Terremoti e guerre, la Marcia e la Costituzione


Piero Piraccini


quali domande porre a una politica da troppo tempo così afasica sui temi posti dalla Marcia? Che non sono solo il binomio pace/guerra, ma anche le disuguaglianze e la cura della terra. A ogni terremoto le immagini mostrano persone che ripetono: sembra di essere in guerra.


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Divise in una galassia di realtà culturali e sociali, la gran parte prive di una specifica rappresentanza partitica, mosse da un attivismo militante d’altri tempi, nel vuoto delle classiche forme organizzative con le quali incidere nella società, perché la pace non è solo etica ma anche politica: così si sono presentate le oltre centomila persone che, nell’anno appena trascorso, hanno camminato i 25 chilometri della PerugiAssisi. Né ha fatto velo l’ironia (?) di Sofri che si è premurato di avvertire che la marcia doveva puntare su Mosul o su Aleppo, ché Assisi era già al sicuro! Facezie a parte, quali domande porre a una politica da troppo tempo così afasica sui temi posti dalla Marcia? Che non sono solo il binomio pace/guerra, ma anche le disuguaglianze e la cura della terra. A ogni terremoto le immagini mostrano persone che ripetono: sembra di essere in guerra. E tuttavia nella guerra vera l’Italia c’è già se è vero (fonti Nato) che lo scorso anno ha speso 55 milioni al giorno in armamenti. In ogni programma televisivo, al rappresentante di turno del governo si dovrebbero porre sempre le stesse domande: “Perché continui a buttare soldi su grandi e inutili opere infrastrutturali (addirittura, il ponte sullo stretto) quando l’unica vera grande opera di cui abbisogna l’Italia è la protezione dai terremoti e dai disastri ambientali? Perché il tuo governo anziché battersi per il disarmo, intende spendere 14 miliardi di euro per l’acquisto di 90 cacciabombardieri; vende armi all’Arabia Saudita, nazione in guerra che non rispetta i diritti umani; non esercita alcuna pressione significativa verso Al-Sisi, il generale golpista egiziano, per rendere giustizia a Giulio Regeni; (Il volto di Giulio era diventato piccolo, piccolo, piccolo. L’abbiamo riconosciuto dalla punta del naso. Nel suo viso abbiamo visto tutto il male del mondo. Così i genitori); non contrasta le politiche liberiste che distruggono le economie del sud – anch’esse causa di dolorose emigrazioni – visto che la liberalizzazione degli scambi, quando i partner sono enormemente disuguali, accresce le disuguaglianze anziché ridurle?”. E sì che il meglio espresso dalla politica dal dopoguerra, è coinciso con la mobilitazione e con la partecipazione alla vita pubblica per difendere i diritti dei più deboli e avverare il ripudio della guerra. Cioè l’attuazione della Costituzione rappresentata, in particolare, dagli articoli 3 (promozione dei diritti economici e sociali) e 11 (ripudio della guerra). Anche se più di qualcuno appartenente al campo laico e al campo religioso, particolarmente accecato dalla divisione del mondo imperante ai tempi della prima Marcia (siamo nel lontano 1961), pensava che marciare per la pace avrebbe significato favorire i comunisti. Da cui un vero e proprio boicottaggio da parte istituzioni religiose e laiche. Le une chiedendo ai sacerdoti di chiudere le porte delle chiese al passaggio dei marciatori e di pregare per i fratelli dell’est europeo impediti nel libero culto, le altre vietando ai sindaci di marciare con i gonfaloni perché un sindaco deve rappresentare l’intera comunità. Come se la pace – che non è solo (ma sarebbe già tanto) assenza di guerra, ma anche cibo, acqua e lavoro – non fosse il bene comune all’intera umanità e non fosse compito di tutti impedire il verificarsi delle odierne Guerniche che le Tv ci portano nelle case. Oggi, invece, quando ormai da anni la Marcia avviene col saluto del Presidente della Repubblica e del Papa, emerge un vuoto d’iniziativa politica accentuato da leggi che depotenziano il ruolo dei singoli affidandolo alle mani di pochi

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