Quali erano le aspettative su Cancun?


Maurizio Gubbiotti


L’esito del vertice di Cancun è inaspettatamente “positivo”. Ora però c’è poco tempo perché gli impegni divengano realtà. Il diario di Maurizio Gubbiotti, coordinatore nazionale Legambiente.


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Quali erano le aspettative su Cancun?

CANCUN, GIORNATA DI MOBILITAZIONE PER SVEGLIARE IL VERTICE  SU CRISI CLIMATICA E DIRITTI

La mobilitazione a Cancun oggi è tornata simbolicamente sotto quel luogo tragico che nel 2003 durante il vertice della OMC, vide togliersi la vita con uno stiletto in pieno stile harakiri dall’alto di una grata antisommossa, il leader sindacale campesino sud-coreano Lee Kyung Hae.  Contadino di 56 anni, da anni lottava perché fossero riconosciuti e tutelati i diritti dei contadini profondamente danneggiati dalle politiche commerciali internazionali adottate anche attraverso la OMC. E infatti proprio mentre il suo Paese stava crescendo secondo tante statistiche ed alcuni parametri anche importanti come istruzione e sanità, piuttosto bene, ci si era dimenticati di una parte della popolazione, quella contadina e delle sue famiglie interamente e irrimediabilmente indebitate.
E così mentre oggi il presidente della Commissione europea Barroso al vertice fra Ue e Russia a Bruxelles, ha definito realistica l’ipotesi che la Russia diventi membro del Wto nel 2011, e la sedicesima Cop dall’avvio del Protocollo di Kyoto sta entrando nei giorni più caldi, si è un po’ voluto ripartire da lì almeno da parte di Via Campesina.  Un concentramento in centro città, un altro a metà strada tra dowtown e Moon Palace, dove si tengono i lavori ufficiali della COP16, poi alla fine della marcia, l'incontro tra i due spezzoni, il più vicino possibile alla sede del vertice, e la celebrazione di un'Assemblea dei popoli, per porre al centro quello che succede alle popolazioni più povere e più dimenticate dalla storia, gli indigeni, i contadini, anche quelli del primo mondo tra Europa e Usa, quando la furia dei cambiamenti climatici si abbatte contro di loro, in assenza di politiche efficaci e di meccanismi pubblici trasparenti per la gestione delle poche risorse.
Alcune migliaia di attivisti per gran parte giovani, hanno marciato nella città lungo avenida Lopez Portillo, dietro lo striscione del Dialogo climatico, “Per una giustizia sociale e climatica”. Climate Justice Now, con le italiane Legambiente e Fair insieme a Friends of the Earth, Jubilee South, sindacati, contadini e il caucus indigeni, hanno costituito il corpo del corteo che ha sfilato in centro con simboli spettacolari come un grande orso bianco, un camioncino musicale alimentato da pannelli solari, un drago cinese lungo 15 metri con una terra in bocca, e quattro pupazzi giganti di contadini e contadine a spasso per il corteo.

