Human Rights Watch condanna Obama su colonie
La redazione
“Il Presidente Obama nei suoi discorsi dice al mondo arabo che si oppone alle colonie ma non accetta che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu dica a Israele di fermarle in termini giuridicamente vincolanti”, ha affermato Sarah Leah Whitson, Direttore di Human Rights Watch-Medio Oriente.
Human Rights Watch denuncia che «Il veto americano contro una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle NU che esortava Israele a interrompere le politiche illegali che promuovono le colonie nella Cisgiordania occupata, compresa Gerusalemme Est, mette a repentaglio l’applicazione del diritto internazionale». Le Convenzioni di Ginevra di cui Israele e’ firmatario, proibiscono il trasferimento della popolazione civile di un paese nel territorio che esso occupa.
«Il Presidente Obama nei suoi discorsi dice al mondo arabo che si oppone alle colonie ma non accetta che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu dica a Israele di fermarle in termini giuridicamente vincolanti», ha affermato Sarah Leah Whitson, Direttore di Human Rights Watch-Medio Oriente.
La Quarta Convenzione di Ginevra del 1949 proibisce esplicitamente ad una potenza occupante di trasferire la sua popolazione civille nel territorio occupato. Nonostante questo divieto, circa mezzo milione di ebrei israeliani con il sostegno del governo israeliano si sono trasferiti in colonie costruite nei territori palestinesi occupati e su territorio occupato formalmente annesso a Israele in Gerusalemme Est; questa decisione non e’ riconosciuta da nessun governo al mondo.
Il Tribunale Internazionale di Giustizia in una «advisory opinion» nel 2004 ha fatto presente che le Convenzioni di Ginevra non solo proibiscono trasferimenti forzati di popolazione, «ma anche qualsiasi misura presa da una Potenza occupatrice allo scopo di organizzare o incoraggiare trasferimenti di parti della propria popolazione nel territorio occupato».
Le politiche coloniali israeliane violano anche la legislazione internazionale sui diritti umani contro la discriminazione. Human Rights Watch ha recentemente documentato un sistema a due misure per le popolazioni palestinese ed ebrea israeliana nel 60% della Cisgiordania che Israele controlla e a Gerusalemme Est
Le politiche israeliane deliberatamente privano i palestinesi dei servizi di base e causano tremende difficolta’ impedendo, e punendo con la demolizione, la costruzione di abitazioni per le loro comunita’, mentre forniscono generosi sussidi economici e infrastrutture per le colonie ebraiche. Tale trattamento discriminatorio non e’ affatto giusticabile da problemi di sicurezza, ma e’ basato su questioni di razza, etnicita’ e nazionalita’.
Fonte: www.nena-news.com
20 febbraio 2011
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USA vs The UN Security Council
Se avessi scritto questo commentino appena l’anno scorso, mi sarei concentrata sugli Stati Uniti, sulla loro politica mediorientale, sull’impossibilità (ormai patente) di poter essere un mediatore super partes. Sul veto, insomma. Sullo stop deciso stanotte da Washington nel consiglio di sicurezza dell’Onu alla risoluzione che condanna l’illegalità delle colonie israeliane in Cisgiordania (poi, un giorno, qualcuno mi spiegherà lo scandalo di una risoluzione del genere, che ribadisce solo la legalità internazionale…). E invece vorrei occuparmi degli altri 14 membri del Consiglio di Sicurezza, gli altri 4 permanenti oltre gli USA, e i dieci a rotazione.
Perché? Perché io gli amici li ascolto. E un mio amico, qualche mese fa, mi raccontò di come sia diverso guardare il Medio Oriente non più dall’occhio del ciclone, ma da una ragionevole distanza. Ci si accorge, mi disse, di come stia montando un sentimento diffuso, contro le posizioni israeliane. Praticamente tutto il mondo vorrebbe cambiare politica, questo il senso del discorso. E allora, quando ho visto il risultato del voto di ieri sera, la compattezza attorno alla risoluzione palestinese proposta dal Libano, la presa di posizione dei più importanti paesi europei severamente contro le colonie e per uno Stato di Palestina entro settembre 2011 (Gran Bretagna, Francia e Germania, per una volta tanto tutti e tre nel Consiglio di Sicurezza, e tutti e tre sulla stessa linea), quando ho visto tutto questo ho pensato che il discorso del mio amico era fondato. 14 a 1, insomma. 14 contro 1. Un risultato che dovrebbe far riflettere gli Stati Uniti, isolati sulla questione israelo-palestinese. Isolati all’interno di rapporti di forze che hanno già dimostrato, soprattutto in questi ultimi mesi, che il mondo è ormai multipolare.
Basta guardare l’elenco degli Stati (tutti) che hanno votato a favore. La Cina, per esempio. La Russia. I tre più importanti Stati dell’Unione Europea, decisi a far politica per conto proprio, a quanto sembra, visto che l’Europa non riesce più a prendere una decisione di peso sul Medio Oriente. E poi, tra i membri non permanenti, ci sono due nomi importantissimi, il Brasile (che ha riconosciuto lo Stato di Palestina) e l’India. Per non parlare del Sudafrica, che da anni cerca di accreditarsi come la potenza regionale africana, assieme a un altro gigante – con parecchi problemi interni, però – come la Nigeria. USA vs tutti, insomma. E questo credo debba far riflettere l’amministrazione Obama, se non vuole che abbia ragione chi dice – con espressione colorita, lo so – che la strategia mediorientale statunitense la si può gettare da tempo nel cestino.
I palestinesi (l’ANP) non potevano ritirarla la risoluzione, sulla quale peraltro lavorano da mesi e mesi, ben prima che scoppiasse il 2011 arabo e le rivoluzioni che stanno cambiando la faccia della regione. Dopo l’uscita (ad hoc) dei Palestine Papers da parte di Al Jazeera, lo scandalo del rapporto Goldstone rinviato per la pressione americana su Abu Mazen, il presidente dell’ANP non poteva accettare il ritiro della risoluzione come chiesto da Barack Obama in quasi un’ora di telefonata. Per Mahmoud Abbas quel ritiro era semplicemente un suicidio politico. E i suicidi politici non si fanno neanche per gli Stati Uniti, soprattutto dopo il fallimento di quell’ennesimo negoziato sponsorizzato dall’amministrazione democratica che ha avuto vita brevissima. La più breve, forse, nella lunga storia dei negoziati tra israeliani e palestinesi.
Editoriale di Paola Caridi
Fonte: http://invisiblearabs.com
19 febbraio 2011