Vitali: il mio disagio di cattolico


Stefano Vitali, presidente della Provincia di Rimini


“La Chiesa può evitare di pronunciare dinnanzi all’intera enorme comunità che si riconosce in Cristo e nel Vangelo la parola chiara, inequivocabile, quella che viene prima di una sentenza di tribunale o di risultato elettorale?”.


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Vitali: il mio disagio di cattolico

Ho riflettuto a lungo in questi giorni sull'opportunità o meno di intervenire in merito ai silenzi e alle titubanze della Chiesa nei confronti dell'attuale quadro di desolante crisi morale e politica che sta attraversando il nostro paese. Ho deciso di farlo con queste poche righe perchè reputo ormai necessario aprire un confronto costruttivo all'interno del mondo cattolico e della chiesa, su quali siano diventati gli orizzonti etici e valoriali della nostra comunità. Il mio vuole essere un contributo propositivo per ridefinire il significato profondo della presenza e del ruolo della Chiesa e dei cattolici nella società e nella politica, a partire dal messaggio evangelico.

Sono un cattolico che sta vivendo con profondo disagio la discussione sul tema dell’etica pubblica e privata. Non c’è ambito della mia vita- quello dell’impegno nell’amministrazione, quello dell’impegno nel sociale, quello del privato familiare e delle amicizie- in cui in queste ore non m’imbatta in cattolici, amici che come me si interrogano sui fatti che vedono, sentono, leggono.

Non c’è un giudizio sulle responsabilità o meno sul fronte penale; non ci sono valutazioni politiche o meno. Queste e quelle verranno da chi ha strumenti e competenze per tracciare la giusta riga. C’è invece la constatazione comune che quanto sta emergendo tratteggia un quadro terrificante del fallimento individuale e collettivo di un’epoca della nostra storia. Più che i dettagli scabrosi di una o l’altra intercettazione, è il deserto dei rapporti tra uomo e donna, tra politica e società, tra genitori e figli, tra cosa è pubblico e cosa è privato a interrogare la Chiesa e i cattolici prima di tutto sul proprio ruolo davanti a tutto questo.

Il disagio mio e di tanti miei amici o semplici conoscenti è racchiuso allora in una domanda: possiamo- la Chiesa, i cattolici- rifugiarci nelle timidezze, nelle prudenze, nei silenzi? Possiamo/dobbiamo esprimere un giudizio morale e pubblico su un modello terrificante e diseducativo di intendere i rapporti umani nel quale sono i padri a spingere senza pudore le figlie a farsi avanti oppure scegliere i distinguo che hanno il sapore pilatesco del ‘prendere tempo’?

Personalmente ho trovato conforto nelle ispirate parole del Vescovo di Rimini, Francesco Lambiasi, nella lettera inviata agli studenti riminesi all’inizio dell’anno scolastico: “C’è una lezione di responsabilità, di giustizia, di rispetto, di fraternità che ciascuno può offrire al di là dei ruoli e dell’età”. Un richiamo alla partecipazione e  alla passione civile, e non solo religiosa, che parte dalla consapevolezza che tanti giovani sembrano oggi “da un mondo non all’altezza dei vostri sogni più belli”. Giovani che, è bene ricordarlo, hanno la stessa età delle ragazze le cui frasi, confidenze, dichiarazioni riempiono oggi pagine di giornale e schermi televisivi.

E allora mi chiedo, la Chiesa può evitare di pronunciare dinnanzi all’intera enorme comunità che si riconosce in Cristo e nel Vangelo la parola chiara, inequivocabile, quella che viene prima di una sentenza di tribunale o di risultato elettorale? Me lo chiedo, ce lo chiediamo, con l’anima divisa in due tra fede e un’attesa che vorremmo brevissima.

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di Stefano Vitali, presidente della Provincia di Rimini

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