Sembrano tanto lontani i profughi climatici, semplici numeri sull'ennesimo rapporto, ma quando marci insieme, analizzi insieme i testi negoziali, ragioni insieme su come far sì che le politiche che li danneggiano cambino davvero, allora non c'è differenza tra il Veneto e il Chiapas, tra il nostro Sud e quello del mondo. Lo spezzone contadino, che si e' dato appuntamento al Villaggio climatico, era raccolto dietro uno striscione di “Contadine e contadini che raffreddano il pianeta”, e un altro, dei sindacati nazionali che si battono contro le politiche di riforestazione nazionale imposte senza trattativa dal Governo alle loro comunità e che proclamano “No al REDD. I boschi messicani non sono vuoti”.
“Sorprende che dopo anni di commercio equo, dopo anni di economie solidali, anni di pratiche dal basso che funzionano, di sperimentazioni di sistemi comunitari e cooperativistici di gestione delle risorse- ha sottolineato Alberto Zoratti di Fair, anche lui in marcia verso il Moon Palace -ci siano ancora negoziatori, esperti e Governi che credono che le ricette imposte dall'alto funzionino meglio e siano più efficienti. I tanti sprechi della cattiva cooperazione dimostrano che le iniziative che partono delle comunità sono più giuste, efficienti, efficaci e persino più sostenibili. Ci rimane poco tempo per far entrare questi saperi nel negoziato- ha concluso Zoratti- e salvare il Protocollo di Kyoto senza scorciatoie. Noi, fino all'ultimo, non molleremo.
Questa volta il processo di costruzione del forum parallelo non ha avuto un percorso facile ed ha prodotto un Forum internazionale della giustizia climatica e dialogo dei popoli, dialogo climatico, con tutte le realtà della rete Climate Justice Now che organizzò il Klimaforum a Copenaghen con attività dal 4 al 10 dicembre. Convegni e seminari sui vari temi, dai mutamenti climatici, alla giustizia climatica, al diritto di accesso all'acqua, ai profughi ambientali, alle relazioni tra mutamenti climatici e agricoltura, con appunto presenze di tutte le realtà del movimento mondiale altermondialista, ambientalisti, sindacati, agricoltori, il mondo del Commercio equo e solidale, le ONG più tradizionali. Le richieste che escono riguardano il raggiungimento di accordi con misure particolarmente stringenti, l'assunzione di responsabilità da parte di tutti i Paesi con maggiori impegni da parte dei Paesi che hanno inquinato di più e che oggi inquinano di più, il non azzeramento del Protocollo di Kyoto a partire dagli impegni presi e non rispettati, una rimessa in discussione seria dei crediti di emissione, la richiesta del rispetto dei diritti di quei tanti Paesi particolarmente poveri che pagano già i prezzi più alti delle conseguenze dei mutamenti climatici. La richiesta di uscire dalla stagione dei combustibili fossili con politiche di risparmio energetico, efficienza e produzione da fonti rinnovabili e pulite. La richiesta di politiche tese pure a mitigare le conseguenze dei mutamenti nei confronti dei paesi più poveri. Le attività sono iniziate all'arrivo di alcune carovane promosse nei giorni precedenti su questi temi e su alcune vertenze particolarmente importanti, dagli stessi organizzatori.
Ha anche prodotto un altro luogo che è un accampamento di Via Campesina dove ci sono altri convegni su temi simili, e infine molto più fuori dalla città e in parte anche molto isolato un terzo luogo chiamato Klimaforum, che si richiama a posizioni molto più integraliste e anche più disinteressate ai lavori ufficiali della Cop. Certo che tutto ciò ha fatto pagare qualche prezzo in più alla partecipazione che non è stata questa volta quella che abbiamo visto spesso in questi ultimi anni.
Nelle stesse ore arrivava una scossa al Summit Onu portata dalla Cina, che dopo le dichiarazioni su possibili impegni volontari ma vincolanti, ha aperto scenari insospettabili. I principali effetti sono ipotizzabili sugli Usa ma anche su Canada e Giappone, ma quello che viene però a "scricchiolare" è lo stesso impianto Onu. Ed è qui che si giocherà la vera battaglia. All'indomani dell'annuncio di Pechino, infatti, che potrebbe prevedere anche un meccanismo interno di quote di emissione, si é aperta la strada per quello che in Messico definiscono il “Paquete de Cancun”, e in cui ci si dice pronti a prendere accordi vincolanti sulla base del testo. Ma questa viene letta, soprattutto dal movimento dei popoli, che ha marciato sul Summit, affiancato dai paesi dell'alternativa bolivariana (Alba) con l’Ambasciatore Solon in testa, come un'ipotesi ad alto rischio. La paura è che questa dichiarazione possa avvenire al di fuori della Convenzione Onu mentre i movimenti vogliono un accordo targato Nazioni Unite, e vedono nel taglio della Co2 l'unica soluzione per il futuro. Oltre all'ipotesi della Dichiarazione di Cancun, proseguono i lavori tecnici dai quali dovranno scaturire i singoli mini-accordi. Tra questi il capitolo foreste è pressoché sostanzialmente chiuso con il meccanismo dei Redd+, dove Redd sta per riduzione delle emissioni da deforestazione e degrado e il più anche per l'incentivo alla gestione corretta del patrimonio verde del Pianeta. Ora la parola passa ai ministri ed il nostro Paese è previsto per il 9 dicembre, nella sessione mattutina. La ministra dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo, appena giunta in Messico, ha dichiarato che l'Italia onorerà l'impegno di aiuti ai paesi poveri per 200 milioni di euro, la tranche 2010 di 600 milioni che rientrano nel pacchetto di aiuti Ue per 2,5 miliardi.

