Un codice etico per i media che raccontano la fratellanza umana
amelia rossi
Nel primo anniversario del Documento di Abu Dhabi
L’annuncio dell’adozione di un codice etico per la fratellanza umana destinato ai media è stato uno dei principali frutti delle celebrazioni svoltesi martedì 4 febbraio nella capitale degli Emirati Arabi Uniti nel primo anniversario della cosiddetta “Dichiarazione di Abu Dhabi”, sottoscritta da Papa Francesco e dal Grande imam di al-Azhar.
I principali leader emiratini, una ventina di capi religiosi giunti da tutto il mondo, i rappresentanti di alcune organizzazioni culturali ed educative di matrice interreligiosa e membri del Comitato superiore per l’attuazione del Documento sulla fratellanza umana — per un totale di circa 150 persone — si sono ritrovati nella penisola araba per commemorare la storica firma del testo da parte del vescovo di Roma e della massima autorità accademica sunnita del Cairo, con il patrocinio del principe ereditario di Abu Dhabi.
Durante i lavori, articolati in diverse sessioni, sono stati tra l’altro trasmessi i videomessaggi dei due firmatari (quello del Pontefice lo abbiamo pubblicato integralmente nell’edizione di ieri) e si sono alternate varie testimonianze. E, come ha riferito il prefetto del Dicastero per la comunicazione in un’intervista rilasciata a Vatican News, nei vari incontri si sono incrociati volti uniti dal comune impegno per la fratellanza umana. Come quelli, per esempio, di due membri musulmani del Comitato superiore (presieduto dal cardinale Ayuso Guixot), il giudice egiziano Abdel Salam, che ne è segretario, e lo sceicco emiratino Mohamed Khalifa Al Mubarak; ma anche quelli degli oratori che hanno portato testimonianze per spiegare — ha detto Ruffini — «come si possono trasformare dei principi in comportamenti. Per esempio, ho trovato molto interessante il tema del micro-credito, affrontato da Muhammad Saqib, pakistano, che ha raccontato di come in esso si possa trovare il modo per dare fiducia a persone che, normalmente, il sistema economico scarta». Significative, per il prefetto, anche la testimonianza del patriarca Bartolomeo e molte altre. «Che cosa ci stanno dicendo? Il tema non è creare una “super-religione” che unisca le religioni», ma — ha chiarito — è «capire che, mantenendo le identità, si può dialogare non avendo paura dell’altro».
E un esempio concreto è venuto dal convegno parallelo degli operatori dei media arabi che si è chiuso con l’adozione di una sorta di codice di autoregolamentazione articolato in venti punti. Esso dice sostanzialmente — ha commentato Ruffini — «delle cose che dovrebbero conformare il comportamento e la visione prima ancora delle regole dei giornalisti di qualsiasi Paese, di qualsiasi religione, di qualsiasi credo. E questo vuol dire costruire attraverso un giornalismo che si prenda la fatica della ricerca della verità, invece di correre subito a trovare un capro espiatorio, per non incitare alla violenza; che la assuma nella scelta delle immagini e dei titoli, nell’attribuire le cose a chi ha l’autorità per poterle affermare». Si tratta, ha aggiunto, «di uno sforzo molto interessante perché traduce principi generali in una visione di come la comunicazione sia fondamentale nel dialogo e nella costruzione di un mondo più pacifico». E sintetizzandone le direttrici fondamentali il prefetto del Dicastero vaticano le ha individuate nella necessità «di evitare semplificazioni violente» e «le immagini che possano ferire le persone»; di contro, «attraverso la comunicazione, difendere i diritti umani», in particolare quelli «della donna» considerandoli «paritari».