invoca da Gesù il dono della «fraternità alla terra che lo ha visto nascere», la Terra Santa ora svuotata di pellegrini e che è stata colpita duramente dalla pandemia: «Israeliani e palestinesi», è l’auspicio del Pontefice, «possano recuperare la fiducia reciproca per cercare una pace giusta e duratura attraverso un dialogo diretto, capace di vincere la violenza e di superare endemici risentimenti, per testimoniare al mondo la bellezza della fraternità».

Il Papa ricorda anche «il popolo libanese, affinché, nelle difficoltà che sta affrontando, col sostegno della Comunità internazionale non perda la speranza. Il Principe della Pace aiuti i responsabili del Paese a mettere da parte gli interessi particolari e ad impegnarsi con serietà, onestà e trasparenza perché il Libano possa percorre un cammino di riforme e proseguire nella sua vocazione di libertà e di convivenza pacifica». Alla vigilia di Natale aveva inviato una lettera al patriarca di Antiochia dei Maroniti, il cardinale Béchara Raï, per esprimere vicinanza e incoraggiamento al popolo libanese.

Ancora una volta, rinnova il suo appello alla «comunità internazionale e ai Paesi coinvolti» per il cessate il fuoco nella regione del Nagorno-Karabakh e «in quelle orientali dell’Ucraina, e a favorire il dialogo quale unica via che conduce alla pace e alla riconciliazione».

Francesco guarda poi all’Africa e ricorda la «sofferenza delle popolazioni del Burkina Faso, del Mali e del Niger, colpite da una grave crisi umanitaria, alla cui base vi sono estremismi e conflitti armati, ma anche la pandemia e altri disastri naturali», invoca la fine delle violenze in Etiopia, dove «a causa degli scontri, molte persone sono costrette a fuggire e rechi conforto agli abitanti della regione di Cabo Delgado, nel nord del Mozambico, vittime della violenza del terrorismo internazionale; sproni i responsabili del Sud Sudan, della Nigeria e del Camerun a proseguire il cammino di fraternità e di dialogo intrapreso».

Francesco auspica che il «Verbo eterno del Padre sia sorgente di speranza per il Continente americano, particolarmente colpito dal coronavirus, che ha esacerbato le tante sofferenze che lo opprimono, spesso aggravate dalle conseguenze della corruzione e del narcotraffico. Aiuti a superare le recenti tensioni sociali in Cile e a porre fine ai patimenti del popolo venezuelano».

Nella preghiera di Francesco ci sono, infine, «le popolazioni flagellate da calamità naturali nel Sud-est asiatico, in modo particolare nelle Filippine e in Vietnam, dove numerose tempeste hanno causato inondazioni con ricadute devastanti sulle famiglie che abitano in quelle terre, in termini di perdite di vite umane, danni all’ambiente e conseguenze per le economie locali. E pensando all’Asia», aggiunge, «non posso dimenticare il popolo Rohingya: Gesù, nato povero tra i poveri, porti speranza nelle loro sofferenze».

Sulla questione dei vaccini Francesco ricorda che «non possiamo lasciare che i nazionalismi chiusi ci impediscano» di aiutare chi è più in difficoltà. Occorre vincere «il virus dell’individualismo radicale che ci rende indifferenti alle sofferenze dei fratelli e delle sorelle». Poi l’appello agli Stati, alle imprese e alle organizzazioni per «promuovere la cooperazione e non la concorrenza» per rendere disponibili i vaccini «per tutti, specialmente i più vulnerabili e i più bisognosi» che sono «al primo posto. Di fronte a una sfida che non conosce confini, non si possono erigere barriere. Siamo tutti sulla stessa barca», ha ammonito.

Il Papa si sofferma sul significato autentico del Natale e sulle conseguenze che questa festa ha sulla vita dei singoli e dei popoli: «Grazie a questo Bambino», scandisce, «tutti possiamo rivolgerci a Dio chiamandolo “Padre”, “Papà”. Gesù è l’Unigenito; nessun’altro conosce il Padre, se non Lui. Ma Lui è venuto nel mondo proprio per rivelarci il volto del Padre celeste.

E così, grazie a questo Bambino, tutti possiamo chiamarci ed essere realmente fratelli: di ogni continente, di qualsiasi lingua e cultura, con le nostre identità e diversità, eppure tutti fratelli e sorelle. In questo momento storico, segnato dalla crisi ecologica e da gravi squilibri economici e sociali, aggravati dalla pandemia del coronavirus, abbiamo più che mai bisogno di fraternità. E Dio ce la offre donandoci il suo Figlio Gesù: non una fraternità fatta di belle parole, di ideali astratti, di vaghi sentimenti… No. Una fraternità», continua, «basata sull’amore reale, capace di incontrare l’altro diverso da me, di con-patire le sue sofferenze, di avvicinarsi e prendersene cura anche se non è della mia famiglia, della mia etnia, della mia religione; è diverso da me ma è mio fratello, è mia sorella. E questo vale anche nei rapporti tra i popoli e le nazioni».

Il Bambino di Betlemme, è l’auspicio di Bergoglio, «ci aiuti allora ad essere disponibili, generosi e solidali, specialmente verso le persone più fragili, i malati e quanti in questo tempo si sono trovati senza lavoro o sono in gravi difficoltà per le conseguenze economiche della pandemia, come pure le donne che in questi mesi di confinamento hanno subito violenze domestiche».

Infine, Francesco rivolge «un pensiero particolare a quanti non si lasciano sopraffare dalle circostanze avverse, ma si adoperano per portare speranza, conforto e aiuto, soccorrendo chi soffre e accompagnando chi è solo», ricorda che «nascendo nella carne, il Figlio di Dio ha consacrato l’amore familiare.

Il mio pensiero va in questo momento alle famiglie: a quelle che oggi non possono ricongiungersi, come pure a quelle che sono costrette a stare in casa. Per tutti il Natale sia l’occasione di riscoprire la famiglia come culla di vita e di fede; luogo di amore accogliente, di dialogo, di perdono, di solidarietà fraterna e di gioia condivisa, sorgente di pace per tutta l’umanità».

Antonio Sanfrancesco
Famiglia Cristiana
25 dicembre 2020

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