NEGOZIATI PIU’ SERRATI, PAQUET DE CANCUN PIU’ VICINO, CHISSA’

Il negoziato s’intensifica e il Summit Onu sembra vivacizzarsi e così dopo una prima settimana segnata da un Giappone con licenza statunitense di uccidere, e soprattutto tanta “fuffa” dove è stato tutto genericamente mitigazione e adattamento e nulla su riduzioni, nella seconda si fa un po’ più sul serio, e forse l’obiettivo del “paquet de Cancun” potrebbe essere raggiunto. Grande prova della diplomazia cinese che dall’alto del suo raggiunto e indiscusso ruolo di prima superpotenza ha riaperto sulla possibilità di accettare impegni precisi. Purtroppo si parla ancora di impegni su testi senza cifre, in particolare sul Protocollo di Kyoto, e le trattative avanzano piuttosto serrate. L’incertezza sull'accordo è forte infatti perché se fosse accettata l'ipotesi di non indicare cifre, potrebbe esserci il risultato politico della conferma del Protocollo di Kyoto. Si lavora su due testi che contengono molte opzioni, e la proposta che il ministro inglese si appresta a fare, secondo la ministra all’ambiente italiana Stefania Prestigiacomo parlando dello scoglio del Protocollo di Kyoto, cioè di approvare un secondo periodo di Kyoto senza numeri, non e' casuale e va approfondita. Una concessione che non può essere data senza qualcosa di corposo in cambio, sempre secondo la ministra, che ha pure assicurato che l'Italia sta vigilando sul fatto che un eventuale ampliamento a una seconda fase del protocollo di Kyoto debba vedere impegni vincolanti anche per altri Paesi, come Stati Uniti e Paesi emergenti. E detto dalla rappresentante di un Governo che si è vantato più volte di essere un elemento di ritardo nell’applicazione del Protocollo di Kyoto, c’è da fidarsi.
I testi preparati dai presidenti dei due gruppi di lavoro riguardano obiettivi a lungo termine e Protocollo di Kyoto. Dove per il lungo termine, sembra esserci una “visione condivisa” che comprende, e mette sotto il cappello della Convenzione Onu, mitigazione, adattamento, finanza, sviluppo e trasferimento di tecnologie e “capacity building” (know-how). Il tutto nella convinzione di "implementare la Convenzione adesso, fino e oltre il 2012". Sulla parte finanziaria, cioè gli aiuti ai Paesi in via di sviluppo per interventi di mitigazione, la prima opzione e' la conferma del fondo da 30 miliardi entro il 2012, come stabilito a Copenaghen. Ma entro il 2020 il fondo da 100 miliardi l'anno, secondo il testo uscito dalla Conferenza nella capitale danese, non ha ancora fonti certe (si usa il termine "mobilitazione") e soprattutto non esclude la World Bank dalla sua gestione, non chiarendone le politiche. Su Kyoto occhi puntati su Canada e Giappone, secondo i quali gli impegni sono già contenuti nell'accordo di Copenaghen, mentre per Brasile, Cina e India la proroga del protocollo non è negoziabile.
La Cina ha chiarito la sua posizione in merito agli impegni volontari sui tagli delle emissioni da dichiarare in ambito Onu, che però restano volontari e quindi probabilmente liberi dai vincoli internazionali. Come minimo troppe opzioni viene da dire con il rischio logicamente di arrivare alla Conferenza di Durban, in Sudafrica, nel 2011, con un testo aperto e quindi in balia di qualunque tipo di pressione. Intanto oggi le ONG internazionali in campo con una campagna per chiedere che ai banchieri di Washington non siano affidati i fondi per il clima. Le ONG ritengono che i Paesi del Nord del mondo debbano tener fede ai loro impegni per creare un fondo climatico all'interno della cornice delle Nazioni Unite destinato soprattutto agli Stati del Sud del mondo, i più colpiti, senza avere particolari responsabilità, dai cambiamenti climatici. Ban Ki-Moon  segretario generale delle Nazioni Unite nella sua introduzione ai lavori della Cop alcuni giorni fa, aveva detto che è urgente avere un accordo sul clima “ma a oggi non possiamo avere un accordo perfetto perché il perfetto è nemico del buono”. Da “Hopenhagen”, la città della speranza della COP15, a “Can’t cun”, ha ironizzato l’Ambasciatore boliviano alle Nazioni Unite Solon per tutta risposta, il passaggio è stato troppo breve e questa ondata di realismo cinico sembra aver travolto non soltanto “un piccolo gruppo di Paesi industrializzati”, ma anche alcune organizzazioni ambientaliste, “che stanno giocando alla politica con il futuro del Pianeta”, ha concluso Solon. Che dire? Continuiamo ad osservare e presidiare e vedremo.

A CANCUN SI TRATTIENE UN PO’ IL RESPIRO MA TANTE COMUNITA’ GIA’ PAGANO, E CARO

Si trattiene davvero un po’ il respiro e le previsioni sull’esito sono davvero difficili, ma intanto le persone che vivono in questa città sembrano un po’ più consapevoli di cos’è quella cumbre che si svolge in alcune delle tante strutture faraoniche che rendono questo territorio tanto bello così artificiale. Anche le televisioni e le radio, i media locali in genere oggi sembrano più attente, certo tutti con pochissima fiducia perché alla fine anche gli abitanti di Cancun alle prese con un numero di problemi piuttosto alto ti dicono che è tutta una questione di soldi, e che i Governi dei Paesi più ricchi non vorranno mai rinunciare ai loro privilegi, anche a costo di far bruciare il Pianeta. Conoscono bene lo strapotere statunitense e guardano rassegnati l’ascesa della Cina al primo posto per tante cose, assistono pure abbastanza rassegnati ad una città che fino a qualche decennio fa non esisteva e ora continua a crescere in verticale e in orizzontale senza alcuna regola, senza alcuna sostenibilità. L’acqua dell’oceano ti raccontano, ogni volta che ti affacci alla finestra di un albergo è sempre più vicina. Una città e forse in parte un paese troppo in mano alla speculazione ma anche alla malavita organizzata e con un tasso di corruzione di chi governa, ma anche delle forze di polizia e di chi dovrebbe controllare troppo elevato.
Ma mentre il tira e molla continua sempre più frenetico, in questi giorni da dentro il Vertice delle Nazioni Unite è arrivata la denuncia fortissima del rischio di un nuovo olocausto annunciato. I negoziatori di 43 Paesi tra Africa, Caraibi e Pacifico raccolti nell’Aosis (Alliance of small island states) hanno gridato che se le temperature globali non cresceranno rigorosamente meno di due gradi nei prossimi anni i loro territori scompariranno come dimostra una ricerca dell’Oxford University Centre for the Environment, che ha calcolato che i danni in 15 di questi Paesi potrebbero arrivare tra i 4 e i 6 miliardi di dollari l’anno, con costi per infrastrutture difensive che per alcuni Paesi potrebbero superare i costi stimati di 10 miliardi di dollari.
Bahamas, Suriname, Guyana, Trinidad e Tobago e Belize sarebbero le isole colpite più duramente, mentre andrebbero letteralmente sommersi Stati come Grenada, St Lucia, St Kitts e Nevis. I profughi ambientali che ne deriverebbero supererebbero abbondantemente le 10mila unità, senza contare l’erosione delle spiagge e i danni alle strutture turistiche, che per molte di esse rappresentano fino all’80% del Pil annuo.
La denuncia era già arrivata a  Copenhagen durante la Cop dello scorso anno, mostrando come rischiamo realmente di assistere alla fine della storia per isole come Kiribati, Tuvalu, le Cook Islands, le Maldives e le Marshall islands, e quanto le popolazioni di questi Paesi e i loro governi siano disperati temendo di essere il nuovo olocausto del 21esimo secolo, i Paesi dimenticati. I 43 hanno respinto fermamente in un documento comune l’idea che i fondi offerti da Stati Uniti e UE per le politiche di adattamento potrebbero ammorbidirli rispetto alla loro necessità primaria, e hanno ribadito che le temperature non dovranno crescere più di 1,5 gradi, il no al limite di 2 gradi proposto da alcuni Paesi, e annunciato un proprio piano per la creazione di un’economia  “a basso tasso di carbonio”, con un pacchetto di aiuti “più significativo di quello oggi sul tavolo”.
Alcuni aspetti sono stati anche approfonditi durante le attività parallele ai negoziati che si svolgo all’interno del Summit e ai quali tra gli altri hanno partecipato William Lacy Swing, direttore generale dell’Organismo internazionale per le migrazioni (IOM), Thomas Loster, presidente della Munich Re Foundation alla quale si devono gran parte degli studi sui rifugiati ambientali, e Mohamed Mijarul Quayes del Bangladesh. E vuol dire ricordare anche qui che dopo le siccità nel Sahel e nell'area sub-sahariana devastanti alluvioni hanno sconvolto Mali, Niger, Ciad, scendendo fino alla Nigeria, al Senegal, al Benin ed al Togo, trasformando l'emergenza in dramma. Per questo l'Unione europea ha modificato la quota di finanziamenti messa a disposizione per i Paesi del Sahel, raddoppiandola da 20 a 40 milioni di euro, una cifra che dovrebbe permettere di portare aiuto umanitario ed alimentare ai settori più vulnerabili della popolazione. L'aiuto Ue a favore del Sahel per il 2010 arriva così a  74 milioni di euro, solo un piccolo risarcimento per una situazione creata anche dallo sfruttamento coloniale e neo-coloniale dei Paesi europei, per i cambiamenti climatici innescati dalla nostra industrializzazione e da un modello di vita che per i poveri del Sahel è un sogno inarrivabile che si sta trasformando in incubo, ma anche una "assicurazione" per aiutare in patria una masse di esseri umani disperati che diventerebbero prima profughi ambientali malgraditi negli altri Paesi africani e poi immigrati clandestini nella ricca Europa.
Nel Sahel oltre 10 milioni di persone sono attualmente minacciate dalla fame, 7 solo nel Niger, e 3 milioni tra queste sono in una situazione di insicurezza alimentare tale che la loro salvezza è legata solo ad un aiuto immediato. Gli altri Paesi particolarmente colpiti sono il Ciad (sconvolto anche dalla guerra civile e dai contraccolpi del conflitto nel confinante Sudan) e il nord della Nigeria, il Burkina Faso e l'est e il nord del Mali e il nord del Camerun. Tutti Paesi che sono in fondo alla classifica dell'indice di sviluppo umano e dove a causa del livello elevato di povertà e della mancanza di infrastrutture e dei servizi di base, una gran parte della popolazione è estremamente vulnerabile agli choc esterni quali il cambiamento climatico, la diminuzione della produzione alimentare e l'aumento dei prezzi delle derrate alimentari. E va pure detto che la crisi alimentare del Sahel ad esempio, non arriva certo inaspettata, e prevista già nel settembre 2009 con gli eventi meteorologici estremi degli ultimi mesi e settimane si è ulteriormente aggravata.

SALVATO  IL MULTILATERALISMO, ORA PERO’ C’E’ POCO TEMPO PERCHE’ GLI IMPEGNI DIVENGANO REALTA’

Giornate molto complicate ma alla fine possiamo dire che non tutto è stato vano.  Innanzitutto perché nonostante tante stagioni all’insegna della volontà di affossamento del multilateralismo a favore di rapporti bilaterali, e di scellerate campagne contro organismi internazionali come le Nazioni Unite, questa COP ha sancito che di questi luoghi non si può fare a meno. Banalmente i tanti interventi interessanti e appassionati che abbiamo ascoltato dai rappresentanti di Bolivia, Venezuela, Yemen o delle isole di Tuvalu solo per citarne una infinitesima parte, non li avremmo mai potuti ascoltare ufficialmente e pubblicamente se non ci fosse stato questo luogo. Inoltre qui abbiamo toccato con mano un’altra semplice verità, e cioè che la Governance mondiale oggi non è proprio possibile ricondurla ad una questione tra pochi: è saltato il G8, ma anche un G2 fatto da Cina e Stati Uniti e tutto è insomma molto più complesso, ma anche più interessante e di prospettiva. Inizia ad essere chiaro a tutti che non si può parlare di governo mondiale senza comprendere anche i Paesi più in difficoltà o gli emergenti. Per ultimo ma non per ordine di importanza il risultato finale del “Paquete de Cancun” rappresenta obiettivamente un passo in avanti rispetto allo sfacelo politico di Copenaghen, anche se si potrebbe osservare che non ci voleva molto, perché la costituzione di un fondo verde per il clima a sostegno dei Paesi in via di sviluppo per gli interventi di riduzione delle emissioni e adattamento ai mutamenti climatici in corso, il riconoscimento quindi della necessità di risarcire i danni e le perdite, causate dai cambiamenti climatici nei paesi poveri, l’introduzione di un registro delle azioni per l’adattamento ai mutamenti climatici con le risorse finanziarie necessarie ad attuarli aprono spiragli alla concretezza. L’altro aspetto importante dell’accordo è il riconoscimento che gli attuali impegni di riduzione non sono sufficientemente ambiziosi. Si riconosce, infatti, la necessità di colmare questo gap per stare almeno nella traiettoria dei 2 gradi, ma si richiede anche maggiore trasparenza nel monitorare i progressi e le performance dei singoli paesi.
Certo mancano ancora forma giuridica e calendario per arrivare al prossimo accordo globale di Durban, impegni precisi per il secondo periodo di impegni del protocollo di Kyoto, in particolare sull’utilizzo del surplus di emissioni così come il calcolo di riduzione delle emissioni nel settore forestale. Rimangono quasi tutte le criticità legate ad una volontà diffusa di finanziarizzazione e speculazioni economiche rispetto al fondo verde, mercati di carbonio e meccanismo dei Redd+, ma anche ad un ruolo centrale affidato qui in Messico alla Banca Mondiale.
A Cochabamba nello scorso aprile in soli tre giorni 40.000 delegati di 142 paesi e 40 rappresentanti di altrettanti governi avevano raggiunto un accordo che individuava le cause della crisi sistemica proponendo misure concrete per far fronte alla crisi climatica. Proposte che dopo essere state incluse nelle negoziazioni preliminari, a Cancun non hanno avuto piena soddisfazione, da qui il no della Bolivia all'accordo finale, ma non si può certo dire siano state ignorate.
Anche perché questa sedicesima COP ha mantenuto anche un’altra novità nata a Copenaghen, l’essere l’appuntamento non più solo degli ambientalisti e degli addetti al settore ma di tutte le realtà sociali altermondialiste. Purtroppo va detto che l’insana passione per le divisioni anche nei movimenti ha in parte dilapidato il patrimonio di numeri sulla partecipazione, che va da subito recuperato io credo, a Dakar per il prossimo Forum Sociale Mondiale di febbraio e poi in tutte le iniziative che servono per arrivare alla prossima COP di Durban di fine 2011, con il numero di azioni concrete più alto possibile messo in campo. È questa la scommessa concreta ed urgente che anche i movimenti e la società civile di tutto il mondo hanno di fronte se vogliono cambiare il sistema e non il clima.

Maurizio Gubbiotti
Coordinatore Segreteria Nazionale
Responsabile Dipartimento Internazionale
Legambiente Onlus

www.legambiente.it

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